Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.1569 del 26/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17183/2006 proposto da:

S.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FASANA 16, presso lo studio dell’avvocato STUDIO RAO ROSARIO – GUERRIERI ALESSANDRA, rappresentato e difeso dall’avvocato CARUSO GIOVANNI, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.A.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 11/2006 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 06/02/2006 r.g.n. 657/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2009 dal Consigliere Dott. STEFANO MONACI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI COSTANTINO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La sentenza di primo grado ha accolto la domanda proposta dalla signora R.A.M. nei confronti del dr. S.E., ed ha condannato quest’ultimo al pagamento di Euro 5.130,04, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di differenze retributive per la prestazione lavorativa espletata dalla ricorrente in qualità di collaboratrice familiare dal 15 novembre 1990 al 12 dicembre 2002.

Questa pronunzia è stata confermata dalla Corte d’Appello di Messina che, con sentenza n. 11/06, in data 12 gennaio/6 febbraio 2006, rigettava l’impugnazione principale del S., e accoglieva quella incidentale della R. sull’onere delle spese dell’accertamento peritale.

La Corte d’Appello riteneva corretta, anche per quel che concerneva la deposizione della teste B., la valutazione complessiva delle prove da parte del giudice di merito, e riteneva che nella memoria di costituzione del S. fossero contenute ammissioni parziali.

Avverso la sentenza d’appello, che non risulta notificata, il dr. S. ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 25 maggio 2006. L’intimata R.A.M. non ha presentato difese in questa fase.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo di impugnazione si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio prospettato dalle parti.

Secondo il ricorrente le pretese della lavoratrice erano rimaste perciò prive di prova, e la decisione si era basata esclusivamente sulla deposizione di una teste, che, come ella stessa aveva riconosciuto, aveva riferito circostanze che le erano state riferite dall’appellata R. e non costituivano oggetto di un suo personale accertamento.

La ricorrente, d’altra parte, aveva riconosciuto di avere percepito L. 120.000 per settimana, e, considerato il corrispettivo di L. 10.000 all’ora, se ne doveva dedurre che le prestazioni non potevano essere superiori a 12 ore per settimana (e non a 18, come – secondo il ricorrente – era stato riconosciuto dalle sentenze di merito).

2. Nel secondo motivo si lamenta invece la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost..

Era stata disposta una consulenza tecnica per verificare la congruità della retribuzione corrisposta alla lavoratrice. Il ricorrente critica però il conteggio effettuato dal consulente tecnico, e che era stato recepito dalle sentenze di merito. Contesta, in particolare, che l’importo sopra ricordato di L. 10.000 all’ora avesse valore di superminimo, sostenendo e che lo si potesse applicare all’orario che si presumeva svolto, sostenendo che si doveva piuttosto dividere l’intero importo settimanale (di L. 120.000) per le ore che si assumevano prestate (18 a settimana).

3. Nel terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c., comma 1.

Sostiene che la norma era stata disattesa, perchè all’udienza del 10 giugno 2002, fissata per la discussione, il giudice, nell’assenza delle parti e senza discussione orale, aveva pronunziato la sentenza che era stata depositata completa sia del dispositivo che della motivazione.

4. Deve essere esaminato preliminarmente, perchè pregiudiziale, l’ultimo motivo di impugnazione.

La censura è infondata.

Deve essere premesso, per chiarezza, che la pretesa violazione si sarebbe verificata nel corso del giudizio di primo grado.

Lo stesso ricorrente precisa che il dispositivo della sentenza di primo grado era stato letto all’udienza successiva a quella di discussione e in assenza delle parti, e lamenta che la Corte d’Appello considerò ciò come irregolarità invece che come semplice nullità.

La censura è priva di fondamento, considerato che la fattispecie è anteriore al D.L. n. 112 del 2008, art. 53 conv. in L. n. 133 del 2008.

Il rinvio, dopo l’udienza di discussione, ad altra udienza, nella quale il giudice da lettura del dispositivo della sentenza non è causa di nullità perchè non lede nessun interesse sostanziale delle parti, le quali hanno facoltà, se vogliono essere presenti, di proseguire la discussione e prendere immediatamente conoscenza del dispositivo.

Nè il ricorrente dice ora quale pregiudizio avrebbe ricevuto dal rinvio (vedi Cass. nn. 16114 del 2006 e 781 del 1996).

5. Il primo motivo è infondato.

Le censure proposte sono, infatti, inammissibili perchè consistono, in realtà, nella riproposizione di questioni di fatto, relative in particolare alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dell’entità delle prestazioni della signora R. in favore del ricorrente, che, appunto perchè attengono al fatto, non sono suscettibili di un ulteriore riesame in questa sede di legittimità.

6. Considerazioni analoghe portano alla reiezione del secondo motivo.

Anche in questo caso il ricorrente ripropone inammissibilmente questioni di fatto relative ai conteggi svolti dal consulente tecnico contabile e fatti propri dal giudice del merito.

In particolare, anche la valutazione sulla sussistenza, o meno, di un superminimo (che costituisce, in sostanza, il punto contestato dal ricorrente) è una questione di fatto, non suscettibile di riesame in questa fase di legittimità.

7. Il ricorso perciò non può che essere rigettato.

Dato che la parte intimata non ha presentato difese in questa fase, la Corte non deve assumere provvedimenti in materia di spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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