LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 18588/2008 proposto da:
EVOLUZIONE 94 SPA in liquidazione, in persona del suo liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO MESSICO 3, presso lo studio dell’avvocato BLASIO Elio, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (Ufficio di Milano *****) in persona Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 33/2007 della Commissione Tributaria Regionale di MILANO del 9.3.07, depositata il 18/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:
“Con sentenza del 18/5/2007 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in accoglimento del gravame interposto dall’AGENZIA delle ENTRATE Milano ***** riformava la pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Milano di accoglimento dell’impugnazione spiegata dalla contribuente società EVOLUZIONE 94 s.p.a. in liquidazione del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso della somma di Euro 124.992,38 corrisposta a titolo di I.V.A. per l’anno d’imposta 1989.
Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la società EVOLUZIONE 94 s.p.a. in liquidazione propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.
Resiste con controricorso l’AGENZIA delle ENTRATE. Con il 1^ MOTIVO la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 100 c.p.c., art. 1264 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè insufficiente ed erronea motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Con il 2^ MOTIVO denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366 bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’art. 366 bis c.p.c., dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Va anzitutto premesso che il 1^ motivo risulta inammissibilmente formulato denunziandosi contestualmente vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, laddove la disciplina in tema di ricorso per cassazione risultante dalla richiamata riforma del 2006 impone invero l’autonoma e separata prospettazione dei vizi asseritamente affettanti l’impugnata decisione.
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v. Cass., 17/7/2007, n. 15949).
Orbene, nel caso i quesiti di diritto risultano formulati in modo difforme rispetto allo schema sopra delineato, in quanto connotati da genericità e mancanza di riferibilità al caso concreto dedotto all’esame della Corte, e pertanto sforniti di collegamento tale da consentire di individuare la j soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), sicchè esso non consentono di poter circoscrivere la pronuncia nei limiti di un relativo accoglimento o rigetto (cfr., da ultimo, Cass., 23/6/2008, n. 17064).
E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione del quesito di diritto implicita nella formulazione del motivo di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.
A fortiori in presenza di una formulazione dei motivi come nella specie altresì carente di autosufficienza (cfr., da ultimo, Cass., 23/6/2008, n. 17064).
Senza sottacersi che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – e non anche come nella specie in termini di violazione di legge, dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).
Al riguardo, si è precisato che l’art. 366 bis c.p.c., rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).
Orbene, nel caso il 1 motivo non reca invero la chiara indicazione – nei termini più sopra indicati – delle ragionidel denunziato vizio di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come già più sopra osservato carente di autosufficienza.
I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;
atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;
rilevato che la ricorrente non ha presentato memoria, nè vi è stata richiesta di audizione in Camera di consiglio;
considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;
rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;
considerato che deve in ogni caso sottolinearsi, quanto al primo motivo, come non risulti ivi censurata invero la ratio decidendi dell’impugnata decisione (consistente nella mancata produzione da parte della contribuente della documentazione integrativa richiesta dall’A.F., comportante la conseguenza per cui “in tale situazione gli inviti all’Ufficio della Evoluzione 94 spa a seguito dell’acquisizione del credito nell’anno 2000 non avrebbero potuto sortire l’effetto voluto atteso che l’ufficio, a motivo della carente documentazione originaria richiesta, non era stato messo in condizione di poter provvedere al richiesto rimborso”); e, quanto al secondo motivo, come nel dedursi che “La sentenza impugnata, dunque, erra nel non considerare presentata la documentazione necessaria al rimborso. Essa infatti non si riferisce, in tutta evidenza, alla richiesta di rimborso presentata dalla cessionaria in data 1.11.2003, pienamente documentata, così come rilevato in primo grado, bensì a richieste di documentazioni presentate a soggetti sbagliati (la cedente Gottardo Ruffoni Spa) nel 1994, ovvero addirittura prima della cessione del credito medesimo”, la ricorrente muove in realtà una censura in fatto, inammissibilmente prospettando un vizio revocatorio (cfr. Cass. 25/8/2006, n. 18498; Cass., 2/3/2006, n. 4660; Cass., 18/1/2006, n. 830; Cass., 27/5/2005, n. 15672);
ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;
considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.600,00, di cui Euro 3.400,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010