LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. CURCIO Laura – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17319-2013 proposto da:
S.C., *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’ EDITRICE IL TEMPO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLONNA 366, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ZINGONI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7928/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/02/2013 R.G.N. 10748/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/06/2018 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione; udito l’Avvocato GIAMPIERO PROIA.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 7928 depositata il 19.2.13, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla Società Editrice Il Tempo s.r.l. e in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda della sig.ra S., volta all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica nel periodo dall’agosto 1996 al gennaio 2004 e alla condanna di parte datoriale al pagamento delle differenze retributive, alla reintegra nel posto di lavoro e al risarcimento del danno oppure, per l’ipotesi di ritenuta cessazione del rapporto, al pagamento del trattamento di fine rapporto e dell’indennità di preavviso.
2. La Corte territoriale ha ritenuto fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla società per il periodo anteriore al giugno 2001, epoca in cui la stessa era subentrata nella titolarità della testata giornalistica “Il Tempo”, ed ha considerato tardiva l’allegazione ad opera della lavoratrice degli effetti di cui all’art. 2112 c.c..
3. Ha escluso la sussistenza degli indici di subordinazione considerando: il nomen iuris adottato dalle parti che hanno qualificato il rapporto come collaborazione; la lettera del 16.7.1996 inviata dalla sig.ra S. alla redazione con cui la stessa, nel trasferirsi a ***** per ragioni familiari, si dichiarava disponibile a proseguire l’attività giornalistica prospettando la collaborazione come eventuale e senza alcun corrispettivo; la mancanza di continuità della prestazione, desumibile dal ridotto numero di articoli firmati dalla giornalista (138 nell’arco di otto anni, con una media di 17 per anno), atta a smentire la generica deposizione dei testi M. e Mo.; il carattere monotematico (mostro di *****) degli articoli redatti, incompatibile con l’assoggettamento al potere direttivo datoriale; l’irrilevanza della reperibilità offerta dalla giornalista come corrispondente da ***** e la compatibilità, anche con la natura autonoma del rapporto, delle indicazioni della società sulla lunghezza degli articoli; la deposizione del teste Sa. che ha riferito come, nel periodo dal 1996 al 2004, la struttura organizzativa della testata Il Tempo non contemplasse corrispondenti da *****.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la sig.ra S., affidato a cinque motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso la società.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1418 e 2113 c.c., anche in relazione all’art. 36 Cost..
2. Ha sostenuto come erroneamente la Corte d’appello avesse attribuito rilievo alla lettera del 16.7.1996, che conteneva una rinuncia nulla perchè indeterminata, relativa a diritti non maturati e oggetto di disposizioni inderogabili. Ha argomentato come, sebbene il trasferimento a ***** non fosse stato richiesto dalla società ma deciso dalla giornalista per motivi familiari, la società ne avesse tuttavia approfittato utilizzando le prestazioni della predetta come corrispondente dall’estero.
3. Col secondo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte di merito tenuto conto della forma di subordinazione attenuata che caratterizza il lavoro giornalistico, compatibile anche con una discontinuità della prestazione.
4. Col terzo motivo la ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistito nell’essersi messa a disposizione della società tra una prestazione e l’altra.
5. Col quarto motivo di ricorso la predetta ha denunciato la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in quanto contraddittoria e perplessa.
6. Col quinto motivo la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 414,416 e 420 c.p.c. e dell’art. 2112 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza ritenuto tardiva l’allegazione ai sensi dell’art. 2112 c.c., benchè fatta nella prima difesa utile, cioè nella memoria di costituzione avverso la domanda riconvenzionale della società e a fronte dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva da questa sollevata.
7. I motivi di ricorso non sono fondati e non possono trovare accoglimento.
8. Sul primo motivo, occorre richiamare l’insegnamento di questa Corte secondo cui “L’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa”, (Cass. n. 10554 del 2010; Cass. n. 22536 del 2007; Cass. n. 22979 del 2004).
9. Il motivo di ricorso in esame non esplicita in alcun modo con quali espressioni la Corte di merito avrebbe violato l’art. 1362 c.c. ma si limita ad evidenziare come la lettera del 16.7.96 “non conten(esse) alcuna manifestazione di volontà di dare vita ad una collaborazione non subordinata”, in tal modo contrapponendo inammissibilmente la propria lettura a quella adottata nella pronuncia impugnata.
10. Nè ha rilievo la dedotta violazione degli artt. 1418 e 2113 c.c. atteso che la Corte d’appello non ha esaminato la lettera per accertare la validità e gli effetti della rinuncia alla retribuzione ma ha utilizzato la stessa quale elemento indiziario al fine di stabilire la natura del rapporto di lavoro giornalistico. Lo stesso trasferimento all’estero della lavoratrice, non deciso dalla società ma dalla predetta per ragioni personali, è stato preso in esame unicamente tra gli indizi utili ai fini della qualificazione del rapporto.
11. Quanto al secondo motivo di ricorso, occorre ribadire i confini del sindacato di legittimità sulla qualificazione del rapporto di lavoro operata dai giudici di merito, come tracciati da una consolidata giurisprudenza. E’ costante l’affermazione secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, cioè l’individuazione del parametro normativo, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali al fine della verifica di integrazione del parametro normativo, (Cass., n. 17009 del 2017; Cass., n. 9808 del 2011; Cass., n. 13448 del 2003; Cass., n. 8254 del 2002; Cass., n. 14664 del 2001; Cass., n. 5960 del 1999).
12. In materia di attività giornalistica, si è precisato come “la qualificazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti come autonomo o subordinato deve considerare che, in tale ambito, il carattere della subordinazione risulta attenuato per la creatività e la particolare autonomia qualificanti la prestazione lavorativa, nonchè per la natura prettamente intellettuale dell’attività stessa, con la conseguenza che, ai fini dell’individuazione del vincolo, rileva specificamente l’inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell’organizzazione d’impresa. Nel giudizio di cassazione è sindacabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – incensurabile in tale sede ove congruamente motivata – la relativa valutazione”, (Cass. n. 2785 del 2013; Cass. n. 8068 del 2009; Cass. n. 5079 del 2009).
13. Si è ulteriormente sottolineato come nell’attività giornalistica “rilevano ai fini della individuazione del rapporto di lavoro subordinato l’ampiezza di prestazioni e l’intensità della collaborazione, che devono essere tali da comportare l’inserimento stabile del lavoratore nell’organizzazione aziendale, intendendo per stabilità il risultato di un patto in forza del quale il datore di lavoro possa fare affidamento sulla permanenza della disponibilità senza doverla contrattare volta per volta, dovendosi distinguere tra i casi, riconducibili al lavoro subordinato, in cui il lavoratore rimane a disposizione del datore di lavoro tra una prestazione e l’altra in funzione di richieste variabili e quelli, riconducibili al lavoro autonomo, in cui è invece configurabile una fornitura scaglionata nel tempo, ma predeterminata, di più opere e servizi in base ad unico contratto, con l’avvertenza che può influire nella distinzione anche il dato quantitativo relativo all’entità degli interventi del committente in corso d’opera”, (Cass. n. 12252 del 2003).
14. La Corte d’appello ha correttamente individuato gli elementi indiziari dotati di efficacia probatoria sussidiaria (e non decisiva) ai fini della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, tenuto conto dei parametri normativi del lavoro subordinato ed autonomo o parasubordinato e del discrimine tra gli stessi. Ha, in particolare, analizzato e valorizzato i seguenti elementi: il nomen iuris adoperato dalle parti, il trasferimento all’estero della lavoratrice per esclusive ragioni personali, il riferimento fatto nella citata lettera del 16.7.96 al carattere eventuale di una collaborazione dall’estero, che equivale ad assenza di un obbligo di prestazione, con correlata mancanza di corrispettivo, il limitato numero di articoli complessivamente prodotti dalla giornalista e tali da sconfessare una presunta continuità della prestazione, anche per il carattere monotematico della maggior parte di essi, l’inesistenza di indici di esercizio del potere direttivo, essendo la fissazione di lunghezza degli articoli compatibile anche con la collaborazione autonoma, il mancato inserimento della lavoratrice nella struttura organizzativa aziendale, priva peraltro del ruolo di corrispondente estero da *****.
15. Le censure mosse dalla ricorrente non solo si rivelano infondate rispetto all’errore di diritto denunciato ma, in quanto sollecitano una rivalutazione, in senso favorevole alla stessa, del materiale probatorio raccolto, risultano inammissibili in questa sede di legittimità, anche in quanto non conformi allo schema legale di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis (sentenza d’appello depositata il 19.2.13).
16. Infondato è anche il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che la sentenza impugnata ha preso in esame il fatto della disponibilità della sig.ra S. ad essere reperibile ed ha giudicato lo stesso non decisivo ai fini della natura del rapporto. Nè può invocarsi il vizio in esame adducendo che le prove testimoniali dimostravano come effettivamente la S. si mantenesse in modo costante a disposizione della società, poichè in tal modo si denuncia non l’omesso esame di un fatto bensì l’erronea valutazione delle prove.
17. Sul quarto motivo di ricorso, deve ricordarsi che le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) hanno precisato come, per effetto della novella del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione debba intendersi limitato al minimo costituzionale, con la conseguenza che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di qualsiasi rilievo del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, requisiti che non sono riscontrabili nel caso in esame e che la stessa parte ricorrente pretende di individuare, ancora una volta, sulla base di una propria valutazione degli elementi di prova testimoniale.
18. Neanche il quinto motivo di ricorso può trovare accoglimento poichè la continuazione del rapporto di lavoro col cessionario, ai sensi dell’art. 2112 c.c., presuppone la natura subordinato, dello stesso, nel caso di specie esclusa.
19. Le spese di lite sono regolate secondo il criterio di soccombenza e liquidate come in dispositivo.
20. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018
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