LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18849-2014 proposto da:
A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato BIANCA MARIA CASTOLDI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANDOLFO REDINI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA FORENSE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA PAMPHILI, 59, presso lo studio dell’avvocato MARIA SALAFIA, rappresentata e difesa dall’avvocato LEONARDO CARBONE, giusta delega in atti;
– controricorrente –
e contro
ASSOCIAZIONE CASSA NAZIONALE DEL NOTARIATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA FLAMINIA N. 160, presso lo studio dell’Avvocato ONOFRIO SPINOSO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2940/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 02/05/2011 R.G.N. 2350/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2018 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per inammissibilità, rigetto;
è comparso l’Avvocato A.R.;
udito l’Avvocato ONOFRIO SPINOSO udito l’Avvocato LEONARDO CARBONE.
FATTI DI CAUSA
A.R. chiese al giudice del lavoro del Tribunale di Palermo il riconoscimento del diritto al conseguimento della pensione a decorrere dal 10.2.2007 e la condanna della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, nonchè della Cassa Nazionale del Notariato, alla corresponsione delle differenze sui ratei maturati e non riscossi dal 20.7.2007 o, in subordine, al versamento degli stessi importi a titolo risarcitorio.
A fondamento della domanda il ricorrente espose di poter vantare quarant’anni di contribuzione utile per effetto del computo dei contributi relativi agli anni in cui aveva svolto l’attività di praticante procuratore legale e di procuratore legale, oltre che di avvocato, nell’arco temporale 1971-1979, da sommarsi a quelli versati quale avvocato nel periodo 1980 -1981 e quale notaio dal 1982 al 2007, nonchè a quelli già riscattati per il corso di laurea.
Rigettata la domanda e proposta impugnazione da parte di A.R., la Corte d’appello di Palermo (sentenza del 4.2.2014) ha respinto il gravame dopo aver rilevato quanto segue: -Alla data rivendicata del 10.2.2007 l’appellante non poteva far valere i prescritti quarant’anni di anzianità contributiva, dal momento che la Cassa Forense non aveva potuto procedere all’iscrizione per gli anni di svolgimento dell’attività di procuratore legale, iscrizione, questa, all’epoca rimessa alla facoltà del praticante ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 22; inoltre, alla data di entrata in vigore della legge n. 141/92, che aveva riaperto i termini per la presentazione delle istanze di retrodatazione dell’iscrizione alla Cassa Forense, il procedimento attivato dalla precedente domanda dell’ A. del 1990 doveva intendersi ormai concluso, essendo già decorso il termine di 30 giorni di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2 per la definizione del procedimento stesso; infine, rispetto alla rilevata tardività della successiva domanda di retrodatazione del 30.12.2003, era da ritenere infondata la doglianza di incostituzionalità della norma di cui alla L. n. 141 del 1992, art. 15 sollevata con riferimento alla parte in cui stabiliva che l’iscrizione tardiva non poteva essere anteriore al 1980, non essendo irragionevole la fissazione di un termine massimo all’effetto retroattivo dell’iscrizione tardiva per evidenti ragioni di semplificazione dei relativi accertamenti da parte della Cassa Forense.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.R. con diciassette motivi, cui resistono con controricorso la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense e la Cassa Nazionale del Notariato.
Le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 disp. gen., del principio tempus regit actum e del L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 29, comma 1, L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 12 e L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 202, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). In pratica, il ricorrente, dopo aver premesso che aveva richiesto la retrodatazione della propria iscrizione alla Cassa Forense per il periodo 18.2.1971 – 31.12.1979, assume che la Corte territoriale non ha considerato che il dovere, da parte della stessa Cassa, di prender in considerazione la predetta domanda discendeva proprio dalla riapertura dei termini disposta dalla L. n. 576 del 1980, art. 29, comma 1.
2. Col secondo motivo, dedotto per violazione del principio della normale applicabilità dello ius superveniens nei procedimenti amministrativi non ancora definiti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto accogliere la domanda, una volta rilevata d’ufficio l’esistenza della nuova disciplina applicabile alla fattispecie.
3. Col terzo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2, si contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui alla data di entrata in vigore della nuova legge, che aveva riaperto i termini di presentazione delle istanze di retrodatazione dell’iscrizione alla Cassa Forense (1992), il procedimento attivato dalla precedente domanda del 1990 doveva intendersi concluso, di talchè sussisteva l’onere di presentarne una nuova entro i nuovi termini di legge. Si sostiene, in contrario, il carattere non perentorio del termine per la definizione dei procedimenti amministrativi di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2, con la conseguenza che il procedimento aperto con l’istanza del 4.12.1990 non poteva considerarsi concluso e che sussisteva ancora il potere/dovere dell’amministrazione di provvedere.
4. Col quarto motivo, formulato per violazione e falsa applicazione della L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 29, comma 1, L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 12 e L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 202, si assume che, contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, sussisteva il diritto per l’istante all’iscrizione alla Cassa Forense con effetto retroattivo per il periodo 18.2.1971 – 31.12.1979 in base alle citate disposizioni normative.
5. Col quinto motivo, proposto per violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2, il ricorrente contesta la decisione di rigetto del motivo d’appello attraverso il quale aveva denunziato, ai fini della condanna della Cassa Forense alla retrodatazione della iscrizione – anche a titolo risarcitorio il comportamento omissivo di quest’ultima, consistito nel non aver provveduto in merito alla sua richiesta del 4.12.1990, volta alla ricongiunzione dei periodi assicurativi presso la Cassa Nazionale del Notariato, entro un termine ragionevole e, quindi, prima dell’entrata in vigore della L. n. 141 del 1992, in guisa tale da poter essere messo nelle condizioni di riproporre tempestivamente la domanda stessa ai sensi di quest’ultima normativa.
6. Col sesto motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 141 del 1992, art. 15 in relazione alla delibera del comitato dei delegati della Cassa Nazionale di assistenza e previdenza forense del 25.7.2002, relativa al condono previdenziale, approvata dai Ministeri vigilanti con provvedimento n. ***** dell’11.12.2002 e dell’art. 3 Cost., comma 1, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), mettendo in rilievo che la domanda di iscrizione per il periodo 18/2/71 – 31/12/79 era stata formulata anche sulla base delle previsioni favorevoli del suddetto condono, nonchè l’illegittimità costituzionale della norma di cui al summenzionato art. 15, stante la segnalata discriminazione tra coloro che intendevano recuperare periodi previdenziali maturati successivamente al 1980 e coloro che, pur trovandosi in posizione assolutamente identica, li avevano invece maturati in epoca anteriore.
7. Col settimo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 346 c.p.c., si contesta la decisione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto inammissibili i motivi d’appello quinto, sesto, settimo ed ottavo, per mancanza di specificità delle ragioni del gravame, affermandosi, in contrario, che le censure erano state ritualmente sollevate in secondo grado in modo specifico.
8. Con l’ottavo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e del principio “tempus regit actum”; b) del principio della normale applicabilità dello “ius superveniens” nei procedimenti amministrativi non ancora definiti; c) della L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 29, comma 1, L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 12 e L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 202; d) della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2; e) della L. n. 141 del 1992, art. 15 in relazione alla delibera del comitato dei delegati della Cassa nazionale di assistenza e previdenza forense del 25/7/2002 relativa al condono previdenziale approvato dai Ministeri vigilanti con provvedimento n. ***** dell’11.12.2002 e dell’art. 3, comma 1, della Costituzione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
In sostanza, il ricorrente richiama a sostegno del presente motivo le censure illustrate nei precedenti motivi del presente ricorso ed aggiunge che la richiesta iscrizione gli consentirebbe di totalizzare i periodi decorrenti dal 1971 ed ottenere un aumento della pensione in godimento dal febbraio del 2013 o, in alternativa, di conseguire, al compimento del settantesimo anno d’età, la pensione contributiva anche per l’attività di avvocato.
9. Col nono motivo, proposto per violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 346 c.p.c., il ricorrente si lamenta della decisione della Corte d’appello di Palermo nella parte in cui ha dichiarato l’inammissibilità del sesto e del settimo motivo per mancanza di specificità del contenuto di tali censure. Osserva, in contrario, A. che i suddetti motivi erano circostanziati, in quanto attraverso gli stessi si era doluto della decisione con la quale il primo giudice aveva rigettato la richiesta di condanna in solido della Cassa Nazionale del Notariato e di quella Forense alla corresponsione degli importi relativi alla pensione a far data dalla domanda (20.7.2007), con gli accessori di legge, non essendovi dubbi sul fatto che alla data del 9.2.2007 aveva maturato i quarant’anni di anzianità necessari per il riconoscimento del diritto alla pensione.
10. Col decimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 11 disp. gen. e del principio “tempus regit actum”; b) del principio della normale applicabilità dello “ius superveniens” nei procedimenti amministrativi non ancora definiti; c) della L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 29, comma 1, L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 12 e L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 202; d) della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2; e) della L. n. 141 del 1992, art. 15 in relazione alla delibera del comitato dei delegati della Cassa nazionale di assistenza e previdenza forense del 25/7/2002 relativa al condono previdenziale approvato dai Ministeri vigilanti con provvedimento n. ***** dell’11.12.2002 e dell’art. 3 Cost., comma 1; f) della L. 5 marzo 1990, n. 45, art. 1; g) della L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 16; h) della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, commi 25 e 28; i) del D.Lgs. n. 42 del 2006, art. 1 come modificato dalla L. n. 247 del 2007; l) del D.Lgs. n. 201 del 2011, art. 24, comma 19; m) degli artt. 1 e 12 disp. gen. in relazione all’art. 4 dello statuto della Cassa Nazionale del Notariato approvato con decreto interministeriale del 22/9/1995 (G.U. 24/10/1995 n. 249) e modificato con decreto interministeriale del 12.9.1997 (G.U. 17/10/1997 n. 243) ed agli artt. 10 e 10-bis del Regolamento per l’attività di previdenza e solidarietà della Cassa Nazionale del Notariato (approvato con decreto interministeriale del 22/9/1995, successivamente modificato con delibera del 20.2.2009 e del 5/6/2009), tutti nel testo vigente alla data di luglio 2007 (art. 360 c.p.c., n. 3).
In sintesi, il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello gli ha rigettato il motivo attraverso il quale aveva dedotto, a sostegno della domanda, sia di aver maturato i prescritti quarant’anni di anzianità, a seguito della sommatoria delle attività di praticante procuratore legale (18.2.1971 – 23.5.1973), di procuratore legale (24.5.1973 – 31.5.1979), di avvocato (31.5.1979 17.12.1981), di notaio (dal 9.2.1982) e di riscatto dei quattro anni del corso di laurea, sia di aver chiesto il diritto alla pensione, con condanna di entrambe le Casse a corrispondergliela in solido a far data dal 20.7.2007.
11. Con l’undicesimo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 346 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), il ricorrente contesta la decisione della Corte distrettuale nella parte in cui gli è stato dichiarato inammissibile, per mancanza di specificità, l’ottavo motivo d’appello tramite il quale aveva censurato la decisione del giudice di primo grado di rigetto della domanda risarcitoria basata sulla dedotta responsabilità della Cassa Forense, responsabilità ascritta alla denunziata intempestività della comunicazione del provvedimento di rigetto delle domande di retrodatazione dell’iscrizione formulate nel 1981 e nel 1990, oltre che della segnalazione della necessità di riproporle nel 1992 ai sensi della citata legge n. 141/1992.
12. Col dodicesimo motivo A.R. si duole della violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e del principio “tempus regit actum”; b) del principio della normale applicabilità dello “ius superveniens” nei procedimenti amministrativi non ancora definiti; c) della L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 29, comma 1, L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 12 e L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 202; d) della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2; e) della L. n. 141 del 1992, art. 15 in relazione alla delibera del comitato dei delegati della Cassa nazionale di assistenza e previdenza forense del 25/7/2002 relativa al condono previdenziale approvato dai Ministeri vigilanti con provvedimento n. ***** dell’11.12.2002 e dell’art. 3 Cost.; f) della L. 5 marzo 1990, n. 45, art. 1; g) della L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 16; h) della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, commi 25 e 28; i) del D.Lgs. n. 42 del 2006, art. 1 come modificato dalla L. n. 247 del 2007; l) del D.Lgs. n. 201 del 2011, art. 24, comma 19; m) degli artt. 1 e 12 disp. gen. in relazione all’art. 4 dello statuto della Cassa Nazionale del Notariato approvato con decreto interministeriale del 22/9/1995 (G.U. 24/10/1995 n. 249) e modificato con decreto interministeriale del 12.9.1997 (G.U. 17/10/1997 n. 243) ed agli artt. 10 e 10-bis del Regolamento per l’attività di previdenza e solidarietà della Cassa Nazionale del Notariato (approvato con decreto interministeriale del 22/9/1995 – G.U. 24/10/1995 n. 249 successivamente modificato con delibera del 20.2.2009 e del 5/6/2009), tutti nel testo vigente alla data di luglio 2007 (art. 360 c.p.c., n. 3).
In pratica il ricorrente contesta la decisione della Corte di merito per aver dichiarato che l’ottavo motivo d’appello era non solo inammissibile, ma anche 2/8/1990 n. 233; d) dei commi 25 e 28 della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1; e) del D.Lgs. n. 42 del 2006, art. 1 come modificato dalla L. n. 247 del 2007; f) del D.Lgs. n. 201 del 2011, art. 24, comma 19; g) degli artt. 1 e 12 disp. gen. in relazione all’art. 4 dello statuto della Cassa Nazionale del Notariato approvato con decreto interministeriale del 22/9/1995 (G.U. 24/10/1995 n. 249) e modificato con decreto interministeriale del 12.9.1997 (G.U. 17/10/1997 n. 243) ed agli artt. 10 e 10-bis del Regolamento per l’attività di previdenza e solidarietà della Cassa Nazionale del Notariato (approvato con decreto interministeriale del 22/9/1995 – G.U. 24/10/1995 n. 249 – successivamente modificato con delibera del 20.2.2009 e del 5/6/2009), tutti nel testo vigente alla data di luglio 2007 (art. 360 c.p.c., n. 3).
Attraverso tale motivo si richiama quanto esposto nei precedenti motivi n. 13, 14 e 15 e si sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto accogliere la domanda di condanna delle Casse convenute a corrispondere i ratei di pensione maturati quanto meno dal 17/7/2009, invece che dal 20/7/2007, come espressamente richiesto, e non rigettare del tutto la domanda.
17. Col diciassettesimo motivo A.R. si duole della violazione e falsa applicazione: a) della L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 nel testo vigente anteriormente alla modifica apportata dalla L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 11; b) della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2; c) della L. 5 marzo 1990, n. 45, art. 1; d) della L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 16; e) della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, commi 25 e 28; f) del D.Lgs. n. 42 del 2006, art. 1 come modificato dalla L. n. 247 del 2007; g) del D.Lgs. n. 201 del 2011, art. 24, comma 19; h) degli artt. 1 e 12 disp. gen. in relazione all’art. 4 dello statuto della Cassa Nazionale del Notariato approvato con decreto interministeriale del 22/9/1995 (G.U. 24/10/1995 n. 249) e modificato con decreto interministeriale del 12.9.1997 (G.U. 17/10/1997 n. 243) ed agli artt. 10 e 10-bis del Regolamento per l’attività di previdenza e solidarietà della Cassa Nazionale del Notariato (approvato con decreto interministeriale del 22/9/1995 – G.U. 24/10/1995 n. 249 – successivamente modificato con delibera del 20.2.2009 e del 5/6/2009), tutti nel testo vigente alla data di luglio 2007 (art. 360 c.p.c., n. 3).
Si assume che, per quanto esposto nei precedenti motivi nn. 11, 12, 13, 14, 15 e 16, la Corte di merito avrebbe dovuto accogliere la domanda di corresponsione, a titolo di risarcimento dei danni, dei ratei di pensione maturati almeno nella misura ridotta conseguente al riconoscimento dell’avvenuta maturazione del diritto alla data del 17/7/2009, invece che a quella del 20/7/2007, come richiesto, e non rigettarla del tutto.
18. Osserva la Corte che i diciassette motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, denotano evidenti profili di inammissibilità, oltre che di infondatezza, per cui il ricorso è nel complesso da rigettare.
Anzitutto, non può non rilevarsi che nella redazione del ricorso, composto di diciassette motivi, il ricorrente si limita a riproporre, con la tecnica dell’assemblaggio, i motivi di doglianza sollevati nel giudizio d’appello senza specificare, tuttavia, in omaggio al principio di autosufficienza che governa il giudizio di legittimità, in qual modo e per quale precisa ragione la Corte di merito si sarebbe discostata dall’applicazione delle norme citate, non potendo, a tal riguardo, ritenersi sufficiente il richiamo ad un’interpretazione di parte delle stesse norme in contrapposizione a quella adottata dai giudici del gravame.
Invero, si è al riguardo affermato (Cass. sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26277 del 22.11.2013) che “in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale, contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata, mentre, per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi del ricorso. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso formulato per “assemblaggio” del contenuto di tutti gli atti processuali, quali l’avviso di accertamento, i ricorsi e le sentenze di diversi gradi di merito)” (in senso conf. v. anche Cass. sez. 6 3, sentenza n. 3385 del 22.2.2016).
19. Egualmente inammissibile è il tredicesimo motivo, proposto per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (a sua volta richiamato nei motivi 16 e 17), in cui si assume che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare la circostanza della continuazione dell’esercizio dell’attività di notaio anche in epoca successiva a quella di maturazione del requisito dei prescritti quarant’anni di anzianità, dal momento che con la sentenza n. 8053 del 7/4/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, si è precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Quindi, nel sistema l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Ma è evidente che nella specie la valutazione operata dalla Corte di merito non è affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il giudice d’appello espresso in modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno del suo convincimento sulla insussistenza del diritto al conseguimento della pensione a decorrere dal 10.2.2007 e delle differenze sui ratei maturati e non riscossi dal 20.7.2007 o, in subordine, del diritto al versamento degli stessi importi a titolo risarcitorio.
20. Sono, invece, infondati i restanti motivi prospettati per violazione e falsa applicazione di legge, atteso che la chiara previsione normativa dei termini riguardanti la possibilità di tardiva richiesta di retrodatazione degli effetti dell’accredito contributivo è stata puntualmente considerata nell’impugnata sentenza laddove è stata ravvisata l’insussistenza, nella fattispecie, dei presupposti per l’accoglimento della domanda; egualmente condivisibile, alla luce della richiamata norma di cui alla L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, è l’affermazione giudiziale secondo cui all’epoca dei fatti l’iscrizione alla cassa era facoltativa per i praticanti procuratori con patrocinio, per cui non sussisteva un obbligo d’ufficio per la Cassa di provvedervi in luogo dell’interessato con riferimento al periodo compreso tra il 18.2.1971 ed il 23.5.1973 in cui il medesimo aveva svolto attività di praticante procuratore abilitato al patrocinio, con la conseguenza che alla data rivendicata del 10.2.2007 non poteva far valere i quarant’anni di anzianità contributiva.
Infatti, la L. 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense) all’art. 22 stabilisce, da un lato, che l’iscrizione alla cassa è obbligatoria per tutti gli avvocati e procuratori che esercitano la libera professione con carattere di continuità, ai sensi della L. 22 settembre 1975, n. 319, art. 2, ma dall’altro prevede anche che l’iscrizione alla cassa è facoltativa per i praticanti procuratori abilitati al patrocinio.
21. Quanto alla questione della riapertura dei termini per le iscrizioni retroattive alla Cassa, di cui alla L. n. 141 del 1992, art. 12, riapertura che il ricorrente aveva sollecitato con raccomandata del 4.2.1990, la Corte territoriale, dopo aver correttamente condiviso il ragionamento del primo giudice – secondo il quale, in applicazione del principio tempus regit actum e della normale irretroattività dello ius superveniens, la Cassa non aveva alcun obbligo di prendere in esame le precedenti istanze (tardive) di retrodatazione presentate nel vigore della previgente legge – ha ben posto in rilievo che nel caso in esame era infondato il presupposto di fatto da cui muoveva la tesi dell’appellante, vale a dire che il procedimento attivato dalla domanda del 1990 fosse ancora pendente alla data del 1992 di entrata in vigore della L. n. 141, il cui art. 12 contemplava, appunto, la possibilità di retrodatazione di iscrizioni già avvenute.
21.a) In realtà, come ha puntualmente spiegato la Corte d’appello, nella fattispecie non poteva non trovare applicazione la norma di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2, in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, il cui primo comma stabilisce che ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso, mentre il secondo comma aggiunge che le pubbliche amministrazioni determinano per ciascun tipo di procedimento, in quanto non sia già direttamente disposto per legge o per regolamento, il termine entro cui esso deve concludersi, ed il comma 3, quale norma di chiusura, precisa che qualora le pubbliche amministrazioni non provvedano ai sensi del comma 2, il termine è di trenta giorni.
21.b) Orbene, tenendo conto di tale norma la Corte distrettuale ha correttamente affermato che nel caso di specie, in mancanza di un diverso termine legale, alla data di entrata in vigore nel 1992 della legge che aveva riaperto i termini per la presentazione delle istanze di retrodatazione dell’iscrizione alla Cassa Forense, il procedimento attivato dalla precedente domanda dell’ A. del 1990 doveva intendersi certamente concluso, per cui egli avrebbe avuto l’onere di presentarne una nuova entro i nuovi termini di legge, mentre era pacifico che ciò non era avvenuto.
Infatti, la L. 11 febbraio 1992, n. 141 (Modifiche ed integrazioni alla L. 20 settembre 1980, n. 576, in materia di previdenza forense e di iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli avvocati e procuratori – Testo in vigore dal 6-3-1992) stabilisce al primo comma dell’art. 12 (Retrodatazione di iscrizioni già avvenute) quanto segue: “Il termine di cui alla L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 29, comma 1, è riaperto per la durata di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai soli fini della retrodatazione degli effetti di iscrizioni già avvenute. La facoltà di retrodatazione è estesa ai superstiti degli iscritti deceduti dopo l’entrata in vigore della citata L. n. 576 del 1980”.
21.c) Pertanto, una volta accertato che il procedimento attivato dalla precedente domanda dell’ A. del 1990 doveva intendersi concluso alla data di entrata in vigore della L. n. 141 del 1992 di riapertura dei termini per la presentazione delle istanze di retrodatazione di iscrizione alla Cassa Forense, la Corte di merito ha tratto la logica conseguenza che quest’ultima non poteva ritenersi responsabile del risarcimento del danno subito dall’appellante per essere il medesimo decaduto dalla possibilità di fruire della predetta riapertura dei termini.
22. Infine, quanto alla prospettata questione di incostituzionalità della norma di cui alla L. n. 141 del 1992, art. 15 per l’asserita discriminazione tra coloro che intendevano recuperare periodi previdenziali maturati successivamente al 1980 e coloro che, pur trovandosi in posizione assolutamente identica, li avevano invece maturati in epoca anteriore, si rileva che la norma in esame (iscrizioni tardive) prevede, ai primi due commi, quanto segue: “1. Chi, avendone l’obbligo, non ha presentato tempestiva domanda di iscrizione alla Cassa ai sensi della L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, come modificato dall’articolo 11 della presente legge, è ammesso a presentare domanda di iscrizione tardiva. Gli effetti dell’iscrizione, che non potrà comunque essere anteriore al 1980, decorrono dall’anno in cui è stato raggiunto il minimo di reddito o il minimo di volume d’affari, di natura professionale, fissati dal comitato dei delegati della Cassa ai sensi della L. 22 luglio 1975, n. 319, art. 3, e successive modificazioni. 2. La facoltà di cui al comma 1 può essere esercitata, a pena di decadenza, entro il termine di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Il quarto comma della stessa norma stabilisce, inoltre, che “Entro lo stesso termine di cui al comma 2, potranno essere sanate le inottemperanze all’obbligo di comunicazione di cui alla L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 17, come modificato dall’articolo 9 della presente legge, mediante l’invio della prescritta comunicazione. Il pagamento dei relativi contributi sarà effettuato con gli stessi criteri e modalità di cui al comma 3”.
22. a) Ebbene, è senz’altro condivisibile, in quanto perfettamente aderente alla finalità perseguita dalla citata norma di cui all’art. 15, la motivazione con la quale la Corte d’appello ha respinto la relativa questione di incostituzionalità sulla base della considerazione che la fissazione di un termine massimo all’effetto retroattivo dell’iscrizione tardiva risponde ad evidenti ragioni di semplificazione dei relativi accertamenti da parte della Cassa Forense che, viceversa, sarebbero risultati assai difficoltosi se si fosse consentito di risalire a tempi ancora più remoti. Nè la disposizione in esame appare irragionevole, atteso che la stessa, quale norma di favore, è rivolta a chi, pur avendone l’obbligo, non ha presentato tempestiva domanda di iscrizione alla cassa ai sensi della L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 22.
23. In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, per il pagamento, da parte del ricorrente, del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore di ognuna delle controricorrenti delle spese nella misura di Euro 2700,00, di cui Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018
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