LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto – Presidente –
Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto il 13 dicembre 2004 da:
R.R. – rappresentato e difeso in virtù di procura a margine del ricorso dall’avv. Mancini Andrea, presso il quale è
elettivamente domiciliato in Roma, al Viale delle Milizie, n. 38;
– ricorrente –
contro
N.F., Q.M., R.A.T., R.A., R.M.T. e F.L.G. – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a margine del controricorso dall’avv. Rossi Riccardo, presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, al Lungotevere Mellini, n. 24;
– controricorrenti –
Condominio dell’edificio al viale *****;
– intimato –
avverso la sentenza del Giudice di pace di Palestrina n. 210 del 29 ottobre 2003 – non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 novembre 2009 dal Consigliere Dott. Massimo Oddo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
R.R., premesso di essere proprietario di un appartamento con annesso box auto nell’edificio al viale ***** e che per l’esecuzione di opere di rifacimento delle facciate dello stabile il viale di accesso al box era stato occupato dall'***** con ponteggi che avevano reso impossibile il passaggio delle autovetture, con atto notificato il 20 novembre 2002 convenne il condominio – in persona del suo amministratore e legale rappresentante N.F. – davanti al Giudice di pace di Palestrina e ne domandò la condanna al risarcimento dei danni nella misura di Euro 200,00, o in quella maggiore ritenuta equa ex art. 113 c.p.c., per essere stato privato senza il suo consenso del godimento e dell’uso del passaggio carrabile dal 7 al 18 dicembre 2000. Il condominio non si costituì, ma intervennero nel giudizio Q.M., N.F., R.A.T., R.A., R.M.T. e F.L.G., proprietari nella stabile di singole unità immobiliari e, oltre a contestare la fondatezza della domanda R., negarono l’esistenza di una amministrazione condominiale dell’edificio e la qualità del N. di suo rappresentante.
Il Giudice di pace con sentenza del 29 ottobre 2003: a) rigettò la domanda dell’attore “per mancanza del presupposto processuale della legittimazione a contraddire del Sig. N.F. in quanto non risultante amministratore dello stabile”; b) dichiarò “pertanto inesistente per mancanza del presupposto della legittimazione processuale la notifica della citazione al Condominio … in persona del suo Amministratore e legale rappresentante N.F. con conseguente nullità di tutti gli atti processuali compiuti”.
Osservò il giudice che l’attore non aveva provato che il N. avesse effettivamente la rappresentanza sostanziale del condominio in base ad una delibera adottata dall’assemblea dei condomini ai sensi dell’art. 1131 c.c., e che alla rappresentanza processuale non è applicabile il principio dell’apparenza del diritto.
R.R. è ricorso con due motivi per la Cassazione della sentenza, Q.M., N.F., R.A.T., R.A., R.M.T. e F.L.G. hanno resistito con controricorso e l’intimato Condominio non ha svolto alcuna attività.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Precede la declaratoria di nullità della costituzione del nuovo difensore dei controricorrenti in virtù di procura speciale a margine della memoria depositata il 30 marzo 2007, anzichè nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, giacchè l’art. 83 c.p.c., comma 3, consente l’apposizione della procura speciale per il giudizio di Cassazione unicamente a margine od in calce al ricorso od al controricorso (cfr. da ultimo: cass. civ., sez. 3, sent, 9 aprile 2009, n. 8708). prevista dall’art. 83 c.p.c., comma 2.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso denunciano la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 2967 c.p.c, ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, non avendo il giudice di pace esaminato i documenti prodotti dall’attore, che dimostravano la qualità del N. di amministratore del condominio, e rilevato che gli intervenuti non avevano fornito la prova della sua eccepita insussistenza.
I motivi sono inammissibili.
Le sentenze pronunciate secondo equità dal giudice di pace anteriormente al 2 marzo 2006 nelle controversie, quale quella in specie, di valore non eccedente millecento euro (cfr.: art. 113 c.p.c., comma 2), pur essendo immediatamente impugnabili per Cassazione, erano ricorribili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.
Non potevano essere denunciati in sede di legittimità, quindi, nè vizi attinenti alla motivazione delle pronunce, salvo che ridondassero nella violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e art. 132 c.p.c., n. 4, per essere la motivazione materialmente od ideologicamente assente, nè la violazione dell’art. 2697 c.c., che, disciplinando la prova con una regola di diritto sostanziale, da luogo ad un error in iudicando (cfr.: cass. civ., sez. un., sent. 14 gennaio 2009, n. 564) e neppure la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., essendo la valutazione dal parte del giudice di merito delle risultanze probatorie, in base al principio del suo libero convincimento, apprezzabile dalla Corte di Cassazione soltanto nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (cfr.: cass. civ., sez. 1, sent. 20 giugno 2006, n. 14267).
Ne deriva, dovendosi applicare ratione temporis detta disciplina alla sentenza impugnata, in quanto pubblicata anteriormente alla sostituzione dell’art. 339 c.p.c., comma 3, operata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 1, che le censure formulate con il primo ed il secondo motivo non potevano essere denunciate con il ricorso sotto nessuno dei profili prospettati.
Il terzo ed il quarto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c, ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, non essendosi il giudice di pace pronunciato sull’esplicita estensione agli intervenuti delle domande proposte nei confronti del condominio, benchè su di esse i proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio avessero accettato il contraddittorio con l’attore.
I motivi sono inammissibili.
Perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario che la domanda, o l’eccezione, sulla quale in giudice di merito non si sarebbe pronunciato sia riportata nel ricorso per Cassazione nei suoi esatti termini e con la specifica indicazione dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali sarebbe stata proposta, onde consentire al giudice di legittimità la verifica preliminare della sua ritualità e tempestività e quella successiva della sua rilevanza e decisività. Pur se è vero, infatti, che la non corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato è riconducibile ad un’ipotesi di error in procedendo, per il quale la Corte di Cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, il ricorrente è comunque onerato dal principio di autosufficienza del ricorso alla compiuta indicazione degli elementi ai quali è condizionata l’ammissibilità della doglianza, non essendo legittimato il giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi.
Tale onere il ricorrente non ha soddisfatto e neppure a quello ulteriore di indicare l’atto difensivo e/o il verbale di udienza nel quale gli intervenuti avrebbero accettato il contraddittorio sulle domande estese nei loro confronti ed ciò va aggiunto che egli stesso ha evidenziato che la costituzione in giudizio degli intervenuti era nulla per l’inidoneità delle rilascio delle procure al loro difensore in calce alla copia della citazione notificata al condominio, correttamente osservando che tale modalità di rilascio contrastava con i principi desumibili dall’art. 83 c.p.c., essendo detto atto estraneo al loro rapporto processuale.
All’inammissibilità dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A. ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010