LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20722-2017 proposto da:
S.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO GALLUCCIO e dall’avvocato RAFFAELE BENE;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI POZZUOLI, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FASANA 21, presso lo studio dell’avvocato MICHAEL LOUIS STIEFEL, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE FERRARO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 550/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/07/2017; R.G.N.1103/2017.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/07/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e in subordine per il rigetto.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza pubblicata in data 4 luglio 2017, la Corte d’Appello di Napoli, in sede di reclamo ex lege n. 92 del 2012, ha confermato il giudizio di prime cure con cui era stata respinta l’impugnativa della risoluzione del rapporto di lavoro attuata dal Comune di Pozzuoli nei confronti di S.A., con nota del 9 luglio 2015 e con decorrenza dal maggio 2016, in applicazione delle procedure in materia di ricognizione del fabbisogno di personale ed in particolare di quelle relative al prepensionamento del personale individuato in esubero.
2. La Corte territoriale, conformemente al primo giudice, ha ritenuto che la procedura che aveva condotto alla risoluzione del rapporto con lo S., “attraverso una serie di atti organizzativi interni, previsionali e programmatici”, sia stata attuata “in piena coerenza con la normativa vigente” ed ha così disatteso tutte le censure mosse dal lavoratore, avendo “l’amministrazione… proceduto ad una ricognizione dell’eccedenza del personale in base a criteri generali e considerazioni relative ad un riassetto organizzativo e ad una riduzione delle spese, senza riferimento alcuno a posizioni individuali”.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S.A. con 6 motivi, cui ha resistito il Comune di Pozzuoli con controricorso, depositando altresì memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso per cassazione non può trovare accoglimento per le ragioni già compiutamente esposte da questa Corte, qui integralmente condivise, in controversia analoga alla presente (Cass. n. 19864 del 2018) ed alla quale si rinvia per ogni approfondimento ulteriore rispetto alla motivazione che segue.
2. Con il primo motivo si denuncia errata applicazione delle seguenti disposizioni: a) D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72,comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133; b) direttiva 2000/78/CE, cui è stata data attuazione con il D.Lgs. n. 216 del 2003; c) D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, comma 1, come modificato e integrato dalla L. n. 183 del 2011, art. 16; nonchè errata applicazione: a) della Circolare c.d. Madia n. 4 del 2014; b) della Circolare del Ministero della Funzione Pubblica n. 3 del 2013.
Si sostiene che la presente fattispecie non sarebbe configurabile come pensionamento per raggiunti limiti di età e di anzianità secondo la c.d. Riforma Fornero, in quanto si tratterebbe di una risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro con conseguente prepensionamento in deroga alle leggi applicabili, in particolare a quella che prevede la risoluzione unilaterale dell’amministrazione solo in caso di raggiungimento della massima anzianità contributiva (D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11), mentre l’istante ha percepito una pensione ridotta rispetto a quella cui avrebbe avuto diritto se l’ente non avesse provveduto anticipatamente a risolvere il rapporto.
Si deduce dunque l’illegittimità delle Delib. di Giunta n. 100 del 2014 e Delib. n. 78 del 2015.
2.1. Il primo motivo è inammissibile per plurime, concorrenti ragioni.
In primo luogo risulta irrituale la denuncia del mancato rispetto della Circolare c.d. Madia n. 4 del 2014 e della Circolare del Ministero della Funzione Pubblica n. 3 del 2013, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Infatti, in base ad un costante orientamento di questa Corte, le circolari della P.A. sono atti interni destinati ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività degli organi inferiori e, quindi, hanno natura non normativa, ma di atti amministrativi, pertanto la loro violazione non è denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (vedi, per tutte: Cass. 10 agosto 2015, n. 16644; Cass. 12 gennaio 2016, n. 280; Cass. 30 maggio 2005 n. 11449).
2.2. Inoltre, sia con riguardo alle suddette Circolari, sia per le delibere comunali richiamate, sia per le contestate informazioni richieste dal Comune all’INPS, non risulta rispettato il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione (c.d. autosufficienza), in base al quale il ricorrente per cassazione qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e all’art. 369 c.p.c., n. 4, (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).
2.3. Infine la contestazione della statuizione della Corte d’appello secondo cui il ricorrente era in possesso dei requisiti pensionistici e rientrava tra i dipendenti in eccedenza viene effettuata dal ricorrente facendo riferimento in parte ai suindicati documenti non ritualmente richiamati e, in parte, apoditticamente ad elementi di fatto – relativi, in particolare, ai requisiti di età e di anzianità contributiva posseduti – così implicitamente chiedendone a questa Corte una inammissibile rivalutazione.
3. Parimenti inammissibile il secondo motivo con cui si denuncia errata applicazione del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 2,comma 11, lett. a) e b), convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, con riferimento all’affermazione della Corte d’appello secondo cui è esclusa la previsione legislativa di alcun termine di scadenza inderogabile e perentorio entro cui dichiarare le eccedenze, visto che il tenore testuale della legge non consente di attribuire un simile carattere al termine del 31 dicembre 2013 ivi indicato.
Infatti la censura è principalmente basata sul richiamo – non autosufficiente della Delib. Giunta comunale n. 68 del 2013, nella quale sarebbe stata attestata l’assoluta assenza di eccedenze di personale al 31 dicembre 2013; è altresì evidente che una simile attestazione comunque non avrebbe alcuna incidenza sulla natura del termine previsto dall’art. 2, comma 11, cit..
4. Con il terzo motivo si denunciano: a) errata applicazione del D.L. n. 112 del 2008 cit., art. 72, comma 11, e della direttiva 2000/78/CE; b) violazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., con riferimento alla ritenuta inesistenza dell’obbligo di motivazione, statuizione che viene contestata sul presupposto che avrebbe dovuto considerarsi applicabile la disciplina dei licenziamenti collettivi, come affermato da Cass. n. 11595 del 2016 e da giurisprudenza di merito.
Si sottolinea che dalla citata sentenza si desumerebbe che la “motivazione organizzativa” deve sostenere anche le risoluzioni “automatiche” dei rapporti di lavoro, per evitare discriminazioni (anche per età) vietate dalla richiamata direttiva UE oltre che per garantire il rispetto dei canoni di buona fede e trasparenza dell’azione della PA.
Il motivo è infondato perchè le statuizioni della Corte territoriale sul punto sono corrette e conformi alla giurisprudenza di questa Corte in materia, che è da intendere qui richiamata (vedi, spec.: Cass. 18 ottobre 2017, n. 24583).
4.1. Deve essere premesso, sul punto, che, come correttamente affermato dalla Corte d’appello, la presente vicenda trova la sua disciplina ratione temporis applicabile nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 come sostituito dalla L. n. 183 del 2011, art. 16.
Tale disposizione indica le procedure che le Pubbliche Amministrazioni, le quali hanno situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, sono tenute ad osservare.
4.2. In particolare, al comma 5, stabilisce che, ai suddetti fini, l’Amministrazione, in via principale, applica il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, convertito dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, che nella versione originaria non conteneva alcuno specifico riferimento alla motivazione del provvedimento in oggetto.
Con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 16, comma 11, convertito dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, si prevede che l’esercizio della facoltà di risoluzione unilaterale dei rapporti di lavoro dei dipendenti riconosciuta alle Pubbliche Amministrazioni, dal D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, “non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo”.
Inoltre il D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 2, comma 1, (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, pure richiamato dalla sentenza impugnata, stabilisce: “Fermo restando il divieto di effettuare, nelle qualifiche o nelle aree interessate da posizioni soprannumerarie, nuove assunzioni di personale a qualsiasi titolo per tutta la durata del soprannumero, le amministrazioni possono coprire i posti vacanti nelle altre aree, da computarsi al netto di un numero di posti equivalente dal punto di vista finanziario al complesso delle unità soprannumerarie di cui alla lettera a), previa autorizzazione, secondo la normativa vigente, e verifica, da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, anche sul piano degli equilibri di finanza pubblica, della compatibilità delle assunzioni con il piano di cui al comma 12 e fermo restando quanto disposto dall’art. 14, comma 7, presente decreto. Per le unità di personale eventualmente risultanti in soprannumero all’esito delle riduzioni previste dal comma 1, le amministrazioni, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali, avviano le procedure di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 33adottando, ai fini di quanto previsto dallo stesso art. 33, comma 5 le seguenti procedure e misure in ordine di priorità: a) applicazione, ai lavoratori che risultino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi i quali, ai fini del diritto all’accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico in base alla disciplina vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, art. 24 convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento medesimo entro il 31 dicembre 2016, dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva nonchè del regime delle decorrenze previsti dalla predetta disciplina pensionistica, con conseguente richiesta all’ente di appartenenza della certificazione di tale diritto. Si applica, senza necessità di motivazione, il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133”.
Il D.L. 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), conv. con modificazioni dalla L. 30 ottobre 2013, n. 125, art. 2, comma 6, così “interpreta” del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, detto art. 2, comma 11, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, “nel senso che l’amministrazione, nei limiti del soprannumero, procede alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nei confronti dei dipendenti in possesso dei requisiti indicati nella disposizione”.
Successivamente il D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 1, comma 5, convertito dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 il quale ha nuovamente sostituito il citato art. 72, comma 11 prevedendo, fra l’altro, espressamente l’adozione di una “decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati”.
4.3. Premesso il complesso quadro normativo, occorre rilevare che questa Corte, con plurime pronunce (Cass. nn. n. 24583, 1754 e 1706 del 2017; nn. 26475, 25378, 18723, 11595 del 2016; n. 21626 del 2015), oltre quella citata in esordio, ha, sulla base della interpretazione della normativa applicabile, affermato principi di diritto che – benchè nella maggior parte dei casi enunciati in relazione a fattispecie svoltesi in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.L. n. 98 del 2011, citato art. 16, comma 11, – tuttavia risultano essere nella sostanza applicabili anche nel presente giudizio con riguardo all’assolvimento dell’obbligo motivazionale, al rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede, alla conformità della disciplina con il diritto della UE, nella parte in cui fa divieto di trattamenti discriminatori in ragione dell’età.
4.4. Quanto all’obbligo di motivazione, premesso il carattere innovativo e non interpretativo dell’art. 16, comma 11, cit., alla luce delle suindicate pronunce va precisato che per le fattispecie – come la presente – cui tale disposizione è applicabile, attraverso l’adozione dell’atto organizzativo previsto dalla norma vengono tutelati gli interessi cui risponde la previsione della motivazione dell’atto amministrativo – ostensione delle ragioni organizzative sottese all’adozione dell’atto di risoluzione, che rendono l’atto rispondente al pubblico interesse il quale deve costantemente orientare l’azione amministrativa (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2), rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.), dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonchè dell’art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE poichè il suddetto atto, per la sua stessa natura, è idoneo ad esplicitare le finalità dell’azione dell’ente e la sua previa adozione permette anche di verificare la riconducibilità del singolo atto di risoluzione alle esigenze esplicitate nel provvedimento di carattere generale.
In tale ipotesi – che è quella che qui ricorre – quindi, per espressa volontà del legislatore, non è necessario che la risoluzione anticipata del rapporto venga ulteriormente giustificata, ben potendo l’Amministrazione limitarsi a richiamare i criteri applicativi della norma di legge individuati in via preventiva, criteri che non possono essere sindacati nel merito, non essendo consentito al giudice sostituirsi alla Pubblica Amministrazione nelle scelte di carattere organizzativo.
4.5. Quanto alla sentenza di questa Corte n. 11595 del 2016 va precisato che, ai fini della questione relativa all’obbligo della motivazione, tale sentenza non è richiamabile nel presente giudizio in quanto si riferisce ad una fattispecie antecedente all’entrata in vigore dell’art. 16, comma 11, cit., altresì caratterizzata anche dalla mancanza di un atto generale di organizzazione, presente invece nella vicenda qui all’esame.
4.6. Circa la lamentata violazione delle direttive comunitarie è sufficiente ricordare il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui la risoluzione unilaterale da parte di una Pubblica Amministrazione dei rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 e in applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 72,comma 11, non contrasta con l’art. 6 della direttiva 2000/78/CE, attuata dal D.Lgs. n. 216 del 2003, come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, in quanto tale direttiva consente agli Stati membri di prevedere, nell’ambito del diritto nazionale, forme di differenze di trattamento dei lavoratori fondate sull’età purchè siano “oggettivamente e ragionevolmente” giustificate da una finalità legittima quale è la politica del lavoro e del relativo mercato o della formazione professionale e sempre che i mezzi per il raggiungimento di tale scopo siano necessari e appropriati, come si verifica nella specie (vedi, per tutte: Cass. 28 ottobre 2015, n. 22023; Cass. 9 giugno 2016, n. 11859).
5. Con il quarto motivo si denuncia errata applicazione delle seguenti disposizioni: D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6,D.L. n. 95 del 2012 cit., art. 2, comma 8 e art. 16, comma 8; D.M. 16 marzo 2011, n. 51770; direttiva 2000/78/CE, cui è stata data attuazione con il D.Lgs. n. 216 del 2003.
Si sostiene che la Corte d’appello non avrebbe considerato che, nella specie, mancavano sia il prescritto atto preventivo di macro-organizzazione sia la apposita determinazione dirigenziale supportata da esauriente motivazione.
Si eccepisce che le Delib. di Giunta n. 100 del 2014 e Delib. n. 78 del 2015, più volte invocate, non assurgono ad atti integranti la riorganizzazione del personale.
Il motivo è inammissibile sia per mancato rispetto del principio di autosufficienza (specialmente, con riferimento alle delibere comunali richiamate) sia perchè – al di là del formale richiamo alla violazione di norme di diritto contenuto nell’intestazione del motivo – con esso sostanzialmente si contestano scelte discrezionali operate dalla PA al fine di dare l’avvio alla procedura di risoluzione dei rapporti di lavoro dei dipendenti di cui si tratta – non sindacabili nel merito in questa sede non essendo consentito al giudice sostituirsi alla Pubblica Amministrazione nelle scelte di carattere organizzativo – mentre, d’altra parte, non sono offerti argomenti idonei ad inficiare il giudizio di correttezza e legittimità della procedura espresso dalla Corte d’appello.
6. Con il quinto motivo si denuncia errata individuazione della norma applicabile ed errata applicazione della c.d. “circolare Madia” n. 4 del 2014, del D.Lgs. n. 165 del 2001 nonchè del D.L. n. 101 del 2013 e degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., con riguardo all’affermata correttezza della risoluzione del rapporto di lavoro in oggetto, che sarebbe stato invece discriminatorio ed effettuato senza trasparenza, come sarebbe dimostrato dal fatto che la PA – eludendo la normativa pensionistica – ha avviato la procedura di prepensionamento come autoritativa, ma poi nella sostanza ha licenziato i dipendenti facendo riferimento alla disciplina del prepensionamento su base volontaria.
Il motivo è inammissibile perchè con esso il ricorrente – senza dare adeguato rilievo alla situazione eccedentaria riscontratasi nel Comune di Pozzuoli con conseguente eccessiva spesa per il personale – critica il criterio discrezionale prescelto dalla PA per uscire dall’anzidetta situazione, rappresentato dal prepensionamento delle categorie medio-basse di personale, oltretutto basando le sue contestazioni sulla prospetta violazione della c.d. “circolare Madia”, irritualmente invocata, come si è detto sopra.
7. Con il sesto motivo si denuncia omessa motivazione sulla violazione dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 557 e della c.d. circolare Madia n. 4 del 2014, sul rispetto del patto di stabilità interno che sarebbe stato violato dalla decisione del Comune di disporre l’integrazione salariale di alcuni LSU nel periodo immediatamente successivo all’adozione della procedura di prepensionamento in argomento.
Anche il sesto motivo è inammissibile, non solo per il suo profilo di novità in quanto non specifica dove e come la questione sia stata sollevata in giudizio, ma anche perchè le censure con esso proposte attengono ad una prospettata omissione di motivazione in ordine ad una scelta discrezionale della PA – come tale non sindacabile in sede giudiziaria – e, quindi, fanno riferimento a parti della motivazione della sentenza impugnata, sicchè risultano formulate in modo non conforme all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928).
8. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018