LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 16653-2008 proposto da:
TAVERNA GIULIA DI ALFANO MARIO & C SAS, in persona dell’amministratore e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CERESIO 24, presso lo studio dell’avvocato ACQUAVIVA CARLO, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 150/2 007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA del 17/04/07, depositata l’08/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO SCARDACCIONE.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:
“Con sentenza dell’8/5/2007 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva il ricorso per revocazione spiegato dall’AGENZIA DELLE ENTRATE Roma 1 nei confronti della sentenza del 14/12/2005 da essa emessa.
Avverso la suindicata sentenza la società TAVERNA GIULIA di ALFANO MARIO & C. s.a.s. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.
Resiste con controricorso l’AGENZIA DELLE ENTRATE. Con il 1 ed il 2 MOTIVO la ricorrente denunzia nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.
Con il 3 MOTIVO denunzia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 106 del 2005, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il ricorso dovrà essere ritenuto inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero S introdursi un tema nuovo ed estraneo (v. Cass., 17/7/2007, n. 15949).
E’ altresì necessario che l’enunciazione da parte del ricorrente di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato sia tale da implicare un ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito, sicchè è inammissibile un motivo di ricorso che si concluda con un quesito non corrispondente al contenuto del motivo stesso (v. Cass., 26/11/2008, n. 28280;
Cass., 12/3/2008, n. 6530).
La mancanza di conferenza del quesito di diritto rispetto al deciso (che si ha allorquando anche in ragione della assoluta genericità della relativa formulazione la risposta allo stesso pur positiva per il richiedente risulta priva di rilevanza nella fattispecie in quanto non consente di risolverla: v. Cass., Sez. Un., 21/6/2001, n. 14385;
Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36) è invero assimilabile all’ipotesi di mancanza del quesito, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., con conseguente inammissibilità del motivo, in applicazione del principio in tema di motivi non attinenti al decisum, nel senso che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (v. Cass., Sez. Un., 21/6/2007, n. 14385).
E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione dei quesiti di diritto implicita nella formulazione dei motivi di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.
Orbene, nel caso i quesiti di diritto risultano formulati in modo difforme rispetto allo schema sopra delineato, in quanto connotati da genericità e mancanza di riferibilità al caso concreto dedotto all’esame della Corte, e pertanto sforniti di collegamento tale da consentire di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), sicchè essi non consentono di poter circoscrivere la pronuncia nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito medesimo (cfr., da ultimo, Cass., 23/6/2008, n. 17064, a fortiori in presenza di motivi come nella specie carenti di autosufficienza.
I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.
Deve ulteriormente sottolinearsi che come questa Corte ha ripetutamente affermato allorquando viene denunziato il vizio ex art. 112 c.p.c., che il ricorrente sembra nel caso sostanzialmente (anche) adombrare nel 1 motivo di ricorso, va invero specificamente indicato anche l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).
E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale) ed abbia quindi il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).
Diversamente, questa Corte non viene posta nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161)”;
atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;
rilevato che la ricorrente non ha presentato memoria, nè vi è stata richiesta di audizione in camera di consiglio;
considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;
rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;
ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;
considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 2.400,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010