Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.27967 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7969/2015 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato PAOLO FIORILLI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ALITALIA LINEE AEREE ITALIANE S.P.A., in amministrazione straordinaria;

– intimata –

Avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 26/02/2015 R.G.N. 140/15.

RILEVATO

che:

1. con decreto n. 140/2015 depositato in data 26 febbraio 2015 il Tribunale di Roma (procedimento n. 38230/2012 R.G.), rigettava l’opposizione proposta da C.M. avverso lo stato passivo dell’Amministrazione Straordinaria di Alitalia – Linee Aeree Italiane S.p.A. in relazione al mancato computo ai fini del calcolo del t.f.r. delle voci “indennità estero”, “fringe benefit per alloggio” e “rimborso tasse”;

2. avverso tale pronuncia C.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;

3. la procedura concorsuale è rimasta intimata.

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 276 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., art. 96 L. Fall., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo una omessa pronuncia su una questione preliminare di diritto di carattere pregiudiziale sollevata con il ricorso in opposizione allo stato passivo;

rileva che il Tribunale non avrebbe dato alcuna risposta alle deduzioni dell’opponente relative alla carenza di motivazione del provvedimento del giudice delegato in punto di riduzione del credito insinuato dal C. a titolo di t.f.r. relativo all’attività lavorativa svolta nelle sedi estere di Alitalia e non avrebbe rilevato la nullità del provvedimento di ammissione parziale allo stato passivo per essere la relativa motivazione solo apparente in quanto nei chiarimenti forniti dal c.t.u. nominato in sede di verifica del passivo non vi sarebbe stato alcun riferimento ai criteri di identificazione del “paniere” costituente remunerazione del lavoro prestato dal ricorrente all’estero;

1.2. il motivo (che addebita al provvedimento impugnato il mancato rilievo di una nullità per carenza assoluta di motivazione del decreto opposto) presenta innanzitutto, un profilo di inammissibilità per non essere stato formulato come error in procedendo;

in ogni caso non sussistono le denunciate violazioni di legge;

nella specie, infatti, il Tribunale ha verificato la sussistenza del credito insinuato al passivo dall’opponente tenendo conto dei mezzi di prova di cui quest’ultimo aveva inteso avvalersi e della documentazione prodotta ed ha esaminato le contestazioni dell’opponente al provvedimento del giudice delegato, sintetizzate nel mancato computo ai fini del calcolo del t.f.r. delle voci “indennità estero”, “fringe benefit per alloggio” e “rimborso tasse”;

ha quindi ritenuto che l’opponente non avesse soddisfatto l’onere di provare la natura retributiva del trattamento economico aggiuntivo riconosciuto al lavoratore che presti la propria opera all’estero e che la continuità e la costanza di una elargizione non potessero di per sè considerarsi indici univoci di tale natura retributiva;

ha infine ritenuto che il c.t.u. nominato in sede di verifica dello stato passivo avesse esaustivamente e convincentemente argomentato in ordine alle ragioni che avevano portato ad escludere gli importi rivendicati dal C. (ancorchè, nel corso del giudizio di opposizione, il medesimo ausiliare avesse formulato un’ipotesi alternativa, frutto di una valutazione meramente tecnica, con un’integrazione del t.f.r. ed aggiuntiva, in parte, delle voci invocate dall’opponente) non rinvenendosi nella documentazione depositata in atti la dimostrazione che i maggiori esborsi cui l’opponente aveva fatto riferimento fossero estranei alla funzione di mero rimborso spese e considerando che degli stessi fosse da escludere la natura retributiva;

trattasi di ragionamento congruo e logico oltre che rispettoso della natura del giudizio di cui all’art. 96 L. Fall., che, come da questa Corte più volte affermato (v. Cass. 1 giugno 2016, n. 11392; Cass. 11 maggio 2016, n. 9617; Cass. 17 febbraio 2015, n. 3110; Cass. 6 novembre 2013, n. 24972), pur essendo riconducibile al genus dei rimedi impugnatori, intesi in senso lato, deve essere qualificato come giudizio di merito a cognizione piena, non equiparabile dunque al giudizio d’appello, con la conseguente inapplicabilità delle regole dettate in materia di impugnazione dagli artt. 323 c.p.c. e ss. e con l’onere per l’opponente di indicare specificamente nel ricorso i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti prodotti, ivi compresa la documentazione già prodotta nel corso della verifica del passivo;

il giudice dell’opposizione esamina, così, tutte le ragioni che possono condurre all’accoglimento o al rigetto della domanda sulla base di una verifica delle sue condizioni di fondatezza in base alle risultanze “rite et recte” acquisite al processo, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali;

nella specie il Tribunale, nell’instaurato ordinario giudizio di cognizione, svoltosi in contraddittorio con i commissari straordinari, ha correttamente proceduto al riesame degli elementi addotti dal creditore al fine della sua ammissione al passivo;

nè è riscontrabile alcun vizio di motivazione, stante il ridotto ambito di rilevanza di tale vizio a seguito delle modifiche apportate all’art. 360 c.p.c., n. 5, dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, limitato all’ipotesi che esso si converta, in realtà, in una vera e propria violazione di legge, vale a dire dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; ciò avviene soltanto in caso di mancanza grafica della motivazione, o di motivazione del tutto apparente, oppure di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di sua manifesta ed irriducibile contraddittorietà e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sè, restando esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053);

non è certo apparente la motivazione che, come nella specie, abbia richiamato in toto le considerazioni svolte dal nominato c.t.u.;

qualora, infatti, il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poichè l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche “per relationem” dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente;

ciò vale anche quando il giudice di merito aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi della parte, non essendo richiesto che egli si soffermi necessariamente anche sulle contrarie allegazioni che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili, senza che possa configurarsi alcun vizio di motivazione (Cass. 3 aprile 2007, n. 8355; Cass. 10 agosto 2007, n. 17606; Cass. 9 gennaio 2009, n. 282; Cass. 9 gennaio 2009, n. 282; Cass. 25 giugno 2014, n. 14471; Cass. 2 febbraio 2015, n. 1815);

per il resto il ricorrente si è limitato ad una mera disamina dei vari passaggi della relazione di chiarimenti del c.t.u. del 14 aprile 2010, corredata da notazioni critiche con ciò prospettando un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (v. Cass. 3 giugno 2016, n. 11482; Cass. n. 1815/2015 cit.; Cass. n. 14471/2014 cit.);

2.1. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1362,1365,1369 e 1371 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

lamenta che il Tribunale non avrebbe correttamente ricostruito la volontà contrattuale dei singoli contratti di lavoro intercorsi con Alitalia, significativa per la decisione sulle voci che concorrono alla quantificazione del t.f.r. estero e alla determinazione del “paniere” costituente la retribuzione dell’impiegato trasferito temporaneamente all’estero;

2.2. il motivo è inammissibile;

il ricorrente, infatti, denuncia una violazione dei canoni interpretativi in relazione a documenti che però per sua stessa affermazione non sarebbero stati presi in considerazione dal Tribunale;

nè d’altra parte sono enucleati i passaggi argomentativi della decisione impugnata dai quali si evincerebbe che il giudice dell’opposizione abbia mal governato alcuna delle direttive al riguardo;

3.1. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

lamenta che il Tribunale abbia ritenuto non soddisfatto dall’opponente l’onere di provare che le voci in relazione alle quali rivendicava l’inclusione nell’importo per la determinazione del t.f.r. avessero natura retributiva;

rileva che tale inclusione sarebbe stata dimostrata dalle stesse lettere di assunzione dimostrative della volontà in equivoca delle parti di considerare ai fini del t.f.r., come componenti il “paniere” della retribuzione anche le voci rivendicate in sede di insinuazione al passivo;

3.2. il motivo non è fondato;

va innanzitutto osservato che il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., senza, però, censurare l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova e dunque per avere attribuito l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata;

in conseguenza il rilievo si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 360 c.p.c., comma 1, perchè, nonostante il richiamo normativo in esso contenuto, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda (non consentita in sede di legittimità) affinchè si fornisca un diverso apprezzamento delle prove (Cass., S. U., 10 giugno 2016, n. 11892);

nella specie il giudizio del Tribunale è stato fondato sul complessivo esame degli atti che ha portato il Collegio ad escludere che dalla documentazione potesse evincersi che la corresponsione delle voci in contestazione fosse causalmente collegata con la prestazione lavorativa, rappresentando il corrispondente aspetto strutturale della retribuzione ed a ritenere che dalla stessa non fosse possibile rinvenire la dimostrazione che i maggiori esborsi in relazione ai quali era rivendicata l’inclusione nella base di calcolo del t.f.r. fossero estranei alla funzione di mero rimborso spese e dunque che l’opponente non avesse soddisfatto l’onere probatorio sullo stesso gravante;

4.1. con il quarto motivo il ricorrente lamenta ulteriore violazione delle norme sulla interpretazione dei contratti (artt. 1362,1363 e 1366 c.c.) e del principio sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3);

rileva che il Tribunale avrebbe del tutto obliterato il compito di interpretare le lettere di assunzione per determinare gli intendimenti delle parti contraenti in merito alla retribuzione in caso di trasferimento temporaneo all’estero e che il c.t.u. sarebbe incorso nell’errore di non prendere in considerazione voci quali voci “rimborso forfetario spese trasferta”, “fringe benefit per alloggio” e “rimborso tasse”;

4.2. il motivo presenta profili di inammissibilità per le stesse ragioni evidenziate al punto che precede sub 2.2;

in ogni caso va evidenziato quanto già affermato da questa Corte (v. Cass. 19 marzo 2014, n. 6332 e la più recente Cass. 27 marzo 2017, n. 7819), secondo cui l’onere della prova della natura retributiva degli emolumenti percepiti all’estero, quale fatto costitutivo della domanda di integrazione del t.f.r., incombe sul lavoratore;

nella specie, il Tribunale ha motivato il proprio convincimento facendo proprie le risultanze della consulenza tecnica disposta in causa, argomentando con giudizio in fatto – insindacabile in questa sede – l’esclusione della natura retributiva degli emolumenti in questione;

5. il ricorso deve essere, pertanto, rigettato;

6. nulla va disposto per le spese processuali non avendo la procedura concorsuale intimata svolto attività difensiva;

7. va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, considerato che, in base al tenore letterale della disposizione, l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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