LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 17035-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
M.R.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 68/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di BOLOGNA, SEZIONE DISTACCATA di PARMA del 19/04/07, depositata il 16/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO SCARDACCIONE.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:
“Con sentenza del 16/5/2007 la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna respingeva il gravame interposto dal contribuente sig. M.R. nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Piacenza di rigetto dell’impugnazione del silenzio rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso dell’IRAP versata per gli anni d’imposta dal 2000 al 2003.
Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello l’Agenzia delle entrate propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo con il quale denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, D.P.R. n. 270 del 2000, art. 22, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso dovrà essere ritenuto inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v. Cass., 11/1/2001, n. 15949).
E’ altresì necessario che l’enunciazione da parte del ricorrente di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato sia tale da implicare un ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito, sicchè è inammissibile un motivo di ricorso che si concluda con un quesito non corrispondente al contenuto del motivo stesso (v. Cass., 26/11/2008, n. 28280;
Cass., 12/3/2008, n. 6530).
La mancanza di conferenza del quesito di diritto rispetto al deciso (che si ha allorquando anche in ragione della assoluta genericità della relativa formulazione la risposta allo stesso pur positiva per il richiedente risulta priva di rilevanza nella fattispecie in quanto non consente di risolverla: v. Cass., Sez. Un., 21/6/2007, n. 14385;
Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36) è invero assimilabile all’ipotesi di mancanza del quesito, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., con conseguente inammissibilità del motivo, in applicazione del principio in tema di motivi non attinenti al decisum, nel senso che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (v. Cass., Sez. Un., 21/6/2007, n. 14385).
Orbene, nel caso il quesito di diritto risulta formulato in modo difforme rispetto allo schema sopra delineato, in quanto connotato da genericità e mancanza di riferibilità al caso concreto dedotto all’esame della Corte, e pertanto sfornito di collegamento tale da consentire di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), sicchè esso non consente di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito medesimo (cfr., da ultimo, Cass., 23/6/2008, n. 17064, a fortiori in presenza di motivo come nella specie carente di autosufficienza.
E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione del quesito di diritto implicita nella formulazione del motivo di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.
Il motivo si palesa pertanto privo dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;
atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori della parte costituita;
rilevato che la ricorrente non ha presentato memoria nè vi è stata richiesta di audizione in camera di consiglio; considerato che il P.G. ha condiviso la relazione; rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;
osservato in ogni caso che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, alla stregua dell’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001 l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per l’assoggettamento ad imposizione dei soggetti esercenti arti e professioni indicati dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 49, comma 1, non dev’essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, bensì in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, frutto dell’organizzazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui;
e che l’accertamento di tale presupposto (ai fini del quale non assume alcun rilievo la prevalenza dell’opera del professionista sul valore degli altri fattori produttivi impiegati, trattandosi di un requisito non configurabile, date le caratteristiche intrinseche del lavoro professionale o artigianale, e comunque non riconducibile ad alcuna previsione normativa) costituisce apprezzamento di mero fatto, rimesso al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se non per vizi logici della motivazione (v. Cass., 16/2/2007, n. 3674), laddove nella specie la sentenza della Commissione tributaria regionale (che ha ritenuto non assoggettabile ad IRAP l’attività professionale della contribuente, perchè condotta “senza l’ausilio di un dipendente/collaboratore e con l’utilizzo di modesti capitali e di beni strumentali di esiguo valore”) non è stata utilmente criticata sotto tale profilo dalla ricorrente, limitatasi a prospettare vizio di violazione di legge;
ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato pertanto inammissibile;
considerato che non è peraltro a farsi luogo a pronunzia sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010