Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.27964 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15291/2014 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 109, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI D’AMICO, rappresentato e difeso dagli avvocati MARIA ANTONIETTA PAPADIA, FRANCESCO VINCENZO PAPADIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., (Società di Trasporti e Servizi per Azioni) C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CLAUDIO MONTEVERDI N. 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CONSOLO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2367/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 19/07/2013 R.G.N. 4596/2008.

RILEVATO

che:

Che la Corte di appello di Bari con al sentenza n. 2367/2013 aveva rigettato l’appello proposto da A.A. avverso la decisione con la quale il Tribunale locale aveva rigettato la domanda dallo stesso proposta nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana spa, diretta all’accertamento del danno biologico conseguito alle mansioni che aveva continuato a svolgere pur a seguito di precedente riconoscimento di patologia dipendente da causa di servizio collegata alle stesse.

Specificava il ricorrente che con sentenza n. 7633/1997 il Tribunale di Bari aveva riconosciuto la dipendenza di causa di servizio della patologia denunciata (*****) e che nonostante l’accertamento le mansioni a lui assegnate non erano mutate. Il lavoratore aveva quindi adito nuovamente il Tribunale per chiedere l’accertamento del danno biologico patito.

La Corte territoriale, confermando la decisione di rigetto della domanda del locale tribunale, aveva ritenuto preliminarmente separate le azioni e le connessioni tra il riconoscimento della causa di servizio inerente le patologie da cui era affetto il lavoratore e la domanda di risarcimento del danno conseguente il mancato adempimento degli obblighi di sicurezza incombenti sul datore di lavoro; aveva ritenuto non adempiuti pienamente gli oneri probatori comunque incombenti sul lavoratore con riguardo alle modalità di determinazione del danno, non potendosi affermare la presenza nella disposizione di cui all’art. 2087 c.c., di una ipotesi di responsabilità oggettiva. In concreto aveva valutato che riguardo a specifiche attività ed a specifici ambienti di lavoro risultano presenti rischi per la salute del lavoratore ineliminabili in tutto o in parte dal datore di lavoro e per i quali deve essere messa in conto una necessaria accettazione del rischio alla salute del lavoratore legittimata dal principio di bilanciamento degli interessi. In tale contesto non risulta configurabile la responsabilità ex art. 2018 c.c., se non in caso di comportamenti specifici ed anomali del datore di lavoro, la cui prova incombe sul lavoratore, che, nel caso di specie, era mancata.

Avverso detta decisione l’ A. proponeva ricorso affidato a 4 motivi ed a successiva memoria cui resisteva con controricorso Rete Ferroviaria Italiana.

CONSIDERATO

che:

1) Con il primo motivo era denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,2097 e 2697 c.c. (ex art. 360, n. 3), con riguardo al governo degli oneri probatori nella fattispecie esaminata. In particolare il ricorrente aveva rilevato che incombe al lavoratore dar la prova del danno subito e della patologia da cui è affetto ed al datore di lavoro l’onere di provare di aver adottato tutte le misure necessarie.

Deve preliminarmente rilevarsi che “La dipendenza della malattia del lavoratore da una “causa di servizio” non implica, nè può far presumere, che l’evento dannoso sia derivato dalle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro, essendo possibile che la patologia accertata debba essere collegata alla qualità intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa ed al logoramento dell’organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo In detto ultimo caso si resta al di fuori dell’ambito dell’art. 2087 c.c., che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici” (Cass. n. 25151/2017) Il principio esposto, coerente con la fattispecie in esame, impone quindi che nell’ipotesi in cui sia presente una malattia accertata quale conseguenza dell’attività di lavoro, non sia affatto automatica la responsabilità datoriale ma questa, in ipotesi, debba invece essere provata con le regole generali in materia di responsabilità e ciò pur se si discuta, come nella fattispecie in esame, di danno conseguente all’utilizzo del lavoratore in mansioni uguali a quelle che avevano determinato la patologia riconosciuta come afferente all’attività di lavoro.

Con riguardo alla ripartizione degli oneri di prova questa corte ha chiarito che “Il lavoratore che agisca, nei confronti del datore di lavoro, per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c.. In particolare, nel caso di omissione di misure di sicurezza espressamente previste dalla legge, o da altra fonte vincolante, cd. nominate, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore; viceversa, ove le misure di sicurezza debbano essere ricavate dall’art. 2087 c.c., cd. innominate, la prova liberatoria è generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l’assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione(Cass. n. 10319/2017).

Questa Corte ha altresì affermato che “sul datore di lavoro gravano sia il generale obbligo di “neminem laedere” espresso dall’art. 2043 c.c., (la cui violazione è fonte di responsabilità extracontrattuale), sia il più specifico obbligo di protezione dell’integrità psico-fisica del lavoratore sancito dall’art. 2087 c.c., ad integrazione “ex lege” delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro (la cui violazione determina l’insorgenza di una responsabilità contrattuale). Conseguentemente, il danno biologico – inteso come danno all’integrità psico-fisica della persona in sè considerata, a prescindere da ogni possibile rilevanza o conseguenza patrimoniale della lesione – può in astratto conseguire sia all’una che all’altra responsabilità. Qualora la responsabilità fatta valere sia quella contrattuale, dalla natura dell’illecito (consistente nel lamentato inadempimento dell’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore) non deriva affatto che si versi in fattispecie di responsabilità oggettiva (fondata sul mero riscontro del danno biologico quale evento legato con nesso di causalità all’espletamento della prestazione lavorativa), ma occorre pur sempre l’elemento della colpa ossia la violazione di una disposizione di legge o di un contratto o di una regola di esperienza. La necessità della colpa – che accomuna la responsabilità contrattuale a quella aquiliana – va poi coordinata con il particolare regime probatorio della responsabilità contrattuale che è quello previsto dall’art. 1218 c.c. (diverso da quello di cui all’art. 2043 c.c.), cosicchè grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver ottemperato all’obbligo di protezione, mentre il lavoratore deve provare sia la lesione all’integrità psico-fisica, sia il nesso di causalità tra tale evento dannoso e l’espletamento della prestazione lavorativa” (Cass. n. 4184/2006; conf. Cass. n. 23162/2007). Gli enunciati principi cristallizzato i reciproci obblighi delle parti attribuendo al lavoratore gli oneri probatori della lesione subita e del nesso di causalità ed al datore di lavoro l’onere di provare l’ottemperanza a tutte le misure utili a prevenire ed evitare l’evento e il danno (oneri di protezione).

La sentenza impugnata non risulta aver dato corretta applicazione alle regole così enucleate, allorchè ha basato la propria decisione sulla ineluttabilità di taluni rischi per la salute dei lavoratori insiti in specifici lavori con conseguente “necessaria accettazione del rischio alla salute” da parte del lavoratore, sulla esistenza di un bilanciamento di interessi in siffatte circostanze tale da far escludere la configurazione della responsabilità ex art. 2087 c.c., e sulla assenza di segnalazione da parte del lavoratore di comportamenti anomali del datore di lavoro tali da rendere lo stesso responsabile del danno subito.

Le circostanze valutate dal giudice d’appello risultano evidentemente estranee alla corretta individuazione dei reciproci obblighi probatori soprattutto in considerazione del pregresso accertamento di una patologia dipendente da causa di servizio che, se pur non collegata nella sua originaria determinazione a responsabilità datoriale, imponeva un conseguente e severo controllo sulle mansioni successivamente attribuite (ancor più se conservate) al lavoratore. L’obbligo di protezione incombente su datore di lavoro necessitava nel caso di specie di un controllo personalizzato del dipendente e della compatibilità delle mansioni assegnate, soprattutto se le stesse avevano già determinato un danno fisico accertato come conseguente da causa di servizio.

Tale ultima circostanza, se correttamente allegata in giudizio, risulta soddisfare gli oneri probatori incombenti sul lavoratore cui deve conseguire la eventuale prova liberatoria da parte datoriale.

Il motivo di censura risulta quindi fondato.

2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione delle norme di cui al D.P.R. n. 303 del 1956, art. 4,D.Lgs n. 626 del 1994, artt. 16 e 17 e art. 2087 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Con tale motivo il ricorrente lamenta la valutazione della Corte sulla osservanza degli obblighi di sorveglianza sanitaria e tutela della salute incombente su datore di lavoro, basata solo su documenti non idonei a rappresentare tali adempimenti. 3) Con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 303 del 1956, art. 4 e D.Lgs n. 626 del 1994, artt. 3,4 e 21 e art. 2087, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; Omesso esame di più punti e fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo denuncia per un verso la violazione degli obblighi in punto di tutele contenuti nelle norme richiamate e per altro verso la carenza motivazionale sul perchè non siano stati valutati tali obblighi incombenti sul datore di lavoro. Tra tali obblighi è richiamata una comunicazione sui rischi (D.P.R. n. 303 del 1956, art. 4; D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3).

Le censure possono essere congiuntamente esaminate perchè attinenti agli obblighi di sorveglianza sanitaria e quindi assorbiti da quanto detto in relazione al primo motivo di censura ritenuto fondato e quindi valutabili solo in conseguenza della corretta applicazione degli oneri probatori cui la corte territoriale è chiamata a dare seguito.

3) Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, polchè la corte territoriale non aveva dato contezza delle ragioni che l’avevano portata a ritenere generiche le richieste istruttorie ed in parte inammissibili.

Il motivo, se pur superi il vaglio di ammissibilità in quanto pur attenendo alla errata valutazione, non può trovare sponda sul versante dell’esame della motivazione e della sua denunciata carenza e contraddittorietà (Cass. SU n. 8053/2014), risulta comunque assorbito dall’accoglimento della prima censura.

Il ricorso deve quindi essere accolto con riguardo al primo motivo, ritenendo assorbiti gli altri, e cassata la sentenza con rinvio alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza in relazione al ricorso accolto e rinvia alla corte di appello di bari, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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