LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico – Presidente –
Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –
Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 33156-2006 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
Z.G., elettivamente domiciliata in ROMA VIA PIETRO GIANNONE N. 27, presso lo studio dell’avvocato CAPUTO SIMONETTA, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 185/2005 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di BRESCIA, depositata il 24/10/2005;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/12/2009 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;
lette le conclusioni scritte dal P.M. in persona del SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE Dott. SORRENTINO Federico, con cui si chiede che visto l’art. 375 c.p.c., la Corte Suprema di Cassazione, in camera di consiglio rigetti il primo motivo di ricorso per essere manifestamente infondato e accolga il secondo motivo di ricorso per essere manifestamente fondato con le conseguenze di legge.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Z.G., avvocato libero professionista, impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Cremona il silenzio-rifiuto della Amministrazione in ordine alla istanza di rimborso delle somme versate a titolo di IRAP per gli anni dal 1998 al 2001.
La Commissione accoglieva il ricorso, ritenendo che il contribuente non fosse dotato di autonoma organizzazione.
Appellava l’Ufficio, e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sez, staccata di Brescia, con sentenza n. 18/66/05 in data 10.10.05, depositata in data 24-10-2005, rigettava il gravame, confermando la decisione impugnata.
Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione la Agenzia delle Entrate, con due motivi.
Il contribuente resiste con controricorso.
Il P.G., conclude per la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, e la manifesta fondatezza del secondo, ex art. 375 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la Agenzia deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1977, n. 446, artt. 2, 3, 8, 27, 36, artt. 2222 e 2229 c.c, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Sostiene a tale proposito che la legge assoggetta all’imposta, in via di principio, coloro che esercitano attività libero-professionale, e quindi non può essere escluso il presupposto impositivo sulla base di una ritenuta esiguità di mezzi per lo svolgimento della attività, ovvero su una asserita prevalenza delle capacità personali rispetto alla struttura organizzativa. In sostanza, ad avviso dell’Ufficio, il requisito della “autonoma organizzazione” vale ad escludere dalla applicazione della imposta solo alcune categorie di soggetti, quali i collaboratori che svolgono attività coordinata e continuativa, facenti parte di una organizzazione diretta da altri, rimanendo sottoposti ad imposizione tutti gli esercenti arti e professione, a prescindere dalla natura e tipo della organizzazione di cui dispongono. Sostiene infatti che se l’attività professionale svolta produce comunque un valore aggiunto per ciò stesso quella attività deve intendersi come autonomamente organizzata.
Con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione della disciplina di cui alla L. n. 289 del 2002, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Espone che la parte, avendo optato per la definizione automatica per gli anni 1999, 2000, 2001 ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 7, aveva reso definitiva la liquidazione delle imposte, ivi compreso l’IRAP, ed aveva pertanto rinunciato ad eventuali cause di esclusione dal tributo, e di conseguenza, ad ogni contenzioso derivante da esso, nonchè, a fortiori, alla istanza di rimborso.
Il contribuente nel controricorso confuta le argomentazioni dell’Ufficio, in particolare rilevando 1) la inammissibilità dei motivi di ricorso dell’Ufficio, per mancanza dei quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c.; 2) che il documento su cui l’Ufficio attesta la dichiarazione di definizione non è riconducibile al contribuente in quanto ” estratto da un computer”. In primo luogo deve osservarsi che l’art. 366 bis c.p.c entrò in vigore il 1 marzo 2006, unitamente al D.Lgs. n. 40 del 2006, ed è applicabile alle impugnazioni contro le sentenze pubblicate a decorrere da tale data, non quindi alla presente, diretta contro sentenza pubblicata nel 2005. Il primo motivo di ricorso è palesemente infondato, in quanto l’assunto dell’Ufficio prescinde completamente dal requisito dell’autonomia della organizzazione, presumendola in capo ad ogni esercente arte o professione, per il solo fatto di svolgere una attività in proprio.
A tale proposito, deve citarsi la recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 12111 del 2009, secondo cui in tema di IRAP il professionista “è escluso dalla imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al Giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente a) sia sotto qualsiasi forma, il responsabile della organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità od interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio della attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso della imposta asseritamente non dovuta, dare la prova della assenza delle predette condizioni”.
Alla stregua delle espresse considerazioni, che si condividono, la sussistenza del presupposto impositivo (il carattere di autonomia della organizzazione) deve quindi essere sempre valutata in concreto, e non può quindi essere presunta in forza di considerazioni astratte di carattere generale.
Il secondo motivo è invece fondato.
Preliminarmente deve rilevarsi che l’assunto della ricorrente in ordine alla mancanza di valore di prova al documento prodotto dall’Ufficio è generica ed inammissibile, in quanto in controricorso non è riprodotto il documento in questione, nè è spiegato in cosa tale mancata attendibilità dell’attestato di presentazione della istanza di definizione sia fondata, al di là del mezzo meccanico con cui è stata formata.
Tanto premesso, deve rammentarsi il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui in tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, (così come dalla citata Legge, art. 7) la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità di imposte definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per carenza del relativo presupposto (nella specie, IRAP); il condono, infarti in quanto volto a definire “transattivamente” la controversia in ordine alla esistenza di tale presupposto, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta tra trattamenti distinti che non si intersecano tra loro, ovverossia coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo se del caso il rimborso della somme indebitamente pagate, oppure corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, ma senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente corrisposto in via ordinaria. (v. per tutte Cass. n. 3682 del 2007).
Alla stregua di tali principi, che si condividono, il motivo deve essere accolto. La sentenza deve essere cassata senza rinvio, in quanto il giudizio non doveva essere proseguito essendo intervenuta cessata materia del contendere per intervenuto condono ai sensi della L. n. 289 del 2002, limitatamente alle annate 1999, 2000, 2001, con reiezione, per tali anni della pretesa della contribuente.
La sentenza rimane quindi ferma per la annualità 1998, non coperta dal condono.
La definizione del procedimento in massima parte tramite condono giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo; in relazione a questo e nei limiti dello stesso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata; respinge il ricorso introduttivo del contribuente, per gli anni 1999, 2000, 2001; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010