LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 17068-2008 proposto da:
P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIO BACHELET 12, presso lo studio dell’avvocato DALLA VEDOVA RICCARDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato D’ALESIO ANTONIO, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 17/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di VENEZIA del 16/04/07, depositata il 12/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
udito l’Avvocato Carlo Della Vedova, (delega avvocato Riccardo Della Vedova), difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO SCARDACCIONE che concorda con la relazione scritta.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:
“Con sentenza del 12/6/2007 la Commissione Tributaria Regionale del Veneto respingeva il gravame interposto dal contribuente sig. P.M. nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso di rigetto dell’impugnazione del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’IRAP versata per gli anni d’imposta dal 2001 al 2003, in qualità di avvocato.
Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello il P. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate. Con unico motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa, illogica ed incoerente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
Va anzitutto premesso che il motivo risulta inammissibilmente formulato denunziandosi contestualmente vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, laddove la disciplina in tema di ricorso per cassazione risultante dalla richiamata riforma del 2006 impone invero l’autonoma e separata prospettazione dei vizi asseritamente affettanti l’impugnata decisione.
L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108) -, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v. Cass., 17/7/2007, n. 15949).
Orbene, nel caso il motivo, avuto riguardo alla parte ove si denunzia violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, risulta formulato senza recare invero la richiesta proposizione di un quesito di diritto.
E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione del quesito di diritto implicita nella formulazione del motivo di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.
Quanto al vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).
Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).
Orbene, nel caso avuto riguardo alla parte ove si denunzia vizio di motivazione il ricorso non reca la “chiara indicazione – nei termini più sopra indicati – delle ragioni del denunziato vizio di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresì carente di autosufficienza.
Il motivo si palesa pertanto privo dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;
atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;
rilevato che il ricorrente non ha presentato memoria, nè vi è stata richiesta di audizione in camera di consiglio;
considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;
rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella, camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;
ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;
considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010