Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.1601 del 26/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3787-2008 proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA G. VERDI, presso lo studio dell’avvocato TURCO CHIARA, (c/o l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6407/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/01/2007 r.g.n. 8547/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/12/2009 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato TURCO CHIARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per improcedibilità in subordine accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 27.9.2006 – 31.1.2007, la Corte d’Appello di Roma, accogliendo parzialmente i gravame proposto da M.E. nei confronti dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato spa, condannò l’appellato al pagamento di quanto dovuto a titolo di ricalcolo del TFR per effetto dell’inclusione del compenso per lavoro straordinario e dell’indennità carte valori, osservando al riguardo che la disciplina pattizia, anche con riferimento a quella di cui al CCNL del 1992 e successivi, non aveva derogato al criterio di calcolo legislativamente previsto.

Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. L’intimata M.E. non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 2120 c.c., nonchè vizio di motivazione, dolendosi che la Corte territoriale:

– non abbia accertato i requisiti del compenso per lavoro straordinario necessari ai fini della sua inclusione nella base di calcolo delle indennità di fine rapporto;

– non abbia motivato in ordine all’eccepito divario tra la somma richiesta e quella invece eventualmente spettante.

Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia violazione del CCNL grafici del 1992, nonchè degli artt. 2120 e 1322 c.c., dolendosi che la Corte territoriale abbia ritenuto il diritto all’inclusione del compenso per lavoro straordinario nella base di calcolo ai fini del trattamento di fine rapporto anche dopo l’entrata in vigore del CCNL del 1992, in forza di un’erronea interpretazione degli artt. 21 e 34 di tale contratto, in particolare ritenendo che le parti collettive non avessero inteso derogare alle disposizioni di cui all’art. 2120 c.c., così come modificato dalla L. n. 297 del 1982.

2. In ordine al primo motivo osserva il Collegio che la Corte territoriale ha indicato, sia ai fini dell’indennità di anzianità che del TFR, i necessari requisiti delle voci retributive che possono essere assunte nella base di calcolo di tali istituti, implicitamente riconoscendone nella specie la sussistenza per effetto dell’accoglimento del gravame svolto sul punto. Ne consegue che la censura svolta sotto tale profilo si risolve nell’addebito della mancata valutazione di elementi probatori asseritamente decisivi in senso contrario.

Il contenuto di tali risultanze probatorie (pur genericamente indicate attraverso il richiamo alle difese svolte) non è stato tuttavia riportato nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza dello stesso, con ciò determinando l’inammissibilità della doglianza; infatti, secondo il condiviso orientamento di questa Corte, la parte che denunci con ricorso per cassazione la mancata o inadeguata valutazione, da parte del giudice di merito, di prove documentali, ha l’onere di riprodurre nel ricorso il tenore esatto dei documenti il cui omesso o inadeguato esame è censurato, al fine di rendere possibile al giudice di legittimità (al quale è istituzionalmente vietato di ricercare direttamente le prove negli atti di causa o di compiere indagini integrative rispetto ai fatti prospettati dalla parte) di valutare, anzitutto, la pertinenza e la decisività dei fatti medesimi (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 13953/2002; 11052/2002; 12362/2006). Analoghe considerazioni valgono anche in ordine al secondo profilo di censura, non avendo la parte ricorrente riportato in ricorso il contenuto delle risultanze istruttorie (in tesi non esaminate) sulla base delle quali, a suo dire, doveva ritenersi l’esorbitanza della somma ex adverso richiesta e riconosciuta spettante. Deve quindi rilevarsi l’inammissibilità del motivo all’esame.

2. In ordine al secondo motivo deve premettersi che, prevedendo l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nel testo novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 (applicabile ratione temporis alla presente controversia) il ricorso per cassazione anche per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, in tali ipotesi questa Corte, analogamente a quanto già in precedenza stabilito in tema di interpretazione dei contratti collettivi nazionali di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, può procedere alla diretta interpretazione dei contratti, secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., procedendo all’esame dell’intero contratto ex art. 1363 c.c. e non delle sole clausole denunciate.

3. Deve preliminarmente affrontarsi la questione, sollevata dal PG e, comunque, rilevabile d’ufficio, inerente al deposito per intero dei contratti collettivi su cui il ricorso si fonda, essendosi la parte ricorrente limitata a riportare in ricorso il testo di alcuni articoli, o di loro parti, e di allegare al ricorso medesimo solo parti dei predetti contratti.

L’art. 369 c.p.c., comma 2, (nel testo attualmente vigente, applicabile nella presente controversia ratione temporis) recita che:

“Insieme con il ricorso debbono essere depositati sempre a pena di improcedibilità …4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Questa Corte ha già avuto modo di osservare che tale norma impone alla parte un onere di produzione che ha per oggetto il contratto nel suo testo integrale (cfr, ex plurimis, Cass., n. 15495/2009), riferendosi ai “contratti o accordi collettivi” senza fornire alcun elemento che possa consentire di effettuare una produzione parziale, limitata a singole clausole, singoli articoli o parti di articoli del contratto, dovendo inoltre essere letta congiuntamente al disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 laddove è previsto che il ricorso deve contenere “la specifica indicazione … dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Tale scelta legislativa è coerente con i principi generali dell’ordinamento, che non consentono a chi invoca in giudizio un contratto di produrre solo una parte del documento, nonchè con i canoni di ermeneutica contrattuale (art. 1362 e ss. c.c.) e, in particolare, con la regola di interpretazione complessiva delle clausole (art. 1363 c.c.), che implica la necessità di avere a disposizione il testo nella sua interezza.

Ne consegue che, nonostante l’avvenuta riproduzione nel ricorso delle disposizioni che regolano la materia per cui è causa, proprio la mancanza del testo integrale non consente di escludere che in altre parti del contratto vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva dell’argomento trattato. Da ciò l’improcedibilità del motivo all’esame.

4. Per quanto esposto il ricorso va dunque dichiarato improcedibile.

Non è luogo a pronunciare sulle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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