Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.27955 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10624-2014 proposto da:

V.S. (CF. *****), elettivamente domiciliato in Sant’Agata di Militello, alla via Asmara, presso lo studio dell’Avvocato CARMELA TERESA AMATA che lo rappresenta e lo difende giusta delega in atti e con contestuale dichiarazione ex art. 366 c.p.c., di volere ricevere le comunicazioni di Cancelleria all’indirizzo di PEC.

– ricorrente – intimato incidentale –

contro

POSTE ITALIANE SPA (CF. *****), in persona del legale rapp.te pt, elettivamente domiciliata in Roma, al Viale Mazzini 134, presso lo studio dell’Avvocato LUIGI FIORILLO unitamente all’Avvocato GAETANO GRANOZZI che la rappresenta e la difende giusta delega in atti;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1906/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 06/11/2013, R.G.N. 13/2009.

RILEVATO

che, con la sentenza n. 1906/2013, la Corte di appello di Messina, in riforma della pronuncia n. 21/08 emessa dal Tribunale di Patti ha respinto le domande proposte da V.S. nei confronti di Poste Italiane spa dirette ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ai due contratti a tempo determinato, intercorsi tra le parti dal 30.7.1997 al 30.9.1997 (causale: sostituzione di lavoratori assenti per l’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre) e dal 16.7.2003 al 30.9.2003 (causale: sostituzione del personale inquadrato nell’area operativa, assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro); che avverso la decisione di secondo grado V.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; che Poste Italiane spa ha resistito con controricorso formulando a sua volta ricorso incidentale sulla base di un motivo, illustrato con memoria;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

CONSIDERATO

che, con il ricorso principale per cassazione, in sintesi, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 perchè, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito, la causale del contratto del 2003 era generica sia da un punto di vista spazio-temporale, sia con riguardo al riferimento del personale da sostituire, di talchè doveva considerarsi violato l’obbligo di specificazione imposto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2; 2) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2719 c.c. nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere erroneamente ritenuto i giudici di seconde cure che le contestazioni mosse da esso ricorrente avverso i fogli di presenza (attestante la situazione del personale addetto al recapito nell’ufficio di *****) fossero avvenute solo con le note difensive depositate nel giudizio di appello quando invece la conformità della copia prodotta rispetto all’originale era stata disconosciuta in sede di prima udienza in primo grado, inoltre, si evidenza la non idoneità di tale documento a provare le assenza del personale nell’ufficio di *****;

che, con il ricorso incidentale, in sintesi, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, art. 1375 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la Corte territoriale erroneamente rilevato l’intervenuta risoluzione consensuale dei contratti per mutuo consenso, a causa della prolungata e ininterrotta inerzia del V.;

che i motivi del ricorso principale, trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati. Questa Corte ha più volte il principio, qui ribadito (cfr. Cass. 26.1.1010 n. 1577 e Cass. 26.1.20010 n. 1576), secondo cui “in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa di apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del presupposto di legittimità;

che è stato anche precisato che tale principio non si pone in senso contrario alla sentenza della Corte costituzionale n. 214/2009 laddove, dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1,comma 1 e art. 11 afferma che l’onere di specificazione previsto dallo stesso articolo 1 comma 2, impone che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione, atteso che il brano della citata sentenza costituzionale deve essere letto nel relativo contesto argomentativo, che individua la ratio legis proprio nell’esigenza di assicurare trasparenza e veridicità della causa che si pone a monte dell’apposizione del termine e la sua immodificabilità nel corso del rapporto; che ne discende che, nell’ampia casistica offerta dall’esperienza concreta, accanto a fattispecie elementari in cui è possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa indicazione non è possibile e l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori deve passare necessariamente attraverso la specificazione dei motivi, mediante l’indicazione di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma: in questi termini le due opzioni interpretative (quella della sentenza della Corte costituzionale e quella accolta dalla citata giurisprudenza della Suprema Corte) sono compatibili (cfr. tra le altre Cass. 17.1.2012 n. 565; Cass. 2.5.2011 n. 9602);

che l’accertamento di fatto a riguardo operato dal giudice del merito, il quale ha fondato la valutazione di specificità della causale sul rilievo che nel contratto era indicato l’ambito territoriale, il luogo della prestazione lavorativa e le mansioni dei lavoratori da sostituire con il relativo periodo in cui la temporanea carenza si era verificata risulta coerente con le indicazioni del giudice di legittimità e si sottrae pertanto alle censure formulate;

che in tale quadro, caratterizzato dalla definizione di un criterio elastico che si riflette poi sulla relatività delle verifica dell’esigenza sostitutiva in concreto, per la legittimità della apposizione del termine è sufficiente quindi l’accertamento della congruità del rapporto tra le assenze del personale stabile e il numero dei contratti a termine conclusi per tale esigenza, in un determinato periodo, non essendo peraltro, affatto necessario un carattere di temporaneità ex se dell’esigenza stessa e neppure un carattere di straordinarietà ovvero un superamento di un tasso fisiologico di assenteismo (in termini Cass. 14.2.2013 n. 6979);

che le ulteriori censure prospettate, le quali si risolvono nella denuncia del vizio della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, sono infondate. Deve darsi, infatti, continuità al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione delle altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr. tra le altre Cass. 21.7.2010 n. 17097; Cass. 24.5.2006 n. 12362);

che è parimenti infondata la doglianza circa il riscontro di effettività delle esigenze sostitutive operato dalla Corte distrettuale sulla base del prospetto prodotto da Poste Italiane spa: invero, esso risulta coerente con la giurisprudenza di questa Corte in quanto fondato sul raffronto tra il numero dei lavoratori a tempo indeterminato che sono stati sostituiti ed il numero delle giornate lavorate dal personale assunto a termine nello stesso ufficio postale;

che le censure, infine, sull’assunto del giudice di appello, in ordine alla rilevanza delle contestazioni dei dati risultanti dagli elementi documentali e alla loro attendibilità e veridicità, sono inammissibili in quanto si traducono in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito nella valutazione del materiale probatorio;

che anche il ricorso incidentale non è meritevole di pregio alla stregua dell’orientamento di legittimità (cfr. Cass. n. 29781/2017; Cass. n. 13660/2018; Cass. n. 13958/2018), cui si intende dare seguito, secondo il quale in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici ed adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente;

che alla stregua di quanto esposto sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati;

che la soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti integralmente le spese del presente giudizio di legittimità;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese processuali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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