Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.27970 del 31/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6770/2014 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SABOTINO 12, presso lo studio dell’avvocato DANIELE FABI, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMINE PULLANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A., società di cartolarizzazione dei crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, GIUSEPPE MATANO e EMANUELE DE ROSE, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 494/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 30/12/2013, R.G.N. 69/2011.

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Trieste, con sentenza n. 494/2013, ha respinto l’appello proposto da M.F. avverso la sentenza del Tribunale di Trieste con la quale erano state rigettate, in processi riuniti, le opposizioni alle due cartelle esattoriali, inerenti alla contribuzione per la Gestione Commercianti, da lui proposte;

la Corte territoriale riteneva che il M., iscritto alla gestione separata in relazione alla propria attività di amministratore della Nonsoloacqua s.r.l., avendo svolto anche concreta attività commerciale di approvvigionamento e raccolta ordini, nonchè di affidamento a vettori terzi delle consegne, avesse altresì esercitato attività commerciale, per la quale era dovuta l’iscrizione e la contribuzione pretesa;

la sentenza è stata impugnata dal M. con quattro motivi, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso I.N.P.S..

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. Cost. n. 1 del 1948, art. 1, anche per mancata promozione, su cui egli insiste ex novo, della questione di legittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 11, per contrasto con gli artt. 3,24,102 e 111 Cost., nonchè dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 6 CEDU;

il motivo va rigettato, in quanto oltre ciò che è stato già ritenuto da Cass., S.U., 8 agosto 2011, n. 17076 (secondo cui l’art. 12 cit., comma 11, è “norma effettivamente di interpretazione autentica, diretta a chiarire la portata della disposizione interpretata e, pertanto, non è, in quanto tale, lesiva del principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU – quanto al mutamento delle “regole del gioco” nel corso del processo – trattandosi di legittimo esercizio della funzione legislativa garantita dall’art. 70 Cost.)” da Corte Cost. 26 gennaio 2012, n. 15, (secondo cui la norma ha enucleato “una delle possibili opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo, peraltro già fatta propria da parte consistente della giurisprudenza di merito” sicchè “tale soluzione ha superato una situazione di oggettiva incertezza, contribuendo così a realizzare principi d’indubbio interesse generale e di rilievo costituzionale, quali sono la certezza del diritto e l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge”) e da Corte Cost. 1 marzo 2013, n. 32, vi è da rilevare, per quanto attiene al c.d. effetto sorpresa su cui fa ora leva il ricorrente, che esso non può essersi determinato nel caso di specie, in quanto, al momento delle notifiche delle cartella avvenute il 18.6 ed il 21.8 del 2010 già era entrata in vigore la norma di interpretazione autentica (risalente al D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11), la quale quindi non può dirsi abbia inopinatamente mutato il quadro giuridico successivamente alla proposizione dell’azione;

con il secondo e terzo motivo è invece affermata la violazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, per il mancato annullamento delle sanzioni civili nonostante la carenza dell’elemento soggettivo, alla luce dei contrasti interpretativi e dell’incertezza normativa, sollecitandosi, in subordine, la proposizione di questione di legittimità costituzionale della disciplina inerente tali sanzioni, in quanto tale da determinare disparità di trattamento (art. 3 Cost.) tra chi, come il ricorrente, si fosse trovato a subire l’esercizio della pretesa contributiva prima dell’entrata in vigore della norma interpretativa e chi fosse tenuto per debiti maturati successivamente, oltre che per contrasto sempre con l’art. 117 Cost., art. 6 CEDU ed art. 1 prot. add. CEDU, per illegittima interferenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia e lesione dell’integrità patrimoniale;

anche tali motivi sono infondati;

la normativa (L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 15, lett. a) prevede espressamente l’ipotesi delle oggettive incertezze interpretative, consentendo in tal caso di applicare le sanzioni in minor misura;

il ricorrente non invoca l’applicazione di tale disciplina, che richiama solo come indicazione del rilievo che il sistema attribuisce allo stato soggettivo riconnesso alle incertezze interpretative, ma pretende l’esenzione da ogni sanzione;

la previsione di un sistema di possibile riduzione delle sanzioni in ragione dell’esistenza di difficoltà interpretative manifesta come l’ordinamento non si disinteressi della posizione di chi sia obbligato dal punto di vista contributivo, coniugandola tuttavia con il fatto che comunque vi è ritardo nell’adempimento; tale sistema è palese espressione di discrezionalità legislativa il cui assetto, proprio per la necessità di bilanciare più esigenze, non sollecita dubbio alcuno sotto il profilo della ragionevolezza;

neppure può assecondarsi il rilievo, su cui il ricorrente fa leva onde sostenere la questione di legittimità dal medesimo prospettata, in ordine al diverso trattamento che potrebbe delinearsi tra coloro il cui obbligo maturi dopo l’intervento della legge interpretativa (sicchè l’assenza di dubbi ermeneutici consentirebbe un adempimento puntuale e quindi eviterebbe l’applicazione di sanzioni) o coloro il cui obbligo fosse maturato precedentemente (sicchè il ritardo, pur essendo maturato in presenza di dubbi interpretativi, determinerebbe il sorgere dell’obbligazione accessorie per le sanzioni);

è in effetti palese la diversità di situazioni di cui si postula la comparazione, in quanto solo nel primo caso vi è ritardo nell’adempimento che impone di considerare, sulla base di quanto appena sopra detto, anche l’interesse del creditore, senza contare che la possibilità di diverse interpretazioni non significa esclusione dell’obbligo, il cui rischio è in qualche misura accettato dal debitore che decida di resistere alla contraria pretesa dell’ente;

pertanto, considerato altresì come il verificarsi di diversità di trattamento è fisiologicamente insito nel sopravvenire di qualsiasi intervento normativo, nel caso di specie, la diversità delle situazioni considerate e l’assenza di aspetti di irragionevolezza nell’esercizio della discrezionalità legislativa, di cui si è detto, consentono di escludere la proposizione dell’incidente di costituzionalità;

il ricorrente infine ipotizza, sempre rispetto alle sanzioni, profili di legittimità, ex art. 117 Cost. rispetto all’art. 6 C.E.D.U. e art. 1 prot. Add. C.E.D.U.;

l’ipotesi è formulata del tutto genericamente, ma è comunque infondata, in quanto la possibilità di plurime interpretazioni è intrinseca al sistema normativo, specie ove le complessità siano notevoli, come è nel caso, che qui interessa, dell’interferenza tra diversi ambiti previdenziali, mentre d’altra parte le conseguenze insite nella scelta di non adeguarsi all’interpretazione propugnata dall’ente previdenziale sono valutabili ex ante, sicchè non può dirsi che la susseguente applicazione di sanzioni per il ritardo, proprio per la percepibilità del rischio, sia ragione di lesione per il diritto ad un processo equo di cui all’art. 6 C.E.D.U., nè che, trattandosi di effetti del proprio ritardo nell’adempimento, ricorrano fondate ragioni di riferimento alla violazione indebita del diritto di proprietà di cui all’art. 1 prot. add. C.E.D.U.;

in definitiva nessuno dei profili prospettati dal ricorrente supera la valutazione di non manifesta infondatezza cui soggiace, ai sensi della L. n. 87 del 1953, art. 23, comma 2, la proposizione delle questioni presso la Corte Costituzionale;

con il quarto motivo si sostiene la violazione degli artt. 88 e 92 c.p.c., per non esservi stata pronuncia di condanna, a carico della controparte, rispetto alla rifusione almeno in parte delle spese del giudizio, stante l’indebito frazionamento del credito;

il motivo, che attiene esclusivamente alla questione sulle spese di lite, è infondato, in quanto, a fronte dell’infondatezza della domanda giudiziale, non è mai consentita la condanna della parte vincitrice a rifondere le spese alla controparte (cfr. Cass. 31 marzo 2017, n. 8421; Cass. 19 giugno 2013, n. 15317);

d’altra parte l’ipotesi di condanna alle spese “indipendentemente dalla soccombenza”, di cui agli artt. 92 e 88 c.p.c., riguarda comportamenti sleali o scorretti tenuti “in giudizio” (così l’art. 88 cit.) e non le scelte, in sè anteriori al processo, inerenti alla modalità di relaizzazione di diritti reiteratamente maturati nel corso del tempo;

del resto anche la valutazione sull’eventuale compensazione delle predette spese appartiene alla discrezionalità del giudice del merito e la definizione secondo soccombenza non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità (Cass. 28 novembre 2003, n. 17692);

al rigetto del ricorso segue la condanna del M. alla rifusione alla controparte anche delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472