Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1480 del 26/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12782-2005 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

M.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 9/2004 della COMM. TRIB. REG. di TORINO, depositata il 24/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2009 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

lette le conclusioni scritte dal P.M. in persona del SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE Dott. SORRENTINO Federico, con cui si chiede che visto l’art. 375 c.p.c. la Corte Suprema di Cassazione, in camera di consiglio rigetti il primo motivo di ricorso per essere manifestamente infondato, accolga il secondo motivo di ricorso per essere manifestamente fondato assorbito il terzo motivo con le conseguenze di legge.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.C., libero professionista, ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale di Verbania avverso il silenzio-rifiuto della Amministrazione in ordine alla istanza di rimborso della imposta IRAP versata per le annualità 1998 e 1999, sostenendo, sulla base di vari profili, la illegittimità costituzionale della normativa (D.Lgs. n. 446 del 1997) che istituiva il tributo.

La Commissione Provinciale respingeva il ricorso, rilevando che lo stesso si fondava esclusivamente sulla eccezione di incostituzionalità della legge istitutiva, richiamando a tal fine la sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 2001.

Proponeva appello il contribuente, eccependo che la attività libero- professionale era stata da lui svolta senza l’ausilio di una autonoma organizzazione.

La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte con sentenza n. 1/18/04 in data 19-1-2004 depositata in data 18-2-2004 accoglieva il gravame, dichiarando dovuto il richiesto rimborso. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione II Ministero della Economia e delle finanze e la Agenzia delle Entrate, con due motivi.

L’intimato non svolge attività difensiva. Il P.G. conclude per la manifesta fondatezza del ricorso, ex art. 375 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va rilevata la inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero della Economia e della Finanze: nel caso di specie al giudizio innanzi la Commissione Regionale ha partecipato l’ufficio periferico di Verbania della Agenzia delle Entrate, successore a titolo particolare del Ministero, ed il contraddittorio è stato accettato dal contribuente senza sollevare alcuna eccezione sulla mancata partecipazione del Ministero, che così risulta, come costantemente ha rilevato la giurisprudenza di questa Corte, (ex plurimis v. Cass. n. 3557/2005) estromesso implicitamente dal giudizio, con la conseguenza che la legittimazione a proporre ricorso per cassazione sussisteva unicamente in capo alla Agenzia. Le spese relative a detto ricorso devono essere compensate tra le parti, per la obbiettiva incertezza esistente all’epoca della successione tra i citati enti.

Con il primo motivo di ricorso la Agenzia deduce violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, n relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa illogica ed incoerente motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sostiene che la parte non ha assolto all’onere di specificazione dei motivi di impugnazione, in quanto nell’atto di appello non si rinviene che un mero richiamo alle motivazioni del ricorso di primo grado, senza prendere in considerazione le motivazioni del rigetto e senza indicazione delle ragioni dirette a contrastare la pronuncia stessa.

Con il secondo motivo di ricorso la Agenzia deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Espone la ricorrente che il ricorso introduttivo del contribuente era unicamente fondato sulla dedotta incostituzionalità di talune norme del D.Lgs. n. 446 del 1997, istitutivo dell’IRAP. Solo con la proposizione dell’atto di appello questi deduceva di svolgere la propria attività professionale in difetto dell’elemento di autonoma organizzazione, venendo così a mancare, ad avviso dello stesso, il presupposto impositivo.

La Commissione accoglieva tale motivo, riformando su tale base la sentenza impugnata e dichiarando legittima la richiesta di rimborso.

In tal modo, tuttavia, incorreva in ultrapetizione, in quanto statuiva su di una domanda nuova in appello, incorrendo nel divieto di cui al D.Lgs. n. 546 del 2002, art. 57, laddove, ai sensi di detta norma, avrebbe dovuto dichiararla inammissibile.

Con il terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 144, D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 8, 27 e 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Sostiene a tale proposito che la normativa assoggetta all’imposta, in via di principio, coloro che esercitano attività libero- professionale, e quindi non può essere escluso il presupposto impositivo sulla base di una ritenuta esiguità di mezzi per lo svolgimento della attività o su una asserita prevalenza delle capacità personali rispetto alla struttura organizzativa.

Il primo motivo è infondato.

La ricorrente censura la mancanza di specificità dei motivi di gravame del contribuente avverso la sentenza di primo grado, quale violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, ma il motivo è generico, in quanto omette una critica testuale dell’atto di appello, da cui possano trarsi elementi concreti a sostegno dell’assunto.

Peraltro, si evince dalla stesso motivo che il contribuente ha reiterato le motivazioni del ricorso in primo grado, che evidentemente ha considerato idonee a sostenere la legittimità dell’atto stesso ed a confutare le diverse conclusioni cui è giunto il giudice di prime cure, in tal modo assolvendo l’onere di impugnazione specifica (v. Cass. n. 14031 del 2006).

Il secondo motivo è fondato.

Deve infatti rammentarsi che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 recita testualmente che “nel giudizio di appello non possono proporsi domande nuove, e, se proposte, devono essere dichiarate inammissibili d’ufficio”.

Non può dubitarsi che il motivo di appello proposto dal contribuente relativo alla asserita mancanza del requisito della autonoma organizzazione nella attività professionale abbia una causa petendi ed un oggetto radicalmente diversi dall’assunto di un vizio di illegittimità costituzionale della normativa, unico oggetto del ricorso di primo grado.

Al Giudice di appello incombeva pertanto dichiarare l’inammissibilità della nuova domanda. (v. in termini Cass. n. 3681 del 2007).

A tale accertata violazione di legge consegue, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, la cassazione della sentenza senza rinvio.

Il terzo motivo rimane quindi assorbito.

Le spese del giudizio devono essere compensate per i profili sostanziali della controversia esaminata.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero, e compensa le relative spese; rigetta il primo motivo di ricorso della Agenzia;

accoglie il secondo, dichiara assorbito il terzo; cassa senza rinvio la sentenza impugnata e compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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