Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1564 del 26/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. IPPOLITO Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5387-2005 proposto da:

IMPRESA CARLO AMBROSETTI SAS *****, in persona dell’Amministratore Unico A.C.;

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E DUSE 5/G, presso lo studio dell’avvocato LEONARDI SERGIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato AVENATI FABRIZIO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MPS SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 44853/2004 del GIUDICE DI PACE di ROMA, depositata il 27/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/12/2009 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA AURELIO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 29.10/27.11.2004, il Giudice di pace di Roma dichiarava inammissibile l’opposizione proposta dalla Impresa Ambrosetti sas avverso la comunicazione di fermo del 14.5.2004 in ragione del fatto che il preavviso di fermo non costituiva provvedimento autonomamente impugnabile e regolava le spese.

Tale sentenza, sconcertante sia per la forma in cui è stata redatta, sia per l’approssimazione cui è improntata, viene qui gravata da ricorso per cassazione, basato su di un solo motivo, illustrato anche con memoria, dalla Società; resiste con controricorso il Comune di Roma.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo in cui il presente ricorso si articola si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132 c.p.c., comma 2, nn. 2 e 4, dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2.

Per doverosa completezza, devesi preliminarmente dare conto dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente Comune.

Si sostiene al riguardo infatti che il ricorso stesso mancherebbe dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c. e difetterebbe di autosufficienza; la lettura della sentenza impugnata rende sconcertante tale eccezione, atteso che la stessa prescinde in modo totale dal considerare quale sia la assoluta sciatteria con cui la sentenza stessa risulta redatta, la mancanza di qualsiasi riferimento al caso concreto e la sola enunciazione di un assioma, non applicabile, come si vedrà, al caso di specie, cosa questa che non poteva non riverberarsi sul contenuto del ricorso.

Altro motivo di inammissibilità sarebbe poi ravvisabile nel fatto che, avendo il primo giudice dichiarato il ricorso inammissibile, lo stesso non sarebbe impugnabile per cassazione; a contrastare tale tesi basta osservare che si verte in tema di opposizione a sanzioni amministrative, materia regolata dalla L. n. 689 del 1981, cosa questa che consente di escludere che il giudizio si sia svolto secondo equità, salva comunque l’opinabilità della tesi sostenuta.

Sgombrato il campo dalle avverse eccezioni, il ricorso deve essere accolto; infatti, il primo giudice, non si comprende in base a quali ragioni, ha asserito che il ricorso era stato proposto avverso un preavviso di fermo amministrativo e lo ha dichiarato inammissibile in ragione del fatto che trattavasi di atto non avente valenza sanzionatoria.

Essendo stato proposto un profilo afferente all’error in procedendo, questa Corte ha esaminato l’atto di opposizione, da cui emerge senza ombra alcuna di dubbio che l’odierna ricorrente aveva chiaramente dichiarato di aver avuto dal provvedimento di fermo per la prima volta notizia dell’esistenza di una serie di cartelle esattoriali, diligentemente elencate in ricorso, di cui ignorava l’avvenuta emissione, per cui contestava la sussistenza della pretesa sanzionatoria.

Era quindi evidente per un verso che il riferimento al fermo era fatto unicamente per dar conto del fatto storico che aveva consentito la conoscenza dell’esistenza delle cartelle esattoriali e, per altro verso, che non si intendeva proporre opposizione avverso quell’atto, data la insussistenza di motivi che allo steso si riferissero.

Questa (la dedotta insussistenza della pretesa sanzionaloria) e non altro era l’oggetto del giudizio, atteso che la dizione contenuta nell’atto di opposizione non lascia margini ad alcun profilo di incertezza su cui avrebbe potuto esercitarsi l’intervento ermeneutico del giudice di pace, il quale peraltro si è comunque ben guardato da spendere una sola parola sull’argomento.

Sussiste quindi la violazione, in primis ed in modo assorbente, dell’art. 112 c.p.c., attesa la palese discrasia tra chiesto e pronunciato; è appena il caso di rispondere all’argomento contenuto in controricorso secondo cui in caso di declaratoria di inammissibilità della domanda non rileverebbe la divergenza tra chiesto e deciso. Va rilevato che in questo caso l’inammissibilità discenderebbe proprio dall’equivoco palese in cui è incorso il primo giudice, il quale, avendo frainteso l’oggetto della domanda, è pervenuto alla declaratoria suddetta, cosa questa che comporta che sussiste la violazione dell’art. 112 c.p.c., a fronte di una pronuncia di inammissibilità assolutamente incompatibile con l’oggetto del contendere.

Il ricorso deve essere dunque accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio al Giudice di pace di Roma, in persona di altro magistrato, che provvederà anche sulle spese relative al presente procedimento per cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa e rinvia, anche per le spese, al Giudice di pace di Roma, in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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