Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.27957 del 31/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27977/2013 proposto da:

G.S., *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PREMUDA 18, presso lo studio dell’avvocato EMILIO RICCI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE RAIMONDI;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI ROMA, in persona del Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 119-A, presso gli uffici dell’Avvocatura Provinciale, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNA ALBANESE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7095/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/08/2013 R.G.N. 9156/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per inammissibilità in subordine rigetto;

udito l’Avvocato GIUSEPPE RAIMONDI;

udito l’Avvocato GIOVANNA DE MAIO per delega verbale Avvocato GIOVANNA ALBANESE.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello di G.S. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti della Provincia di Roma, volto ad ottenere l’accertamento della dequalificazione subita a far tempo dal giugno 2008 e la conseguente condanna della resistente al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

2. La Corte territoriale ha premesso che nell’aprile 2008 l’appellante, all’esito di accertamenti effettuati presso il Servizio Centrale di Sanità della Polizia di Stato, era stato dichiarato inidoneo al porto dell’arma, sicchè il datore di lavoro l’aveva assegnato a servizi diversi da quello armato e non lo aveva restituito alle originarie mansioni, sebbene G.S. avesse richiesto ripetutamente di essere riassegnato al precedente servizio, dopo avere ottenuto dalla ASL di ***** certificato medico di idoneità al possesso dell’arma.

3. Il giudice di appello, rilevato che il danno, nelle molteplici forme che può assumere, deve essere allegato e provato dal danneggiato, ha evidenziato che il ricorso introduttivo della lite era carente di puntuali allegazioni in ordine agli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio asseritamente derivato dalla condotta tenuta dal datore di lavoro. Ha aggiunto che le carenze dell’atto non consentivano neppure di fare ricorso alle presunzioni, posto che anche detto strumento probatorio presuppone che i fatti da provare siano stati allegati ed abbiano formato oggetto di contraddittorio.

4. Ha, pertanto, ritenuto la carenza probatoria sufficiente per rigettare l’appello ed ha evidenziato che non contrasta con alcuna regola processuale o principio giuridico la pronuncia del giudice che, chiamato a statuire sulla domanda di risarcimento del danno, la rigetti per mancanza di prova del pregiudizio subito, ancor prima di esaminare la fondatezza o meno del fatto costitutivo.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.S. sulla base di due motivi, ai quali la Provincia di Roma ha resistito con tempestivo controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso G.S. denuncia “omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio” e rileva che la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunciare sulla domanda, riproposta in grado di appello, volta a far accertare il dedotto demansionamento ed il diritto all’uso dell’arma. Sostiene, in sintesi, il ricorrente che le questioni prospettate, pur se tra loro collegate, dovevano comportare una valutazione autonoma “in ragione della specificità di ciascuna di esse ed in particolare dell’assunzione da parte dell’amministrazione della Provincia di Roma di quel controverso e contestato provvedimento che inibiva il porto dell’arma di servizio”.

1.2. La seconda censura lamenta il vizio motivazionale sotto altro profilo ed invoca l’applicabilità dell’art. 421 cod. proc. civ. perchè si sostiene che, a fronte di accertamenti medico-legali discordanti fra loro, il giudice di merito avrebbe dovuto disporre consulenza tecnica d’ufficio finalizzata a verificare se il ricorrente fosse idoneo al servizio armato.

2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per plurime ragioni concorrenti.

La Corte romana, invertendo l’ordine logico delle questioni, ha ritenuto sufficiente per respingere l’appello la genericità delle allegazioni relative alla natura ed all’entità dei pregiudizi subiti e, in tal modo, ha implicitamente escluso che fosse stata proposta un’autonoma domanda di accertamento della dequalificazione subita.

Il ricorrente, pur censurando le conclusioni alle quali il giudice d’appello è pervenuto, non individua l’error in procedendo nel quale la Corte territoriale sarebbe incorsa e, dopo avere erroneamente richiamato nella rubrica il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si limita a sostenere che, contrariamente a quanto asserito dal giudice di appello, la domanda si “articolava su due punti specifici” sui quali la Corte avrebbe dovuto statuire.

La censura, peraltro, non è formulata nel rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, e art. 369 c.p.c., n. 4, perchè il ricorrente non trascrive nel ricorso il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e dell’appello, non produce detti atti in questa sede nè fornisce specifiche indicazioni sulla loro allocazione nel fascicolo di parte o d’ufficio.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che in caso di denuncia di un error in procedendo l’esercizio del potere-dovere di esame diretto degli atti da parte del giudice di legittimità è condizionato dalla proposizione di una valida censura, sicchè la parte non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, provvedendo, inoltre, all’allegazione degli stessi o quantomeno a indicare, ai fini di un controllo mirato, i luoghi del processo ove è possibile rinvenirli (fra le più recenti Cass. 21.12.2017 n. 30708; Cass. 4.7.2014 n. 15367, Cass. S.U. 22.5.2012 n. 8077; Cass. 10.11.2011 n.23420).

2.1. Va, poi, aggiunto che allorquando, come nella fattispecie, si assuma che dall’errore commesso nell’interpretazione della domanda è derivata un’omessa pronuncia non è indispensabile che il ricorso richiami espressamente l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., ma a condizione che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile la censura allorchè si sostenga solo che la motivazione sia mancante o insufficiente o ci si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. S.U. n. 17931/2013 e negli stessi termini fra le più recenti Cass. n. 10862/2018).

Quest’ultima evenienza ricorre nel caso di specie, poichè, come già evidenziato, G.S. ha lamentato “omessa e/o insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, senza individuare le norme processuali violate e senza fare riferimento alcuno alla nullità derivata dalla violazione dell’art. 112 c.p.c..

3. Parimenti inammissibile è la seconda censura, con la quale il ricorrente si duole della mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio, da disporre ex art. 421 c.p.c., e finalizzata ad accertare la sussistenza dei requisiti psico-fisici necessari per l’idoneità al porto dell’arma di servizio.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che la proposizione di censure non pertinenti rispetto al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possano rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, giacchè il requisito di specificità del motivo implica la necessaria riferibilità alla decisione di cui si chiede la cassazione, non essendo ammissibili nel giudizio di legittimità doglianze non aventi specifica attinenza alle ragioni che sorreggono la sentenza sottoposta ad impugnazione (cfr. fra le più recenti Cass. n. 10317/2018, Cass. n. 6137/2018, Cass. n. 3331/2018).

La mancanza di specificità del motivo risulta evidente nella fattispecie, posto che la Corte territoriale non ha pronunciato sull’asserita dequalificazione, per le ragioni indicate nel punto che precede.

3.1. Si deve aggiungere che la censura sarebbe comunque inammissibile perchè nel rito del lavoro il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (Cass. n. 22534/2014). Il motivo, quindi, è validamente formulato solo qualora il ricorrente dimostri di avere sollecitato l’esercizio del potere, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito (Cass. n. 25374/2017).

4. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472