Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.1594 del 26/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI GENTILE 8, presso lo studio dell’avvocato MARTORIELLO MASSIMO, rappresentata e difesa dall’avvocato COGO GIOVANNA, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 498/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 01/07/2005 r.g.n. 782/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. NOBILE Vittorio;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega PESSI ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1569/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano rigettava la domanda proposta da R.S. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere l’accertamento della nullita’ del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra le parti per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. az. 25/9/1997, per il periodo 12/11/1998 – 31/1/1999 (prorogato fino al 17/4/1999), con conseguente declaratoria della sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato (dal 12/11/1998) e con condanna della societa’ alla riammissione in servizio e al pagamento delle retribuzioni maturate (dal 1/10/2002) oltre interessi e rivalutazione.

La R. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La societa’ si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte di appello di Milano, con sentenza depositata il 1/7/2005, tra l’altro (decidendo anche altre cause riunite), in riforma della pronuncia di primo grado relativa alla R., dichiarava che tra la stessa e la s.p.a. Poste italiane intercorreva un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 12/11/1998 e condannava la societa’ al pagamento delle retribuzioni dal 1/10/2002 oltre rivalutazione e interessi.

Per la cassazione della detta sentenza la societa’ ha proposto ricorso nei confronti della R. con cinque motivi.

La R. ha resistito con controricorso.

Infine la societa’ ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che nella fattispecie si fosse verificata una risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

Come questa Corte ha piu’ volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinche’ possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, e’ necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonche’ del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volonta’ delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10/11 /2008 n. 26935, Cass. 28/9/2007 n. 20390, Cass. 17/12/2004 n. 23554, Cass. 11/12/2001 n. 15621).

Tale principio va ribadito anche in questa sede, rilevando, inoltre che, come pure e’ stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volonta’ chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2/12/2002 n. 17070). Orbene sul punto la Corte d’Appello ha ritenuto che il semplice decorso del tempo (nella specie tre anni) “non presenta carattere di concludenza nel senso abdicativo dell’azione, ne’, tanto meno, nel senso della risoluzione consensuale del rapporto. Ne’ siffatta concludenza puo’ essere ricavata dalla conoscibilita’ della questione e del suo esito favorevole avanti i giudici milanesi: ad escluderla e’ sufficiente il rilievo per il quale sulla questione stessa non si era ancora pronunciata la Corte di Cassazione, ne’, ovviamente, una giurisprudenza di legittimita’ consolidata. Che quindi la lavoratrice abbia voluto attendere che si facesse ulteriore chiarezza e’ spiegazione del tutto compatibile con il tempo trascorso”.

Tale decisione e’ conforme al principio sopra richiamato e, risultando altresi’ congruamente motivata, resiste alla censura della ricorrente.

Riguardo, poi, alla nullita’ della clausola appositiva del termine osserva il Collegio che la Corte di merito, ha attribuito rilievo decisivo in particolare alla considerazione che: “i sindacati, che pure conclusero l’intesa originaria priva di termine, ne siglarono contestualmente altra che ha riconosciuto il trovarsi dell’impresa nelle condizioni previste sino al 31 gennaio 1998, ed hanno poi raggiunto posteriori accordi che hanno indicato la possibilita’ “di procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato” entro date successive e, da ultimo, per la scadenza del 30 aprile 1998. Le assunzioni…cadute dopo la data predetta sono allora prive di strumento derogatorio”.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – e’ sufficiente a sostenere la impugnata decisione, in relazione alla nullita’ del termine apposto al contratto de qua (stipulato “per esigenze eccezionali” in data successiva al 30/4/1998).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2/3/2006 n. 4588, e’ stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessita’ di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4/8/2008 n. 21063, v. anche Cass. 20/4/2006 n. 9245, Cass. 7/3/2005 n. 4862, Cass. 26/7/2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”. (v., fra le altre, Cass. 4/8/2008 n. 21062, Cass. 23/8/2006 n. 18378).

In tale quadro, ove pero’ un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullita’ della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23/8/2006 n. 18383, Cass. 14/4/2005 n. 7745, Cass. 14/2/2004 n. 2866).

In particolare, nella specie, come questa Corte ha ripetutamente affermato e come va anche qui enunciato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data *****, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimita’ delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1/10/2007 n. 20608, Cass. 27/3/2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Tale interpretazione degli accordi attuativi (ed in specie dell’ultimo citato) e’ fondata sul significato letterale delle espressioni usate che e’ cosi’ evidente e univoco (“in conseguenza di cio’ e per far fronte alle predette esigenze si potra’ procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98”) che non necessita di un piu’ diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volonta’ delle parti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioe’ che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, cosi’ definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza “senza senso” (cosi’ testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Peraltro al riguardo irrilevante e’ l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato dalla societa’, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga; ed infatti, ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata la indisponibilita’ dei diritti dei lavoratori gia’ perfezionatisi, deve comunque escludersi che le parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non piu’ legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Va pertanto confermata la nullita’ del termine apposto al contratto de quo, cosi’ rigettandosi in particolare il quarto motivo di ricorso (in ordine alla natura ed alla interpretazione degli accordi intervenuti), restando, peraltro, assorbiti, il secondo e il terzo, concernenti ulteriori profili di illegittimita’ della clausola appositiva del termine.

Infine con il quinto motivo la ricorrente in sostanza lamenta che la Corte di merito ha disposto il pagamento delle retribuzioni dalla comunicazione del tentativo obbligatorio di conciliazione, che a suo avviso non conteneva una valida messa in mora.

Il motivo e’ inammissibile.

La Corte di Appello, sul punto ha ritenuto che nella fattispecie la messa in mora sia cosi’ avvenuta in data 1/10/2002.

Tale accertamento, prettamente di fatto, riservato al giudice del merito, e’ stato, quindi, effettuato dalla Corte territoriale in conformita’ con l’indirizzo piu’ volte dettato da questa Corte (v. fra le altre Cass. 27/3/2008 n. 7979).

La societa’, dal canto suo, ha censurato tale decisione in modo del tutto generico, senza neppure riportare il testo della comunicazione in oggetto, che, secondo il suo assunto, non avrebbe integrato la ravvisata messa in mora.

Del resto, in generale, piu’ volte questa Corte ha affermato che ben puo’ essere ravvisata la messa in mora anche nella comunicazione della convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione (v. fra le altre Cass. 28/7/2005 n. 15900, Cass. 30/8/2006 n. 18710).

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore della R..

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della R., delle spese liquidate in Euro 26,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.- Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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