LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 26465/2013 r.g. proposto da:
V.M., (cod. fisc. *****), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato Danilo Consorti, presso il cui studio elettivamente domicilia in Teramo, alla via Ungaretti n. 4;
– ricorrente –
e T.M., (cod. fisc. *****) e T.R. (cod.
fisc. *****), quali uniche eredi di V.M., rappresentate e difese, giusta procura speciale apposta in calce alla comparsa di intervento, dall’Avvocato Danilo Consorti, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Teramo, alla via Ungaretti n. 4.
– interventrici volontarie –
contro
FALLIMENTO ***** s.r.l., (cod. fisc. *****), in persona dei curatori, dott.ssa M.P. ed Avv. C.R., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato Angelo Lancione, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Alba Adriatica (TE), alla via Arezzo n. 4;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di TERAMO depositata in data 11/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2018 dal Consigliere dott. Eduardo Campese;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ordinanza dell’8/11 novembre 2013, il Tribunale di Teramo respinse il reclamo proposto da V.M., L. Fall., ex art. 26, contro il provvedimento del giudice delegato del fallimento della ***** s.r.l. concernente il disposto rilascio, in favore della curatela, L. Fall., ex art. 25, di una unità immobiliare della fallita detenuta, per uso abitativo, dalla reclamante.
1.1. Quest’ultima si era a tanto opposta evidenziando la propria qualità di comodataria del predetto cespite in virtù di contratto munito di data certa anteriore al fallimento, altresì rimarcando di essere in età avanzata e totalmente invalida.
1.2. Il Tribunale ritenne il comodato come precario, in quanto a tempo indeterminato, sicchè non si poneva un problema di sua opponibilità alla curatela ben potendone la risoluzione essere richiesta dal comodante ad nutum.
2. Avverso la descritta ordinanza la V. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, resistito dal curatore del fallimento predetto.
3. Va pregiudizialmente rilevato che, nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, sopravvenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo (cfr. Cass. n. 1757 del 2016). Tale evento, però, non osta all’ingresso dei suoi eredi nel processo (come accaduto nella specie), atteso che l’utilizzazione della disciplina di cui all’art. 110 c.p.c., non è espressamente esclusa per il processo di legittimità, nè appare incompatibile con le forme proprie dello stesso, sicchè il soggetto che ivi intenda costituirsi, quale successore a titolo universale di una parte medio tempore deceduta, deve allegare e documentare, tramite le produzioni consentite dall’art. 372 c.p.c., tale sua qualità, attraverso un atto, da notificarsi alla controparte, che assume la natura sostanziale di un intervento (cfr. Cass., SU, n. 9692 del 2013; Cass. n. 21729 del 2013).
4. L’unico formulato motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1803 e 1810 c.c., per avere il giudice di prime cure errato nella sussumibilità del contratto di comodato agli atti nell’ambito dei contratti di comodato a tempo indeterminato”, ascrive al provvedimento impugnato di non avere correttamente qualificato il comodato in questione, da ritenersi “a vita” come espressamente in esso indicato. Si sostiene, in particolare, che il comodato “vita natural durante” è un contratto a termine finale incerto, in quanto la cessazione degli effetti del vincolo contrattuale si determina soltanto con la morte del comodatario. Ne consegue, in tale ipotesi, che il comodante ed i suoi successori devono rispettare il termine di durata del contratto. Pertanto, poichè la ricorrente è detentrice qualificata dell’immobile quoad vitam, con contratto registrato recante data certa anteriore al fallimento, sarebbe del tutto infondato l’azionato rilascio dell’immobile.
4.1. Il Collegio deve, allora, rilevare che la sopravvenuta morte della V., in data 20 luglio 2017, come documentata dalla sue eredi intervenute in questa sede, abbia ormai determinato la cessazione della materia del contendere, e, per l’effetto, l’inammissibilità, per sopravvenuta carenza di interesse dell’odierno ricorso.
4.1.1. In proposito, infatti, è sufficiente rimarcare, che, ai sensi dell’art. 1811 c.c., in caso di morte del comodatario, il comodante, benchè sia stato convenuto un termine, può esigere dagli eredi l’immediata restituzione della cosa.
5. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, potendo, peraltro, compensarsi interamente le spese del giudizio di legittimità, in ragione della peculiarità della vicenda e della tipologia di pronuncia oggi adottata, e dandosi atto, altresì, della insussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (cfr. Cass. n. 14782 del 2018; Cass. n. 3542 del 2017; Cass. n. 13636 del 2015).
6. L’appena riportata conclusione consente, comunque, a questa Corte di pronunciarsi d’ufficio, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, sulla questione in esso sostanzialmente dibattuta, e qui ritenuta di particolare importanza, riguardante il se il fallimento del soggetto che abbia concluso, in qualità di comodante, un contratto di comodato immobiliare a tempo determinato (quale, per costante giurisprudenza, sarebbe quello recante l’espressa previsione della sua durata coincidente con la vita del comodatario. Cfr., ex multis, Cass. n. 6203 del 2014), pronunciato dopo la stipulazione di quest’ultimo, possa, o meno, configurarsi come evento idoneo a determinare l’obbligo del comodatario di restituire immediatamente, alla curatela che lo richieda, il bene che ne costituisce l’oggetto.
6.1. Ad avviso di questo Collegio, la risposta ad un siffatto interrogativo deve essere positiva.
6.1.1. Invero, il curatore fallimentare del comodante, in ragione dell’effetto di spossessamento e di pignoramento generale dei beni del debitore derivante dalla dichiarazione di fallimento, subentra ope legis nel contratto di comodato nei limiti in cui lo stesso sia opponibile alla massa dei creditori.
6.1.2. Quel contratto, peraltro, è, come noto, essenzialmente gratuito (cfr. art. 1803 c.c., comma 2), sicchè al detentore del cespite che ne costituisce l’oggetto non è certamente accordabile, nei confronti del fallimento, una tutela analoga a quella spettante al conduttore (si pensi alla disciplina di cui alla L. Fall., art. 80, commi 1 e 2, oppure all’ipotesi della locazione ultranovennale che, se registrata e trascritta anteriormente al fallimento del locatore, è a questi opponibile per l’intera sua durata. Cfr. Cass. n. 5792 del 2014), tenuto, invece, al pagamento di un canone come corrispettivo della detenzione del bene locatogli.
6.1.3. Del resto, che la posizione del comodatario sia, in linea generale, meno protetta rispetto a quella del conduttore, emerge anche da quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità per la fattispecie dell’acquisto, ad opera di terzi, del bene oggetto di comodato: si è invero, ripetutamente affermato, che il contratto di comodato di un bene stipulato dall’alienante di esso in epoca anteriore al suo trasferimento non è opponibile all’acquirente del bene stesso, atteso che le disposizioni dell’art. 1599 c.c., non sono estensibili, per il loro carattere eccezionale, a rapporti diversi dalla locazione (cfr. Cass. n. 664 del 2016; Cass. n. 5454 del 1991). L’acquirente a titolo particolare della cosa data in precedenza dal venditore in comodato non può, quindi, risentire alcun pregiudizio dall’esistenza di tale comodato e ha, pertanto, il diritto di far cessare, in qualsiasi momento, a suo libito, il godimento del bene da parte del comodatario e di ottenere la piena disponibilità della cosa (cfr. Cass. n. 664 del 2016; Cass. n. 11424 del 1992; Cass. n. 2343 del 1966; Cass. n. 195 del 1964; Cass. n. 2502 del 1963).
6.1.4. Allo stesso modo, il contratto di comodato è inopponibile in caso di trasferimento coattivo del bene, stante la mancanza di una norma che stabilisca, come l’art. 2923 c.c., prevede in favore del conduttore, l’opponibilità del diritto personale di godimento all’aggiudicatario.
6.1.5. Il principio dell’inopponibilità del contratto di comodato al terzo acquirente della cosa, derivante dalla regola generale di relatività degli effetti contrattuali di cui all’art. 1372 c.c., non implica, dunque, che il contratto esaurisca automaticamente i propri effetti al momento del trasferimento, ma solo che il comodatario non possa pretendere di fare valere questi effetti nei confronti del terzo.
6.2. Giusta l’art. 1809 c.c., comma 2, poi, il comodante, anche prima del termine di scadenza del contratto eventualmente convenuto, e, comunque, prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, può esigerne la restituzione immediata se colto da un bisogno urgente e non previsto al momento della stipulazione del contratto.
6.2.1. E’ innegabile che, ove sia convenuto l’utilizzo dell’immobile come abitazione, la rilevanza dell’interesse del comodatario diviene più significativa, imponendo al giudice una ponderazione delle esigenze del comodante improntata alla attenta valutazione dei requisiti di fattispecie posti a fondamento dell’esercizio del recesso (cfr. Cass., SU, n. 20448 del 2014). Ne è seguito l’insegnamento per cui, ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2, il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave ma imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato) ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, nè concreti o solo astrattamente ipotizzabili. Pertanto, non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d’un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante – che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione – consente di porre fine al comodato, ancorchè la sua destinazione sia quella abitativa (cfr. Cass. n. 20892 del 2016; Cass. SU. n. 20448 del 2014), ferma, in tal caso, la necessità della massima attenzione al controllo di proporzionalità ed adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela del comodatario ed il contrapposto bisogno del comodante.
6.3. Da un lato, dunque, la sopravvenuta dichiarazione di fallimento del comodante certamente comporta, per effetto del corrispondente spossessamento del debitore fallito di cui della L. Fall., art. 42, comma 1, l’indubbia acquisizione dell’immobile detenuto dal comodatario alla massa fallimentare; dall’altro, è altrettanto innegabile la necessità della curatela di riottenere subito quel cespite, libero da persone e cose, per il migliore soddisfacimento (attraverso una locazione o la vendita dello stesso) dei creditori concorsuali: situazione, quest’ultima, da ritenersi, prevalente rispetto ad eventuali necessità abitative del comodatario, e, come tale, idonea a giustificare il recesso esercitato dalla prima.
6.4. In conclusione, deve affermarsi, ex art. 363 c.p.c., comma 3, il seguente principio di diritto nell’interesse della legge: “In tema di comodato immobiliare a tempo determinato, il fallimento del comodante pronunciato dopo la stipulazione del relativo contratto genera l’obbligo del comodatario di restituire immediatamente, alla curatela che lo richieda, il bene oggetto del contratto stesso”.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso, e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Enuncia, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, il principio di diritto di cui al p. 6.4. della motivazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018
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