Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.1405 del 26/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 18973/2008 proposto da:

SOCIETA’ AUTO e AUTO 1969 SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI VILLA FIORELLI 5, Int. 4, presso il sig. DE SENA MARIO, rappresentata e difesa dall’avvocato CACCAVALE Salvatore, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – Ufficio di Venezia *****;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2/2008 della Commissione Tributaria Regionale di VENEZIA del 15.1.08, depositata il 13/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Con sentenza del 13/2/2008 la Commissione Tributaria Regionale del Veneto accoglieva il gravame interposto dall’AGENZIA delle ENTRATE Venezia ***** nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Venezia di accoglimento dell’opposizione proposta dalla contribuente società AUTO & AUTO 1969 s.r.l. in relazione ad avviso di accertamento emesso a titolo di I.V.A. per l’anno d’imposta 2003.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la società AUTO & AUTO 1969 s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi.

L’intimata non svolto attività difensiva.

Con il 1^ MOTIVO la ricorrente denunzia violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 2^ MOTIVO denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3^ MOTIVO denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4^ MOTIVO denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366 bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366 bis c.p.c., dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v. Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Orbene, nel caso i quesiti di diritto risultano formulati in modo difforme rispetto allo schema sopra delineato, in quanto connotati da genericità e mancanza di riferibilità al caso concreto dedotto all’esame della Corte, e pertanto sforniti di collegamento tale da consentire di individuare la , soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), sicchè essi non consentono di poter circoscrivere la pronuncia nei limiti di un relativo accoglimento o rigetto (cfr., da ultimo, Cass., 23/6/2008, n. 17064).

E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione del quesito di diritto implicita nella formulazione del motivo di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.

A fortiori in presenza di una formulazione del motivo come nella specie altresì carente di autosufficienza (cfr., da ultimo, Cass., 23/6/2008, n. 17064).

Senza sottacersi che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità la violazione dell’art. 116 c.p.c., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – e non anche come nella specie in termini di violazione di legge-, dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366 bis c.p.c., rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il 4^ motivo non reca invero la chiara indicazione – nei termini più sopra indicati – delle ragioni del denunziato vizio di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come già più sopra osservato carente di autosufficienza.

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;

rilevato che la ricorrente non ha presentato memoria, nè vi è stata richiesta di audizione in Camera di consiglio;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il Collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione, atteso, quanto ai primi tre motivi, che come ivi indicato manca ogni riferimento al caso concreto, sicchè così come formulati, la mancata osservanza – come esposto nella relazione – dello schema di relativa redazione delineato da questa Corte (in particolare v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36) rende nel caso i quesiti inidonei a consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433;

Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., 7/4/2009, n. 8463), di evincere in termini esaustivi i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645;

Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360) e di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), non essendo d’altro canto l’art. 366 bis c.p.c., suscettibile di essere interpretato nel senso che il quesito di diritto possa (e a fortiori debba) desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258);

considerato altresì, quanto al primo motivo, che la formulazione del relativo quesito (“se è conforme al dettato di cui all’art. 112 c.p.c., la pronuncia del giudice che ometta di decidere se uno dei punti e delle eccezioni proposte da una delle parti in riferimento alla nullità di un atto del processo”) risulta invero non recare la specifica indicazione (anche) dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali la domanda o l’eccezione è stata proposta, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055), essendo al riguardo noto che pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale) ed abbia quindi il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221); sicchè la ricorrente non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo, anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 10/2/1995, n. 1161);

atteso che l’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide invero anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463;

Cass. Sez. Un., 25/11/2008. n. 28054; Cass. Sez. Un., 30/10/2008, n. 26020), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444);

ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

considerato che non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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