LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –
Dott. ODDO Massimo – Consigliere –
Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9825-2005 proposto da:
MINISTERO ECONOMIA FINANZE in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
S.G. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A BAIAMONTI A, presso lo studio dell’avvocato INTERNULLO ROSARIA, rappresentato e difeso dall’avvocato TROMBETTA SALVATORE AUGUSTO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1727/2004 del TRIBUNALE di CATANIA, depositata il 19/05/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/12/2009 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;
udito l’Avvocato TORTORA Roberta per Avvocatura Generale, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA AURELIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto depositato il 21.10.2000, S.G. proponeva opposizione avverso il decreto adottato dal Ministero del Bilancio e della Programmazione economica il 13 marzo dello stesso anno con cui gli era stato ingiunto il pagamento di L. 200.000.000, quale pena pecuniaria irrogata ai sensi del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 1, comma 1, convenite nella L. 5 luglio 1991, n 197, per avere effettuato operazioni commerciali per complessive L. 1.000.000.000, in assegni e in contanti senza il tramite degli intermediari abilitati.
Pervenuti per posta documenti da parte del suddetto Ministero, il tribunale di Catania, in composizione monocratica, dichiarata la contumacia dello stesso Ministero, con sentenza in data 21.11.2003/19.5.2004, accoglieva l’opposizione e regolava le spese.
Ritenuta irrituale la comparsa di costituzione e risposta del Ministero, in ragione della mancanza di qualsiasi procura e della assoluta inintelligibilità della firma apposta al prefato documento, e presi comunque in esame i documenti inviati, e rilevato che la motivazione dell’ordinanza ingiunzione opposta era per relationem, senza peraltro alcuna allegazione degli atti cui si faceva riferimento, e quindi senza alcuna concretezza relativamente alle fonti dell’accusa ed alle dichiarazioni come concretamente rese, il giudicante accoglieva l’opposizione.
Per la Cassazione di tale sentenza ricorre il Ministero sulla base di tre motivi; resiste lo S. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione e false applicazione dell’art. 171 c.p.c., e L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 e vizio di motivazione, il tutto con riferimento alla dichiarazione di contumacia del Ministero; in buona sostanza si sostiene che ben poteva essere inoltrata per il tramite del servizio postale la comparsa di costituzione dell’amministrazione e che la declaratoria di contumacia, argomentata in ragione dell’inintellegibilità della sottoscrizione dell’atto non poteva avere gli effetti ad essa attribuiti dal giudicante, che peraltro aveva ritenuto i documenti allegati ritualmente prodotti e li aveva esaminati.
Il motivo merita accoglimento; la motivazione adottata appare infatti contraddittoria, atteso che se da una parte si considera accertata la provenienza della documentazione allegata all’atto e se ne tiene conto nel giudizio, atteso che dal complesso degli elementi emersi al riguardo poteva esserne ritenuta certa la provenienza della stessa da parte del Ministero, appare contraddittorio, solo in ragione della inidentificabilità della sottoscrizione, negare all’atto di costituzione la stessa presunzione di provenienza, atteso che anche per esso valevano gli stessi elementi che la indicavano con certezza.
La declaratoria di contumacia non è stata legata all’invio per il tramite del servizio postale dell’atto, nè tanto, alla luce della sentenza della Corte costituzionale, n. 520 del 2002 sarebbe stato corretto; nella specie doveva dunque trovare accoglimento l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’atto amministrativo deve essere considerato esistente ogni qual volta l’insieme delle caratteristiche che connotano il documento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere relativo, mentre l’intellegibilità della firma non è indispensabile per l’imputabilità dell’attività svolta al titolare dell’ufficio (cons. Cass. 18.6.2003, n 9779).
In applicazione di tale condiviso principio, la declaratoria di contumacia incorre sia nel vizio di violazione di legge sia in quello di contraddittorietà della motivazione e tanto comporta l’accoglimento del motivo in esame.
Va per ragioni di preliminarietà logica esaminato ora il terzo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 e vizio di motivazione in ordine alla carenza di prova ritenuta dal giudicante in ordine alla sussistenza di sufficienti elementi per comprovare la violazione contestata. Osserva al riguardo il tribunale che gli elementi riferiti nel rapporto inviato non erano suffragati da documenti specifici attestanti le circostanze nel rapporto stesso indicate e che quindi non v’erano elementi sufficienti a far ritenere acquisita la prova della infrazione valutaria de qua.
Premesso che non è qui in dubbio la possibilità di far riferimento, a sostegno del provvedimento adottato, al rapporto di denuncia (v. Cass. 20.8.1997, n 7779), devesi rilevare che le argomentazioni del tribunale mettono in dubbio la veridicità delle affermazioni contenute nel verbale, in quanto gli atti contenenti le dichiarazioni dei soggetti che avevano fornito gli elementi relativi all’operato dello S., peraltro espressamente indicato nel rapporto stesso, non erano stati allegati alla segnalazione sulla cui base si era provveduto alla contestazione della violazione, in quanto le notizie, all’epoca della segnalazione stessa, erano coperte dal segreto di indagine.
Considerato il tenore della contestazione, e gli elementi emersi dalla segnalazione su cui la stessa si era basata, diligentemente riportata in sentenza nel suo quasi testuale contenuto, appare in verità, a fronte di una attività probatoria dello S. giudicata dallo stesso tribunale sostanzialmente ininfluente, che la motivazione adottata non sia sufficiente a sostenere la ritenuta carenza di prova in ordine alla violazione contestata, in ragione del fatto che seppure non specificatamente enunciate, dalla segnalazione emergevano circostanze ragionevolmente specifiche, atte ad indurre ad una più meditata valutazione delle stesse, atteso che le risultanza del verbale ben potevano essere poste in discussione con ogni mezzo di prova, ma che nella specie le stesse erano state disattese solo in ragione di una valutazione che prescindeva assolutamente dalle ovvie esigenze di indagini al fine di approfondire la fattispecie in esame e non teneva conto della specificità delle attività investigative espletate, quali risultanti dalla segnalazione de qua.
La conclusione raggiunta al riguardo comporta l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.
In ragione di tanto, il motivo deve essere accolto sotto il profilo della insufficienza della motivazione sul punto in esame, con conseguente Cassazione della sentenza impugnata e rinvio al tribunale di Palermo, che provvedere anche sulle spese del presente procedimento per Cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso; assorbito il secondo. Cassa e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Palermo.
Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010