LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 18592/2008 proposto da:
B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BORMIDA 4, presso lo studio dell’avvocato AMICI Francesco, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (Ufficio di Bologna ***** – Direzione centrale normativa e contenzioso) in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 48/2007 della Commissione Tributaria Regionale di BOLOGNA del 15.1.07, depositata il 21/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:
“Con sentenza del 21/5/2007 la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna accoglieva il gravame interposto dall’Agenzia delle entrate Bologna ***** nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna di accoglimento dell’opposizione proposta dal contribuente sig. B.E. in relazione ad avviso di accertamento emesso a titolo di I.R.P.E.F., I.R.A.P., ADDIZIONALE I.V.A. per l’anno d’imposta 1998.
Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello il B. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia violazione, falsa applicazione ed errata interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, L. n. 241 del 1990, art. 3, L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Con il 2^ motivo denunzia violazione, falsa applicazione ed errata interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, L. n. 549 del 1995, art. 3, commi da 181 a 189, e del D.P.C.M. 29 gennaio 1996, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.
Con il 3^ motivo denunzia violazione, falsa applicazione ed errata interpretazione della L. n. 400 del 1998, art. 17, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.
Con il 4^ motivo denunzia violazione degli artt. 24, 97 e 111 Cost., D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.
Con il 5^ motivo denunzia violazione degli artt. 24 e 111 Cost., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.
Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366 bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
Va anzitutto premesso che i motivi risultano inammissibilmente formulati denunziandosi contestualmente vizio di violazione di legge, vizio di motivazione nonchè (salvo il 1^ motivo) vizio comportante nullità della sentenza e del procedimento, laddove la disciplina in tema di ricorso per cassazione risultante dalla richiamata riforma del 2006 impone invero l’autonoma e separata prospettazione dei vizi asseritamente affettanti l’impugnata decisione.
L’art. 366 bis c.p.c., dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v. Cass., 17/7/2007, n. 15949).
Orbene, nel caso i motivi con i quali si denunziano violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e vizi comportanti nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, risultano formulati senza recare invero la richiesta proposizione di un quesito di diritto.
E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione del quesito di diritto implicita nella formulazione del motivo di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.
Quanto ai motivi con i quali si denunziano vizi di motivazione, a completamento della relativa esposizione essi debbono indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:
a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; e) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).
Al riguardo, si è precisato che l’art. 366 bis c.p.c., rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).
Orbene, nel caso i motivi in questione non recano la chiara indicazione – nei termini più sopra indicati – delle ragioni del denunziato vizio di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresì carente di autosufficienza.
I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;
atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;
rilevato che il ricorrente non ha presentato memoria, nè vi è stata richiesta di audizione in Camera di consiglio;
considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;
rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;
ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;
considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.600,00, di cui Euro 1.400,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010