LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. CALABRESE Donato – Consigliere –
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19634/2005 proposto da:
B.S. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 88, presso lo studio dell’avvocato CURTI Mara, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MOLIN GIOVANNI, ANDRICH ANDREA giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
P.A. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DURAZZO 9, presso lo studio dell’avvocato SCAPATO GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato MINELLI Giovanni giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
CRISRIAN DI MILAN DINO & C SAS, M.M., M.D.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 709/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, Sezione Terza Civile, emessa il 7/6/2004, depositata il 03/05/2005, R.G.N. 1863/2000;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito l’Avvocato MARA CURTT;
udito l’Avvocato GIUSEPPE RIZZI per delega dell’Avvocato GIOVANNI MINELLI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’iter processuale può essere così ricostruito sulla base della sentenza impugnata.
Con citazione del luglio 1997 B.S. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia M.M. ed P.A., deducendo di avere loro corrisposto, tra il ***** e il *****, le somme di L. 95.000.000, con pattuizione di interessi al tasso del 20%, e di L. 55.000.000, senza pattuizione di interessi. Espose che il P., suo vecchio amico, impiegato nel laboratorio dentistico di M.M., gli aveva chiesto un prestito di L. 150.000.000, da destinare a quest’ultimo. Rappresentò che egli aveva acconsentito, chiarendo che avrebbe mutuato la somma al P., il quale poi l’avrebbe consegnata al M. e che, a garanzia del mutuo, il beneficiario aveva rilasciato due assegni dell’importo di L. 85.000.000, privi di data in favore del P., che glieli aveva girati. Riferì quindi che il M. gli aveva restituito la sola somma di L. 43.136.000, dalla quale andava tuttavia detratto l’importo di L. 17.500.000, pari a quello da lui versato a fronte della girata di un assegno, poi risultato scoperto.
Aggiunse che lo stesso, vero mutuatario, aveva dichiarato a garanzia della sua solvibilità di essere proprietario all’80% delle quote di Cristian di Milan Moreno e Dino s.n.c., società proprietaria delle apparecchiature di due studi dentistici e di un immobile in *****.
Tale società aveva peraltro subito profonde modifiche pregiudizievoli ai creditori, essendosi trasformata prima nella società Cristian di Milan Dino & C. s.n.c., e poi in Cristian di Milan Dino & C. s.a.s., con assunzione della carica di socio accomandante da parte di M.M. e di socio accomandatario da parte del padre M.D., il quale era perfettamente a conoscenza della situazione debitoria del figlio.
Sulla base di tali premesse, il B. chiese al giudice adito la condanna in solido di M.M. e di P.A. alla restituzione dell’importo di L. 95.000.0000, maggiorato degli interessi al 20%; la condanna, inoltre, degli stessi alla restituzione della somma di L. 44.800.000, detratto quanto successivamente versato, con gli interessi al tasso legale; in accoglimento dell’azione revocatoria, la dichiarazione di inefficacia dell’atto in data 7 gennaio 1993 di cambiamento della denominazione della società Cristian di Milan Moreno e Dino s.n.c. in Cristian di Milan Dino & C. s.n.c.; di variazione delle quote; di cessazione delle cariche di M.M., nonchè dell’atto in data *****, di trasformazione della società in Cristian di Milan Dino &
C. s.a.s., in quanto atti posti in essere successivamente alle predette operazioni di mutuo, in pregiudizio delle sue ragioni.
Costituitosi in giudizio il P. chiese, con varie argomentazioni, il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti previa, se necessaria, declaratoria di illiceità e nullità del contratto in data *****, intervenuto tra il M. e il B., di cessione, da parte del primo, di quota pari all’80% della società Cristian di Milan Moreno e Dino s.n.c., in quanto integrante, a tutti gli effetti, un’ipotesi di patto commissorio vietato per legge.
M.M. sostenne il carattere usurario degli interessi pattuiti nonchè l’inammissibilità della domanda di inefficacia degli atti di Cristian di Milan Dino & C. s.a.s.. Chiese, in via riconvenzionale, la rescissione del contratto di mutuo per lesione ultra dimidium con condanna dell’attore alla restituzione delle somme percepite.
Con atto depositato il 7 novembre 1997 si costituirono Dino Milan e Cristian di Dino Milan & C. s.a.s., svolgendo, in ordine alla azione revocatoria, le medesime eccezioni di M.M..
1.1 Con sentenza depositata il 25 ottobre 1999 il Tribunale di Venezia, rigettata ogni altra domanda, condannò M.M. al pagamento in favore dell’attore della somma di L. 81.164.000, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
La Corte d’appello di Venezia, innanzi alla quale tale pronuncia venne impugnata, in via principale, dal B., e incidentale da M.M., M.D. e Cristian di Dino Milan & C. s.a.s., con sentenza del 7 giugno 2004, rigettò gli appelli di B. S. e di M.M., mentre dichiarò inammissibile, per carenza di interesse, quello di M.D. e della società.
1.2 Si riportano qui di seguito i punti salienti della motivazione del provvedimento impugnato, riservando di farne un’esposizione più dettagliata in occasione dell’esame dei singoli motivi di ricorso.
Secondo la Corte territoriale il Tribunale aveva pronunciato nei limiti delle domande ed eccezioni delle parti, perchè il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., non osta a che il giudice aderisca a una ricostruzione dei fatti autonoma, rispetto a quella prospettata, e che applichi, inoltre, una norma giuridica non invocata dall’attore.
Nella fattispecie le domande formulate dal B. contro M. M., M.D. e la società in accomandita erano collegate a quelle proposte contro il P., di modo che vi era un nesso di dipendenza tra l’accertamento dei rapporti tra il B. e il M. e l’accertamento del ruolo del P.. Questi, conseguentemente, aveva interesse a dedurre la sussistenza di un patto commissorio vietato dalla legge.
Il contratto in data ***** non era un contratto di mutuo, bensì un contratto simulato di cessione di quota sociale destinato a dissimulare un contratto di mutuo garantito da patto commissorio vietato ex art. 1963 cod. civ.. Correttamente, pertanto, il Tribunale ne aveva accertato la nullità in applicazione del principio per cui il giudice, ex art. 1421 cod. civ., è tenuto a rilevare d’ufficio, e indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, la nullità di un contratto del quale venga chiesta in giudizio l’applicazione.
Il tasso di interessi applicato al contratto di mutuo in data ***** era di fatto pari al 70%, ed era pertanto certamente usurario, benchè il prestito fosse stato erogato prima della entrata in vigore della L. n. 108 del 1996.
La nullità dei contratti di mutuo del ***** e del ***** comportava come inevitabile conseguenza che gli interessi legali dovevano farsi decorrere dalla domanda giudiziale.
Andavano rigettate le domande proposte nei confronti del P., posto che questi non era stato parte del contratto stipulato il ***** fra M.M. e B.S. tecnicamente qualificabile come contratto simulato di cessione di quota sociale, volto a dissimulare un contratto di mutuo con patto commissorio vietato dall’art. 1963 cod. civ. – di modo che poteva essere considerato debitore solo in base ad assegni emessi a garanzia del pagamento.
Peraltro tali titoli, in quanto privi di data e comunque prescritti, R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, ex art. 75, valevano al più come riconoscimento di debito o promessa di pagamento che, causalmente connessi al contratto illecito innanzi menzionato, erano nulli siccome volti a realizzare interessi non meritevoli di tutela, secondo l’ordinamento giuridico.
L’azione causale, in ogni caso, fondata sul rapporto sottostante all’emissione o alla trasmissione del titolo, era esercitabile unicamente tra le parti del predetto rapporto.
La prova documentale della quale sì chiedeva l’ammissione non poteva trovare ingresso in appello, non potendo essere così aggirate le preclusioni di cui all’art. 184 cod. proc. civ.. Nè parimenti sussistevano le condizioni di ammissibilità del deferito giuramento, mancando il requisito della decisorietà.
1.3 Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione B.S., articolando cinque motivi e notificando l’atto a M.M., M.D., Cristian di Milan Dino & C. s.a.s., nonchè ad P.A..
Solo quest’ultimo ha notificato controricorso, mentre gli altri intimati non hanno svolto alcuna attività difensiva.
Il ricorrente ha altresì depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Col primo motivo l’impugnante lamenta travisamento del fatto, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione a pronuncia affetta da ultrapetizione; omessa pronuncia, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., artt. 1418, 1421, 1812, 1963 e 2744 c.c., art. 1362 cod. civ., e segg., ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5, per avere il giudice d’appello confermato la declaratoria di nullità del contratto in data *****, in quanto integrante patto commissorio e mutuo usuraio, benchè l’eccezione fosse stata sollevata dal P. che, a ben vedere, non aveva alcun interesse giuridicamente rilevante a chiedere e a ottenere la declaratoria di nullità della promessa cessione di quote.
In ogni caso, nel qualificare il patto come commissorio, non aveva il giudice d’appello considerato che, nella pregressa fase del giudizio, le parti non avevano invocato l’istituto della simulazione nè giammai il B. aveva chiesto il trasferimento delle quote, di modo che, in un giudizio volto esclusivamente alla restituzione delle somme mutuate, il decidente aveva dichiarato la nullità di un contratto che non era elemento costitutivo della domanda.
Peraltro il P., difendendosi con la sola allegazione della invalidità del rapporto di cessione in quanto in frode alla legge, aveva con ciò stesso confermato il proprio coinvolgimento nel negozio di mutuo.
1.2 Col secondo mezzo il ricorrente denuncia travisamento del fatto, contraddittorietà della motivazione, violazione dell’art. 1224 c.c., art. 1193 c.c., e segg., art. 1219 c.c., art. 1813 c.c., e segg., nonchè delle leggi antiusura (n. 24 del 2001 e n. 108 del 1996), nullità della sentenza, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5, sotto il profilo che il decidente avrebbe apoditticamente affermato la natura usuraia del tasso di interesse, benchè nei motivi di appello fosse stata specificamente contestata l’affermazione del giudice di prime cure secondo cui esso era pari al 70% annuo.
La Corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio di travisamento del fatto, perchè non avrebbe valutato in modo complessivo il rapporto in essere tra le parti: non avrebbe segnatamente considerato l’ulteriore prestito di L. 55.000.000, relativamente al quale era stata convenzionalmente stabilita l’esclusione degli interessi, con contestuale clausola di restituzione della somma entro tre mesi dalla conclusione dell’accordo, e spettanza degli interessi al saggio legale ex art. 1224 cod. civ., dal momento della scadenza dell’obbligazione. In sostanza, all’affermazione del carattere usurario degli interessi, contenuta nella sentenza di prime cure, la Corte d’appello aveva prestato fideistica adesione, con pronuncia priva di motivazione, laddove nell’atto di gravame era stato espressamente valorizzato il principio di prova per iscritto costituito dal tenore letterale dell’atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, che escludeva la corresponsione di qualsivoglia interesse.
Con particolare; riguardo, poi, alla allegata violazione dell’art. 1813 cod. civ., e segg., nonchè delle disposizioni della c.d. legge antiusura, ricorda l’esponente che il criterio legale di determinazione del saggio usuraio è entrato in vigore il 1 dicembre 1997, e che la norma interpretativa costituita dal D.L. 29 dicembre 2000, art. 1, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 28 febbraio 2001, n. 24, ha stabilito che sono usurari gli interessi quando superano il limite nel momento in cui sono stabiliti o promessi, indipendentemente dal momento in cui sono pagati.
Aggiunge che la Corte costituzionale, nel dichiarare manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 24, 41, 47 e 77 Cost., la questione di legittimità costituzionale della disposizione innanzi menzionata, ha statuito che essa muoveva dall’erronea premessa interpretativa della originaria applicabilità della L. n. 108 del 1996, anche ai contratti in corso al momento della sua entrata in vigore.
Richiama quindi il deducente i numerosi elementi di fatto addotti nel giudizio di merito per dimostrare che il tasso convenzionalmente pattuito non poteva ritenersi usurario, tanto più che, nel momento in cui il mutuo fu stipulato, la svalutazione monetaria su base annua era dell’8%. Del tutto contraddittoriamente avrebbe poi la Corte territoriale, da un lato, ritenuto infondata la domanda di rescissione per lesione, per mancanza di prova della conoscenza, da parte del B., del preteso stato di bisogno di M.M.;
dall’altro, scrutinato positivamente il carattere usurario degli interessi pattuiti, senza considerare la sostanziale omogeneità delle situazioni sottese alle tutele presidiate dall’art. 1448 cod. civ. e artt. 1813 e 1815 cod. civ., così assumendo, in definitiva, decisioni contrastanti.
Con particolare riguardo al contratto in data *****, col quale venne mutuata la somma di L. 55.000.000, evidenzia il ricorrente che, essendone prevista la restituzione entro tre mesi dalla conclusione dell’accordo, gli interessi legali, in virtù del principio dies interpellat pro homine, dovevano farsi decorrere dal 12 maggio 1991.
1.3 Col terzo motivo viene dedotto travisamento del fatto e violazione di legge, in relazione alla quantificazione degli importi versati dal M. nonchè vizio di omessa pronuncia, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5, con specifico riguardo all’esclusione dal computo delle somme dovute al mutuante dell’importo dell’assegno di L. 17.500.000, girato dal M. al B. il ***** e rimasto impagato. Denuncia inoltre l’impugnante che nel dodicesimo motivo di gravame aveva specificamente segnalato che, detraendo dalla somma complessivamente mutuata, pari a L. 150.000.000, la somma di L. 58.836.000, asseritamente già corrisposta, l’ammontare di quanto ancora dovuto risultava pari a L. 91.164.000, e non a già L. 81.164.000, come affermato nella sentenza impugnata per un evidente errore materiale.
Quanto alla decorrenza degli interessi, essi, in ragione della nullità dei contratti di mutuo erano stati fatti decorrere dalla domanda laddove, considerato che i crediti producono frutti dal momento in cui diventano liquidi ed esigibili e che l’obbligazione del mutuatario di restituire quanto ricevuto sorge dalla dazione della somma mutuata, la decisione del giudice di merito di riconoscere gli interessi dalla domanda era priva di qualsivoglia fondamento logico e giuridico.
In definitiva gli interessi sulle somme mutuate dovevano essere calcolati a partire dalla dazione, relativamente al contratto *****, e dalla scadenza del termine finale di restituzione, per quello concluso il *****: in nessun caso, comunque, essi potevano essere calcolati dalla domanda.
1.4 Col quarto mezzo il ricorrente denuncia travisamento del fatto e violazione dell’art. 1813 c.c., e segg., art. 1363 c.c., e segg., ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, con riguardo al rapporto sostanziale intercorso col P..
Riportate le argomentazione svolte nell’atto di appello, osserva l’impugnante che la decisione della Corte Territoriale si era limitata e ripercorrere l’iter argomentativo seguito dal giudice di prime cure, segnatamente insistendo sull’assunto che l’obbligazione del P., per ammissione dello stesso B., era fondata unicamente sugli assegni, senza considerare che la realità del mutuo non è incompatibile con la consegna del denaro a un terzo che, in quanto tale, diviene parte del contratto e che le norme sulla interpretazione dei contratti si applicano anche ai negozi unilaterali, tra i quali certamente rientrano i negozi documentati da un titolo di credito, ancorchè, in relazione ad essi, non siano più esperibili le azioni cartolari per decorso del tempo.
In sostanza la Corte, pur riconoscendo il collegamento tra il mutuo e la sottoscrizione degli assegni, ne aveva affermato la irrilevanza giuridica, in ragione della declaratoria, resa peraltro d’ufficio, della nullità di altro rapporto, senza neppure valutare i prodotti titoli di credito come documenti idonei a provare il reale contenuto negoziale dell’atto e a integrare un principio di prova in relazione al deferimento del giuramento decisorio.
1.5 Col quinto motivo (erroneamente classificato come quarto) l’impugnante deduce violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., art. 2736 cod. civ., e segg., art. 233 cod. proc. civ., e segg., ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, con riferimento alla mancata ammissione del giuramento decisorio e delle prove documentali.
Segnatamente, secondo la Corte territoriale, il deferito giuramento non avrebbe avuto il carattere della decisorietà, laddove il mezzo proposto tendeva proprio a far confessare al P. il suo diretto coinvolgimento nel contratto e al M. alcune circostanze rilevanti nella determinazione dell’ammontare del debito.
Erroneamente, inoltre, la Corte Territoriale non aveva consentito la produzione di nuovi documenti in appello, in violazione del disposto dell’art. 345 cod. proc. civ., e in contrasto con la giurisprudenza del Supremo Collegio che ne ammette l’acquisizione, anche quando in prime cure si sia decaduti dalla possibilità di produrli.
1.6 Col sesto motivo il ricorrente denuncia travisamento del fatto e contraddittorietà della motivazione nonchè violazione di legge, in relazione alla ritenuta inapplicabilità dell’art. 2091 cod. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, con riferimento al rigetto della domanda di revocazione, motivato con l’assunto che nessun atto di disposizione del patrimonio era stato posto in essere da M. M. e che neppure era stato provato il consilium fraudis.
Deduce che il giudice di merito non aveva considerato che, a seguito delle delibere di cui si chiedeva la revoca, la partecipazione societaria di M.M. si era praticamente svuotata. Peraltro, considerato che l’altro socio era M.D., padre del debitore che non poteva non essere al corrente delle difficoltà finanziarie del figlio, ricorreva certamente anche il consilium fraudis.
2.1 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, in quanto intrinsecamente connessi, il primo, il quarto e il quinto motivo di ricorso.
Le doglianze con essi proposte sono infondate, ancorchè la motivazione della sentenza impugnata debba essere integrata e corretta, ex art. 384 cod. proc. civ., u.c..
Va condiviso l’assunto secondo cui la problematica relativa alla pretesa illiceità e nullità del contratto in data ***** di cessione, da parte di M.M. al B., di quota pari all’80% del capitale sociale di Cristian di Milan Moreno & Dino s.n.c., costituiva un tema di indagine superato dal tenore delle domande proposte dall’attore.
Sta di fatto che, per quanto riportato nella sentenza impugnata, l’esistenza della società, o meglio della partecipazione sociale, era stata in citazione evocata esclusivamente come; cespite costituente la garanzia generica dei creditori, tanto vero che in relazione a tale prospettazione, il B. aveva altresì proposto domanda revocatoria delle delibere implicanti la trasformazione della società, in quanto atte a pregiudicare le sue aspettative di soddisfazione.
La circostanza che non sia mai stato giustiziato il preteso contratto dissimulato – non avendo l’attore chiesto il completamento del programma negoziale delineato nel preliminare di cessione della quota – ma solo il mutuo, asserito contratto simulato, smentisce l’utilità pratica e la legittimazione giuridica di ogni indagine sulla sua validità. Peraltro della correttezza di tale rilievo è stato presumibilmente convinto lo stesso giudice di merito che, pur avendo fondato la scelta operata in dispositivo anche sulla nullità del contratto di cessione della quota sociale, si è limitato in sentenza a statuire sulla sola domanda di condanna alla restituzione delle somme mutuate, senza far precedere tale pronuncia da quella dichiarativa della nullità del patto di cessione, che pure era stata espressamente proposta dal P. per l’ipotesi che la si fosse ritenuta necessaria al fine di rigettare le pretese azionate nei suoi confronti.
2.2 La sostanziale adesione del collegio, in parte qua, ai rilievi formulati nei motivi di ricorso non giova tuttavia sul piano pratico al ricorrente, perchè non scalfisce la tenuta del provvedimento impugnato in ordine alla affermazione della estraneità del P. al rapporto di mutuo per cui è controversia.
Mette conto all’uopo evidenziare che le argomentazioni difensive del B. solo apparentemente supportano l’assunto che coobbligato con M.M. fosse anche il P.. In realtà, pacifico in causa che il primo era l’unico, effettivo beneficiario e utilizzatore del prestito, esse, quando non prospettano contraddittoriamente un ruolo di garante del P., partono dal presupposto che la semplice consegna del denaro nelle mani di questi lo avrebbe reso parte del contratto: presupposto errato sia in astratto che in concreto, in ragione del dirimente rilievo che il consegnatario poteva essere – e fu in realtà, secondo la plausibile ricostruzione della vicenda accolta dal giudice di merito – un mero adiectus solutionis causa.
Le critiche del ricorrente non insidiano in definitiva la correttezza sul piano logico e giudico del convincimento della Corte territoriale, secondo cui i tentativi del mutuante di impegnare giuridicamente anche il P. non ebbero effetto o si tradussero in mezzi non azionabili contro lo stesso.
Così, la funzione di garanzia, chiaramente perseguita attraverso il successivo trasferimento degli assegni rilasciati dal M., secondo quanto attestato dallo stesso B. nel corso del giudizio, è stata correttamente ritenuta dal giudice di merito un’arma spuntata: i titoli, emessi dal mutuatario in favore del P., girati da questi alla F., compagna del traente, e dalla F. al B., potevano al più essere utilizzati, in quanto privi di data e quindi nulli, R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, ex artt. 1 e 2, e a termine semestrale per l’esercizio dell’azione di regresso ormai scaduto (ex art. 75 della medesima fonte), come riconoscimento di debito o promessa di pagamento. E tuttavia siffatto utilizzo, in quanto implicante l’esercizio dell’azione causale, fondata sul rapporto sottostante all’emissione o alla trasmissione del titolo, era possibile solo tra le parti di ciascuno di tali rapporti, non quindi tra il prenditore e uno dei precedenti giranti.
Nè può condividersi l’assunto che siffatte emergenze fattuali e la stessa allegazione, da parte del P., della invalidità del contratto di cessione di quota, in quanto in frode alla legge, sarebbero comunque idonee a dimostrare il coinvolgimento del P. nel contratto di mutuo, non rilevando, ai fini che qui interessano, un coinvolgimento quale che sia, di mero fatto, ma solo una partecipazione attiva idonea a ingenerare un vinculum iuris, partecipazione rimasta, invece, per quanto innanzi detto, indimostrata.
2.3 In tale contesto neppure possono condividersi le critiche alla mancata ammissione dei mezzi di prova articolati nel giudizio di gravame.
Quanto al giuramento decisorio, si ricorda che questo non può avere ad oggetto la qualificazione giuridica di una fattispecie, che è compito riservato esclusivamente al giudice (da mihi factum, dabo tibi ius), ma solo circostanze di fatto, dalle quali dipenda la decisione di uno o più capi della domanda, di modo che al decidente, previo accertamento sull’an iuratum sit, non resti altro che accoglierli o rigettarli (confr. Cass. civ., 2^, 8 giugno 2007, n. 13425).
Sennonchè, a ben vedere, il giuramento deferito al P. non poteva servire che a dimostrare l’avvenuta consegna del denaro nelle mani dello stesso, fatto, questo, non contestato, e tuttavia inidoneo, per quanto innanzi detto, a qualificare la dazione in termini di mutuo.
Con riguardo, invece, al giuramento deferito a M.M., correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che esso avesse ad oggetto circostanze o estranee al thema decidendum o ininfluenti, ai fini del decidere.
Infine, le censure relative alla mancata ammissione della prova documentale difettano di autosufficienza per omessa indicazione e trascrizione dei documenti non ammessi dal giudice d’appello o, quanto meno, delle parti significative degli stessi, adempimento indispensabile al fine di consentire il necessario vaglio di decisività del mezzo (confr. Cass. civ., 2^, 22 giugno 2007, n. 14608; Cass. civ., 3^, 25 agosto 2006, n. 18506).
3. Ragioni di ordine espositivo consigliano di passare all’esame del sesto motivo di ricorso, prima di scrutinare quelle svolte nel secondo e nel terzo.
Le doglianze con lo stesso svolte sono infondate.
In proposito è sufficiente rilevare che neppure si comprende in che senso e per quale ragione la partecipazione sociale del debitore si sarebbe svuotata a seguito delle delibere di trasformazione, nè il ricorrente esplicita in alcun modo in cosa consisterebbe il paventato eventus damni.
A ciò aggiungasi che, mentre i limiti di aggredibilità della quota del socio, da parte del suo creditore particolare, sono gli stessi nella società in nome collettivo e nella società in accomandita semplice (comb. disp. artt. 2305 e 2315 cod. civ.), la dismissione del ruolo di accomandatario, con assunzione di quello di accomandante, giova, piuttosto che nuocere, ai suoi creditori, posto che l’accomandatario risponde illimitatamente per le obbligazioni sociali (art. 2313 cod. civ.).
4. Fondate sono invece le altre censure.
Con riguardo a quelle formulate nel secondo motivo, l’affermazione che il tasso di interessi di fatto praticato in relazione al contratto in data *****era pari al 70% ed era come tale usurario è, a ben vedere, affatto apodittica. E invero il decidente, dopo avere asserito che all’uopo bastava solo fare il calcolo matematico ed avere evidenziato che, con riferimento alla somma di L. 95.0000.000, era stata convenuta la corresponsione degli interessi nella misura del 20%, ha aggiunto che, in calce al contratto, vi erano le ricevute di pagamento degli importi di L. 5.000.000 mensilmente versati dall'***** al *****, senza specificare, come pur sarebbe stato necessario, se gli stessi erano stati imputati solo agli interessi o anche al capitale e in quale misura.
A ciò aggiungasi che, dopo avere confermato il rigetto della domanda di rescissione per lesione in ragione delle perplessità maturate sull’effettiva sussistenza dello stato di bisogno del mutuatario e, ancor più, sulla conoscenza dello stesso da parte del mutuante, non si è confrontato con le implicazioni connesse alle reiterate affermazioni giurisprudenziali secondo cui nel regime anteriore alla L. n. 108 del 1996, il negozio di mutuo era da considerarsi illecito per pattuizione di interessi a tasso elevato solo nel caso di sussistenza degli estremi del delitto di usura di cui all’art. 644 cod. pen., (nella previgente formulazione), con conseguente necessità della sussistenza dello stato di bisogno del mutuatario e dell’approfittamento del mutuante (Cass. civ., 3^, 17 luglio 2008, n. 19698).
5.1 Quanto alle critiche formulate nel terzo mezzo, nel dodicesimo motivo di gravame il ricorrente aveva specificamente dedotto che dall’importo mutuato dal B. a M.M., complessivamente pari a L. 150.000.000, il Tribunale aveva detratto la somma di L. 58.836.000, ottenendo un risultato pari a L. 81.164.000, laddove il resto esatto era di L. 91.164.000.
A fronte di tali rilievi la Corte territoriale, dopo avere cripticamente affermato che, relativamente all’assegno di importo pari a L. 11.500.000, le dichiarazioni rese dal Sig. B. nel verbale di udienza del 26 novembre 1998 (erano) inequivocabili, ha ritenuto in tale ambito assorbita la censura, con conseguente esattezza dei calcoli effettuati dal giudice di prime cure.
Trattasi, all’evidenzia, di motivazione apparente, in quanto fondata su mere asserzioni prive, per giunta, di ogni nesso logico e del tutto inidonee sia a illustrare la base probatoria della ricostruzione dei fatti di causa accolta dal decidente, sia la loro valutazione, e quindi la ratio decidendi della scelta operata in dispositivo.
5.2 Condivisibili sono altresì le contestazioni mosse alla riconosciuta decorrenza degli accessori del credito.
Gli interessi corrispettivi sulle somme mutuate decorrono, in base al principio della naturale fecondità del denaro, che da sempre utilità a chi se ne serve, e alla connessa previsione del carattere oneroso del mutuo, salvo diversa volontà delle parti (art. 1815 c.c., comma 1), dal momento della erogazione della somma che ne costituisce l’oggetto (confr. Cass. civ. 1^, 26 novembre 1964, n. 2789), e tanto indipendentemente dalla colpa del debitore per mancato o ritardato pagamento (confr. Cass. civ., 1 23 gennaio 2008, n. 1377).
Ne deriva che la sentenza impugnata, la quale ha riconosciuto sull’importo a credito del B. gli interessi legali dalla domanda, deve essere cassata con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione che dovrà pronunciarsi sul carattere usurario del tasso di interesse convenuto, tenendo conto dei rilievi innanzi svolti, sull’ammontare delle somme a credito di B.S. e che dovrà applicare, quanto agli interessi, e nei limiti delle domande proposte, il seguente principio di diritto: gli interessi sulle somme mutuate decorrono dal giorno del mutuo.
P.Q.M.
La Corte accoglie, per quanto di ragione, il secondo e il terzo motivo di ricorso, respinge i motivi residui. Cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010