LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –
Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –
Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –
Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
EUROPEA EDIZIONI SPA in persona del Consigliere Dott. B.
A., F.V., considerati domiciliati “ex lege” in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati MUNARI ALESSANDRO, PINTUS LORENZO giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
C.A., R.F., M.P., G.
L., M.G., C.R., B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE CASTRO PRETORIO 124, presso lo studio dell’avvocato SAVINI ALESSANDRO, rappresentati e difesi dall’avvocato BARRA CARACCIOLO FRANCESCO giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrenti ‘
e contro
B.A., C.S., IL SOLE 24 ORE SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1417/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO, SEZIONE SECONDA CIVILE, emessa il 20/4/2005, depositata il 30/05/2005, R.G.N. 1822/2002;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 06/11/2009 dal Consigliere Dott. TALEVI Alberto;
udito l’Avvocato ALESSANDRO SAVINI per delega dell’Avvocato FRANCESCO BARRA CARACCIOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilita’ o rigetto del ricorso e condanna le parti soccombenti alle spese.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo e’ esposto come segue.
“Con atto di citazione notificato in data 30.3 – 9.4.1999 C. A., Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di ***** e i sostituti procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia di *****, R.F., M.P., L. G., M.G., C.R. e G. B., convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Milano F.V., Direttore del quotidiano “*****”, la Societa’ Europea di Edizioni s.p.a., editrice del quotidiano, il Direttore de “*****” C.S., il giornalista di tale ultima testata B.A. e ‘Il Sole 24 Ore” s.p.a., societa’ editrice del quotidiano, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti, patrimoniali e non, da determinarsi in via equitativa, previo accertamento della valenza diffamatoria degli articoli pubblicati da “*****”, in data *****, dal titolo “Vogliamo giudice non padreterni”, a firma di F. V. e da “Il Sole 24 Ore”, dal titolo “Memoria ucciso dalle inchieste” in data *****, a firma del giornalista B.A.. Entrambi gli articoli riguardavano il caso del senatore M.C., suicidatosi buttandosi in mare, mentre dall’estero faceva ritorno, a bordo di un battello, in Italia dove avrebbe dovuto essere eseguita la misura della custodia cautelare in carcere disposta dall’A.G, di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, cui appartenevano gli istanti.
Instaurato il contraddittorio, i convenuti contestavano, in relazione ai rispettivi articoli, il carattere diffamatorio degli stessi, invocando, in subordine, la scriminante del diritto di critica chiedendo il rigetto della domanda.
Istruita la causa documentalmente, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 4579, depositata in data 23.4.2001, riteneva diffamatorio il solo articolo pubblicato su ‘*****” e parte lesa e soggetto offeso da tale illecito il solo C.A., in ragione della sua notorieta’, e non i Sostituti Procuratori della D.D.A. di *****, per non essere individuabili specificamente e, comunque, solamente da una ristretta cerchia di persone.
Il Tribunale escludeva, invece, il contenuto diffamatorio dell’articolo “polemico ma non offensivo” pubblicato su ” *****”.
Respingeva, quindi la domanda proposta dai sostituti procuratori della D.D.A. di *****, condannando in solido, nelle rispettive qualita’, B.A., C.S., e ***** a pagare a C.A. la somma di L. 25.000.000 a titolo di risarcimento danni da reato, oltre a L. 5,000.000 a titolo di riparazione pecuniaria, oltre interessi legali dalla sentenza, condannando i responsabili al rimborso delle spese di lite a favore di C.A., compensando le spese processuali tra le altre parti.
Avverso tale sentenza proponevano appello, con atto di citazione notificato in data 5.6.2002 C.A., R.F., M.P., G.L., M.G., C. R. e B.G..
I sostituti procuratori della D.D.A. assumevano l’erroneita’ della motivazione nella parte in cui la sentenza aveva escluso la loro legittimazione attiva e tutti gli appellanti censuravano la sentenza nella parte in cui era stata esclusa la valenza diffamatoria dell’articolo pubblicato da ‘*****’.
Chiedevano, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento delle conclusioni rassegnate, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
Si costituivano tutti gli appellati, contestando i motivi addotti dall’appellante, insistendo per il rigetto dei motivi di appello.
I soli S.A., C.S., e Il Sole 24 ore s.p.a. proponevano appello incidentale per i seguenti motivi: 1) erronea declaratoria di legittimazione attiva a favore di C. A., 2) erronea affermazione della valenza diffamatoria dell’articolo apparso su “*****”.
Chiedevano, in riforma dell’impugnata sentenza, la reiezione della domanda degli appellanti, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
La causa passava, quindi, in decisione sulle conclusioni delle parti trascritte in epigrafe.
Con sentenza 20.4 – 30.5.2005 la Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando, decideva come segue: “in parziale riforma dell’impugnata sentenza dichiara la legittimazione attiva di R.F., M.P., G.L., M. G., C.R. e B.G., condanna in solido C.S., B.A. e Il Sole 24 Ore s.p.a. a pagare a R.F., M.P., G.L., M.G., C.R. e B.G. la somma, per ciascuno, di Euro 8.000,00 per danno non patrimoniale e di Euro 2,000,00 a titolo di riparazione pecuniaria condanna in solido F.V., la Societa’ Europea di Edizioni s.p.a., a pagare a favore di C.A. l’importo di Euro 13.000,00 e, a favore di R.F., M.P., G.L., M. G., C.R. e B.G. la somma, per ciascuno, di Euro 8.000,00 per danno non patrimoniale e la ulteriore somme di Euro 3.000,00 a favore di C.A. e di Euro 2.000,00, per ciascuno, a favore di R.F., P. M., G.L., M.G., C.R. e B.G. a titolo di riparazione pecuniaria condanna in solido gli appellati al rimborso, a favore degli appellanti, delle spese processuali del doppio grado di giudizio che liquida, per il giudizio di primo grado, in Euro 220,00 per spese, Euro 1.640,00 per diritti, Euro 2.520,00 per onorario, oltre le spese gia’ liquidate a favore di C.A. e, per il giudizio di appello, in Euro 290,00 per spese, Euro 1.832,00 per diritti, Euro 5.378,00 per onorario, oltre su entrambi gli importi spese generali ed accessori di legge.
Contro questa decisione hanno proposto ricorso per Cassazione la SOCIETA’ EUROPEA DI EDIZIONI S.P.A. e F.V..
Hanno resistito con controricorso C.A., R. F., M.P., G.L., M.G., C.R., B.G..
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi.
Con il primo motivo (la “BREVE PREMESSA DI CARATTERE GENERALE. L’APPELLO: NATURA E FUNZIONE.” ovviamente non costituisce, anche secondo l’assunto dei ricorrenti, un motivi di ricorso; ma solo – appunto – una premessa) i ricorrenti denunciano “OMESSA E/O INSUFFICIENTE MOTIVAZIONE CIRCA UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA, Al SENSI DELL’ART. 360 C.P.C., COMMA 1, N 5” esponendo doglianze da riassumere come segue. La sentenza di primo grado esponeva l’iter logico – giuridico che aveva condotto alla decisione. Invece la sentenza di secondo grado e’ totalmente immotivata e tautologica.
Infatti vi si afferma semplicemente: “Nella fattispecie, in relazione all’articolo apparso su ***** esulano dal diritto di critica e costituiscono espressioni lesive dell’onore e del decoro degli appellanti le espressioni adoperate, pur poste in relazione con la paura della galera per i terroristi delle Brigate Rosse, dal titolo emblematico Vogliamo giudici non Padreterni, in cui si conclude:
…una giustizia che consenta accadano fatti del genere (con riferimento implicito ma evidente, anche alla vicenda M. C.), quanto a spirito nazista, e’ seconda soltanto a chi l’amministra nel modo che sappiamo, ove, sempre a proposito della vicenda M.C., si legge indizi tanti, prove zero. Il Collegio, si e’ limitato esclusivamente ad affastellare, senza neppure una precisa e chiara logica, alcuni precedenti giurisprudenziali in tema di diritto di critica, senza tuttavia preoccuparsi di “ancorarli” alla fattispecie sottoposta al suo esame.
Gli orientamenti giurisprudenziali non sono stati rapportati al caso di specie”.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DI NORME DI DIRITTO EX ART. 360 C.P.C., COMMA 1, N. 3 C.P.C, ED IN PARTICOLARE DELL’ART 595 C.P., ANCHE IN RELAZIONE ALLA SCRIMINANTE, Al SENSI DELL’ART 51 C.P., DELL’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI CRITICA” esponendo censure che vanno riassunte nel modo seguente.
1. La supposta natura diffamatoria dell’articolo de quo. La valutazione della portata diffamatoria di un articolo deve essere effettuata prendendone in esame l’intero contenuto, sia sotto il profilo letterale sia sotto il profilo delle modalita’ complessive con le quali la notizia viene riportata. Nella specie un’attenta disamina dell’intero articolo avrebbe certamente evidenziato la palese inidoneita’ del pezzo de qua a ledere la reputazione, l’opinione goduta dagli inquirenti napoletani in seno alla collettivita’ nella quale erano inseriti. L’articolo non aveva ad oggetto la “vicenda M.C.” e l’operato dei magistrati che della stessa si erano occupati, ma era stato semplicemente l’occasione per permettere al giornalista, in ossequio alle proprie convinzioni politiche ed ideologiche, di esprimere il proprio personale punto di vista. Il dott. F.V., in particolare, aveva condannato le degenerazioni del nostro sistema giudiziario, accusandolo di non tenere in debita considerazione gli “effetti collaterali” che l’applicazione della suddetta misura coercitiva poteva ingenerare e di operare un’ingiusta equiparazione tra coloro che, come i “delinquenti abituali”, “considerano la reclusione l’evento piu’ probabile della loro vita, un (…) incidente del mestiere” e chi, al contrario, “non campa di espedienti e non e’ abituato a sconfinare nell’illecito”, si’ da rimanere atterrito all’idea di essere tradotto in carcere. E nel solco di tale convincimento, aveva censurato la discrezionalita’ goduta dall’Autorita’ Giudiziaria; non aveva cioe’ nascosto il suo disappunto per la possibilita’ che la custodia cautelare potesse essere disposta anche nei confronti di soggetti non avvezzi al crimine la cui colpevolezza non era ancora supportata da prove, ma da meri indizi; cosi’ come aveva lamentato che la restrizione in carcere potesse essere impiegata come strumento per indurre gli indagati alla confessione. In un simile contesto, dunque, andavano lette le espressioni “Vogliamo giudici non Padreterni”, “indizi tante, prove niente” e “spirito nazista”, oggetto delle avverse doglianze nei due gradi di giudizio. Tale ultima espressione altro non era che una perifrasi iperbolica, volta a sottolineare, in generale, il carattere antidemocratico del ricorso improprio alla misura coercitiva della carcerazione preventiva.
2. L’esercizio del diritto di critica.
I presupposti per il corretto esercizio di detta esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza dell’espressione; il Collegio, chiamato a pronunciarsi sul punto, se per un verso ha ritenuto sussistente il primo di tali due presupposti, per l’altro ha escluso il secondo senza motivazione. La Corte di Cassazione ha statuito che la critica postula una maggiore liberta’ dialettica e puo’ esplicarsi con l’uso di toni oggettivamente aspri e polemici. Gli orientamenti giurisprudenziali in materia sono stati ignorati dal Giudice del gravame. Le espressioni impiegate dal giornalista nel corpo del pezzo non erano certamente denigratorie od offensive o tali da ledere l’onore o la reputazione dei Procuratori di *****, oltretutto mai menzionati. E soprattutto, non erano gratuite, ma all’opposto inserite nell’ambito di un commento critico motivato, nel quale il giornalista, se da un lato aveva duramente censurato l’operato della Magistratura, non aveva mancato di precisare le ragioni che lo avevano condotto ad una tale dura presa di posizione. Aveva segnalato, ad esempio, come un borghese, “anche se colpevole dei reati che gli venivano attribuiti”, avrebbe certamente preferito il suicido al carcere, visto come una vera e propria forma di tortura psicologica; di li la necessita’, sentita dall’autore, che la materia fosse oggetto di una profonda riforma e che la misura della carcerazione preventiva, quanto meno nei confronti dei suddetti soggetti, venisse disposta sulla base di prove e non di meri indizi.
I motivi sopra riassunti sono privi di pregio.
Infatti la Corte d’Appello di Milano ha fondato la sua decisione su una motivazione sufficiente (anche se parzialmente implicita), logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.
In particolare va rilevato quanto segue.
Secondo la tesi (parzialmente implicita) della Corte di merito, attribuire all’attivita’ dei magistrati in questione uno “spirito nazista” significa (specie nel contesto dell’articolo de qua) usare espressioni caratterizzate da una efficacia e da una valenza offensiva che da un lato e’ molto grave e dall’altro non era necessaria per esporre le critiche contenute nell’articolo. In altri termini, (sempre secondo detta tesi parzialmente implicita) l’oggettiva capacita’ offensiva e diffamatoria di questa affermazione emerge dal fatto che nella societa’ odierna chiunque venga accusato di operare con spirito nazista viene (secondo la comune opinione) offeso; e tanto piu’ bruciante e’ l’offesa per ogni magistrato; che, in quanto tale, ha come primo dovere professionale quello di operare rispettando i principi democratici del nostro ordinamento.
Va poi escluso (sempre secondo detta tesi) che si sia rispettata l’esigenza della continenza, intesa come il rispetto dei requisiti minimi di forma – come ad esempio l’assenza di termini esclusivamente insultanti – che debbono caratterizzare non solo la cronaca ma anche la critica, in quanto nella fattispecie le predette espressioni lesive della reputazione altrui (ed in particolare le parole “spirito nazista”), non erano per nulla necessarie per la manifestazione di un ragionato dissenso dal comportamento preso di mira (il dissenso avrebbe ben potuto essere espresso anche senza parlare di spirito nazista) ma si risolvevano invece in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione dei magistrati suddetti (si e’ trattato insomma di termini esclusivamente insultanti).
E’ vero che non tutto quanto ora esposto e’ esplicitamente contenuto nella motivazione in questione. Ma le parti implicite emergono chiaramente dal contesto; e tra l’altro anche (e soprattutto) dalla giurisprudenza richiamata nella sentenza. Va precisato che trattasi proprio di quei precedenti giurisprudenziali che secondo il ricorso sono stati affastellati senza una precisa e chiara logica, e che invece, se considerati alla luce del contesto, contribuiscono a condurre all’interpretazione ora esposta (oltre alla giurisprudenza richiamata nell’impugnala sentenza cfr. anche, a dimostrazione dell’assenza di vizi giuridici: Cass. Sentenza n. 1976 del 27/01/2009; Cass. Sentenza n. 23314 de 08/11/2007; cfr. anche Sentenza n. 23314 del 08/11/2007; Cass. Sentenza n. 17395 del 08/08/2007; Cass. Sentenza n. 17172 del 06/08/2007; Cass. Sentenza n. 22527 del 20/10/2006; Cass. Sentenza n. 1205 del 19/01/2007).
Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come esposto nel seguente dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti a rifondere alle parti controricorrenti le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 2.000,00 (duemila/00 Euro) per onorario, oltre Euro 200,00 (duecento/00 Euro) per spese vive ed oltre spese generali ed accessori come per legge.
Cosi’ deciso in Roma, il 6 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010