Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.1542 del 26/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – rel. Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.V. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAVOIA 33, presso lo studio dell’avvocato VESCUSO GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato PALO DAMIANO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

V.M.R. o V.R.M. *****, elettivamente domiciliata in Roma, viale Giulio Cesare 14, presso lo studio dell’avvocato CESAREO GERARDO ROMANO, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 65/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, emessa il 16/12/2004, depositata il 28/01/2005, R.G.N. 32/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 18/12/2009 dal Consigliere Dott. DI NANNI LUIGI FRANCESCO;

udito l’Avvocato GERARDO ROMANO CESAREO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. M.V., con atto di citazione del 10 gennaio 1991, ha convenuto in giudizio davanti al tribunale di Salerno V.R. M., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per opera del padre V.R., deceduto.

I fatti esposti dall’attore sono i seguenti.

V.R. aveva denunciato che nella notte tra il ***** era stato rapinato ed aveva dichiarato falsamente che tra i rapinatori c’era anche il M.V.. Per questo fatto egli aveva subito un’ingiusta detenzione, dalla quale era stato assolto con formula piena. E poiche’, se il V.R. non fosse morto sarebbe stato accusato di calunnia, ha chiesto che dei danni rispondesse la figlia V.R.M..

2. La domanda e’ stata rigettata dal tribunale di Salerno.

3. La decisione e’ stata confermata dalla Corte di appello di Salerno con sentenza del 28 gennaio 2005. La Corte ha dichiarato che nella specie non aveva trovato riscontro il dolo del reato di calunnia a carico del V.R. (sent. p. 13 – 14), condividendo il principio esposto dal primo giudice, secondo il quale la denuncia di un reato perseguibile di ufficio non e’ fonte di responsabilita’ a carico del denunciate, se non quando possa considerarsi calunniosa.

4. M.V. ha proposto ricorso per Cassazione.

V.R.M. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo e’ denunciata carenza di motivazione e violazione dell’art. 2059 c.c. in relazione all’art. 185 c.p..

1.1. Il ricorrente sostiene che il principio enunciato nella sentenza impugnata, che il carattere pubblicistico dell’azione penale esercitata contro il V.R. aveva tolto efficacia causale all’azione del denunciate rispetto ai danni da lui subiti, non e’ corretto, perche’, ai fini del risarcimento del danno, quando sia dimostrato il dolo del denunciante non e’ richiesto anche l’accertamento della sua responsabilita’.

1.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, la denuncia di un reato perseguibile di ufficio non e’ fonte di responsabilita’ per danni a carico del denunciante, ai sensi dell’art. 2043 c.c., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione, se non quando essa possa considerarsi calunniosa. Al di fuori di questa ipotesi, infatti, l’attivita’ pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante, togliendole ogni efficacia causale e cosi’ interrompendo ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato (in questo senso, da ultimo Cass. 25 maggio 2004, n. 10033).

1.3. La sentenza impugnata e’ giunta alla decisione criticata applicando dichiaratamente questo principio, sicche’ il motivo non e’ fondato.

2. Con il secondo motivo e’ denunciata nuovamente carenza di motivazione e violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione all’art. 185 c.p.. Con il motivo si afferma la configurazione nella specie del danno non patrimoniale.

Con il terzo motivo e’ denunciata omessa motivazione e violazione degli artt. 1223, 2043, 2056 e 2059 c.c.. Con il motivo si afferma la configurazione di un danno alla reputazione.

L’esame di questi motivi resta assorbito dal rigetto del primo di essi.

3. Il ricorso, quindi, e’ rigettato.

Le spese di questo giudizio sono poste a carico del ricorrente in base alla regola della soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre rimborso forfetario, spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di cassazione, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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