LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto – Presidente –
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 19770-2008 proposto da:
B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTO 18, presso lo studio dell’avvocato RICCIARDI ANTIMO, rappresentato e difeso dall’avvocato IODICE GENEROSO M.T., giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
ENEL DISTRIBUZIONE SPA, società con unico socio inno soggetta a direzione e coordinamento di ENEL s.p.a. in persona del presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato BRIGUGLIO ANTONIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUERRA PIETRO, giusta procura speciale alle liti del Notaio Nicola Atlante di Roma del 15/7/08, Rep. n. 28791, che viene allegata agli atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 225/2007 del TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE – SEDE DISTACCATA DI MARCIANISE, depositata il 25/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA VIVALDI.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO.
PREMESSO IN FATTO
E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“1. Il giudice di pace di Marcianise ha condannato la Enel Distribuzione s.p.a. al risarcimento dei danni patiti da B. P. a seguito del black out elettrico verificatosi nella notte tra il *****, per il deperimento di generi alimentari presenti nel frigo di parte attrice;.
Impugnata tale pronunzia dalla soccombente Enel Distribuzione s.p.a., il tribunale di S. Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Marcianise, con sentenza del 25.5.2007, in totale riforma della decisione del primo giudice, ha rigettato la domanda dell’attore, ritenendo che quest’ultimo non avesse offerto alcuna prova in ordine ai danni subiti.
Per la cassazione di tale ultima pronunzia la parte attrice ha proposto ricorso affidato a tre motivi.
Resiste, con controricorso, l’Enel Distribuzione s.p.a.
2. Con il primo motivo di ricorso la parte ricorrente censura la sentenza impugnata, denunziando: ex art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 320 e 183 c.p.c.. Tentativo di conciliazione: Pregiudizio del diritto di difesa, per non avere il giudice espletato, nel corso della prima udienza, il tentativo di conciliazione delle parti, e formula al riguardo ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. il seguente quesito di diritto: dica la Corte di cassazione, risolvendo così il seguente quesito di diritto, relativamente all’omissione del tentativo di conciliazione all’udienza di comparizione, di cui agli artt. 320 e 183 c.p.c., sussistere il pregiudizio del diritto alla difesa della parte convenuta in appello la quale avrebbe potuto contribuire all’accertamento dei fatti del giudizio.
Con il secondo motivo: ex art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione del combinato disposto art. 2697 c.c., comma 1 e art. 115 c.p.c., per avere il giudice a quo ritenuto che esso concludente non aveva fornito alcuna prova del preteso danno subito e formula al riguardo ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. il seguente quesito di diritto: dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione che in materia di controversie relative ad inadempimento di contratti a prestazioni corrispettive, avendo parte attrice fornito la prova del proprio esatto adempimento in caso di inadempienza della controparte accertata anche attraverso fatti notori, si verifica un’inversione dell’onere della prova, che non grava più sull’attore ex art. 2697 c.c., comma 1.
3.1. Entrambi i motivi paiono inammissibili, per violazione dell’art. 366-bis c.p.c., poichè i quesiti sopra trascritti non sono conformi al modello delineato dalla norma.
In particolare è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie, o che sia comunque assolutamente generico, dovendosi assimilare un quesito inconferente alla mancanza di quesito (Cass. 3 ottobre 2008, n. 24578).
Come ripetutamente affermato da questa Corte regolatrice (tra le tantissime, cfr. Cass. 23 luglio 2008 n. 2360), inoltre: il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale,risultando altrimenti inadeguata, e quindi non ammissibile, l’investitura stessa del giudice di legittimità;
– deriva da quanto precede, pertanto, che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso deve consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del diverso principio la cui auspicata applicazione, ad opera di questa Corte di Cassazione, possa condurre ad una decisione di segno diverso;
– il quesito deve poi costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata;
3.2. I quesiti proposti, non solo non permettono di ricostruire quale sia stata la regula iuris applicata dal giudice a quo, ma neppure consentono di individuare quale sia la regula di cui questa Corte dovrebbe fare applicazione al fine di pervenire alla cassazione della sentenza impugnata.
Infatti, quanto al primo, non è dato comprendere dallo stesso (nè dalla parte espositiva del motivo stesso) se si ‘ denunzia peraltro palesemente in termini inammissibili, non risultando la relativa questione sollevata in grado di appello cfr. da ultimo, Cass., sez. un., 2 dicembre 2008, n. 29079, l’omissione del tentativo di conciliazione nel giudizio di primo grado o, piuttosto, in quello di appello.
Quanto al secondo quesito, lo stesso non è in alcun modo pertinente, nè in relazione alla violazione di legge prospettata con il secondo motivo (ove si denunzia la violazione dell’art. 2697 c.c., comma 1 cioè della regola generale secondo cui chi vuoi far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento), nè con riferimento alla ratio decidendi fatta propria dal giudice di appello nel rigettare la domanda.
Il Tribunale, infatti, non ha rigettato la domanda, accogliendo l’appello, sulla base di una diversa interpretazione delle norme in questione, ma ha solo ritenuto che, nella specie, la prova del danno competesse alla parte attrice e che la stessa non l’avesse fornita, non potendo condividersi le presunzioni ritenute dal primo giudice.
Il quesito investe, invece, il diverso punto del soggetto su cui grava l’obbligo della prova dell’inadempimento e della ritenuta esistenza di fatti notori.
A parte il rilievo che tali censure sono inconferenti e conseguentemente lo è il quesito, poichè qui non si fa questione del soggetto che deve provare l’inadempimento, ma di quello che deve provare il danno per cui è causa, deve osservarsi che, a fronte dell’argomentazione sulla quale si fonda la sentenza impugnata, per la quale non risultava provato il danno lamentato da parte attrice, la ricorrente non ha censurato la sentenza per vizio motivazionale, che era l’unico mezzo con cui la parte ricorrente poteva far valere un erroneo accertamento del giudice di merito relativamente all’esistenza del danno.
4. Con il terzo (qualificato ancora secondo) motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere il giudice liquidato il danno facendo ricorso alla liquidazione equitativa.
5. Il motivo è manifestamente infondato.
Infatti, il giudice di appello, avendo escluso che l’an del danno fosse stato provato, correttamente ha ritenuto che non potesse farsi ricorso alla liquidazione equitativa, che costituisce appunto un sistema liquidatorio del quantum, rimesso al prudente apprezzamento del giudice, una volta, tuttavia, che la parte cui compete, abbia provato l’an del danno (Cass. 09/08/2007, n. 17492). Correttamente, inoltre, il giudice di appello ha ritenuto di non avvalersi delle presunzioni, su cui si era basato il primo giudice, tenuto conto che esse integravano forme di praesumptio de praesumpto, e, quindi, una non ammessa correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice (Cass. 18/01/2008, n. 1023), mentre è incensurabile il preteso mancato esercizio del potere discrezionale riservato al giudice di merito di avvalersi del notorio (a prescindere dal punto se potesse concepirsi un notorio con riferimento allo specifico danno patrimoniale lamentato da parte attrice) (Cass. 21/02/2007, n. 4051; Cass. 18/05/2006, n. 11739).
Infine, correttamente è stato escluso il danno esistenziale da stress, tenuto conto dei principi affermati Cass. S.U. 11.11.2008, n. 26972/08.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato”.
La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti.
Non sono state presentate conclusioni scritte, nè alcuna delle parti è stata ascoltata in camera di consiglio.
RITENUTO IN DIRITTO
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 400,00, di cui Euro 200,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 3 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010