Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.27961 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Giglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 803-2014 proposto da:

G.G., C.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo studio dell’avvocato SEBASTIANO MASTROBUONO, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO BENEDETTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

NOVARTIS FARMA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DONATELLO 23, presso lo studio dell’avvocato PIERGIORGIO VILLA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLO ADELCHI PIRIA e FRANCESCA LIBANORI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

O.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2003/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/12/2012, R.G.N. 1911/2010.

RILEVATO

1. che con sentenza n. 2003 depositata il 14.12.12, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha respinto le domande proposte dal sig. G. ed ha condannato quest’ultimo a restituire alla società appellata le somme percepite in esecuzione della sentenza impugnata, oltre interessi legali;

2. che la Corte territoriale ha dato atto di come il Tribunale avesse ritenuto non integrati gli estremi del mobbing dedotto dal lavoratore, avesse considerato valida ed efficace la transazione avente ad oggetto la risoluzione del rapporto di lavoro, e condannato la società al risarcimento dei danni causati dalla risoluzione medesima, liquidati in Euro 15.982,50;

3. che la Corte ha respinto l’appello principale del G. ribadendo il difetto di prova di condotte vessatorie poste in essere dal superiore gerarchico, sig. O., sul rilievo che le deposizioni testimoniali raccolte dimostrassero unicamente tensioni, frutto di disaccordo, non sfociate in comportamenti persecutori e che le e.mail prodotte contenessero richiami e rilievi mossi dal superiore nei confronti del G., di cui non era stata allegata e provata la natura pretestuosa; che ha ritenuto non proposta, e comunque infondata, la domanda di risarcimento danni da dequalificazione professionale;

4. che la sentenza impugnata ha inoltre rilevato come l’accordo di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro del 13.11.98 fosse stato considerato legittimo dal primo giudice con statuizione non oggetto di impugnativa; che ha affermato come, data la legittimità dell’accordo ed il contenuto dello stesso (che prevedeva l’imputazione della somma versata in sede transattiva anche a eventuali future pretese dal dipendente), non fosse configurabile alcun diritto del lavoratore al risarcimento dei danni e, in accoglimento dell’appello incidentale della società, ha riformato sul punto la pronuncia di primo grado;

5. che avverso tale sentenza il sig. G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso, la società; che il sig. O. è rimasto intimato;

6. che entrambe le parti hanno depositato memoria ed il Pubblico Ministero ha depositato le conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

CONSIDERATO

7. che col primo motivo di ricorso il sig. G. ha dedotto violazione di legge, oltre che omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza, confusamente, per “mancata disamina delle ragioni interne al ricorso di primo e di secondo grado; aberrazione interpretativa degli scopi ultimi dei due ricorsi; accoglimento acritico della difesa Novartis”;

8. che ha sottolineato l’illegittima sua espulsione dalla compagine aziendale, la responsabilità extracontrattuale del sig. O. per avergli causato danni connessi alla interruzione della carriera e alle difficoltà di reinserimento nel mondo del lavoro; l’invalidità dell’accordo transattivo per difetto delle reciproche concessioni con responsabilità extracontrattuale della Novartis;

9. che col secondo motivo il ricorrente ha dedotto omesso esame di elementi decisivi della controversia, come la testimonianza del sig. D. e il contenuto delle e.mail atte a dimostrare l’intento offensivo e persecutorio da parte del sig. O.;

10. che entrambi i motivi risultano inammissibili;

11. che il primo motivo di ricorso, nella parte in cui denuncia violazione di legge, è formulato senza alcuna indicazione delle norme o dei principi di diritto che si assumono violati e senza l’esposizione di alcuna argomentazione in grado di illustrare l’inosservanza di norme o principi di diritto, in modo pertinente rispetto al contenuto della sentenza impugnata;

12. che del tutto inconferente risulta il rilievo sulla mancata verifica, ad opera della Corte d’appello, di effettive reciproche concessioni tra le parti dell’accordo transattivo posto che lo stesso ricorrente ha precisato di non aver “inteso impugnare il contratto transattivo” e la sentenza d’appello ha confermato l’accertamento del primo giudice di legittimità dell’accordo medesimo, con conseguente infondatezza di qualsiasi pretesa risarcitoria;

13. che inammissibili risultano anche le censure, oggetto del primo e del secondo motivo, formulate con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma in modo non conforme al modello legale del nuovo vizio “motivazionale”, risultante a seguito delle modifiche introdotte con il D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012;

13. che al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) hanno precisato come il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”;

14. che nel caso di specie, l’omesso esame, come denunciato dal ricorrente, ha ad oggetto non fatti intesi in senso storico fenomenico bensì unicamente elementi istruttori, ed esattamente la deposizione del teste D. ed il contenuto delle e.mail allegate al ricorso in primo grado, prove entrambe, peraltro, espressamente analizzate e valutate nella sentenza impugnata;

15. che per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento, nei confronti della società contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo; che non vi è luogo a provvedere sulle spese nei confronti del sig. O., rimasto intimato;

16. che deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, nei confronti della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis Così deciso in Roma, nella udienza camerale, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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