LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 16906/2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTEBELLO 8, presso lo studio dell’avvocato IVAN CANELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato TREMANTE Luigi, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 63/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI del 30/04/07, depositata il 02/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;
è presente il P.G. in persona del Dott. RICCARDO FUZIO.
IN FATTO E IN DIRITTO 1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di M.R. (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza n. 63/28/07, depositata il 2/05/2007, con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Iva, Irpef e Irap concernenti il 2001 (in relazione alla omessa dichiarazione di compensi percepiti per prestazione di opera professionale), la C.T.R. Campania rigettava l’appello dell’Ufficio e confermava la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso del contribuente).
In particolare, premesso che, come affermato dai primi giudici, i redditi in questione erano stati già dichiarati nel 2000 ed assoggettati a tassazione, che l’ufficio nella comparsa di costituzione si era limitato ad affermare che non era stata fornita la prova di tale asserzione e che il ricorso era stato accolto affermando che era stata fornita la prova delle asserzioni del ricorrente e che, in base al principio sancito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, la stessa imposta non poteva essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto in ragione del divieto di doppia imposizione, i giudici della C.T.R. rilevavano che in appello l’ufficio aveva cambiato difesa, chiedendo la riforma della sentenza sulla base del principio di cassa, e che, non essendo stata fornita dall’Ufficio alcuna prova del fatto che il compenso de quo non era stato dichiarato nel 2000, l’appello doveva essere rigettato.
2. E’ innanzitutto da rilevare che è destituita di fondamento l’eccezione del controricorrente di intempestività del ricorso per tardività, posto che la sentenza risulta depositata il 2 maggio 2007 ed il ricorso risulta consegnato per la notifica a mezzo del servizio postale il 17-06-08, ossia nel prescritto termine di un anno e 46 giorni dal deposito della sentenza.
Tanto premesso, il primo motivo di ricorso (col quale la ricorrente censura la sentenza impugnata ex art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul motivo d’appello relativo all’applicabilità alla fattispecie del principio di cassa) è manifestamente infondato, posto che dalla lettura complessiva della sentenza impugnata emerge con chiarezza, sia pure implicitamente, che la questione dell’applicabilità del principio di cassa non è stata affrontata dai giudici della C.T.R. perchè proposta per la prima volta in appello, e tale implicita statuizione non ha formato oggetto di censura in questa sede.
Il secondo motivo (col quale, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 e D.P.R. n. 817 del 1986, art. 137, la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto violato nella specie il principio del divieto di doppia imposizione senza considerare la possibilità dell’esercizio del diritto al rimborso) è manifestamente fondato.
Infatti, premesso che dalla sentenza impugnata non risulta che il contribuente abbia mai contestato che i redditi de quibus dovevano essere dichiarati nel 2001 e non nel 2000, è da evidenziare che, contrariamente a quanto affermato nella citata sentenza (dove, richiamando e confermando la sentenza di primo grado, si afferma che, in base al principio sancito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto e che pertanto sussisterebbe violazione del divieto di doppia imposizione) non sussistono nella specie i presupposti della doppia imposizione vietata, in quanto il contribuente è tenuto a versare al fisco le imposte nei modi, nei tempi e nei termini previsti dalla legge, ed in tali modi, tempi e termini il fisco deve esigere la prestazione contributiva, con la conseguenza che non incorre in violazione del divieto di doppia imposizione l’amministrazione che avanzi la propria richiesta nei modi e tempi di legge, anche se il contribuente abbia incluso il reddito cui l’imposizione afferisce in una dichiarazione diversa ed abbia già effettuato il relativo versamento, essendo tale versamento il frutto di un errore e non di una imposizione, ed essendo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale la dichiarazione del contribuente affetta da errore, sia di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile quando dal medesimo possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, atteso che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti e che pertanto il contribuente che abbia commesso un errore nella dichiarazione può sempre chiedere il rimborso dell’eccedenza d’imposta cui lo stesso abbia dato luogo, ma non può certo per questo sottrarsi al versamento dell’imposta nei tempi e nei modi previsti dalla legge (v. tra le altre Cass. n. 3904 del 2004).
Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato, con accoglimento del secondo e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altro giudice che provveder anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Campania.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010