LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10597/2017 proposto da:
SICIM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato BRUNO BELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO GIOVATI, giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI SAVORELLI 11, presso lo studio dell’avvocato ANNA CHIOZZA, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO TOSADORI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 247/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 27/02/2017 R.G.N. 460/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/09/2018 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione;
udito l’avvocato ANTONIO GIOVATI;
udito l’avvocato MAURIZIO TOSADORI.
FATTI DI CAUSA
1. Sul ricorso proposto da F.L. avverso il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli il ***** dalla società SICIM p. a., il Tribunale di Parma aveva ritenuto che il ricorrente avesse tempestivamente impugnato il recesso il 5.3.2014 e che il licenziamento non potesse ritenersi inesistente per mancanza di forma scritta per avere i testimoni A. ed E. confermato la consegna della lettera contenente il licenziamento al ricorrente. Aveva poi accertato l’illegittimità del recesso per mancata osservanza della procedura prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 7 e condannato la società al pagamento di un indennità commisurata a nove mensilità dell’ultima retribuzione di fatto. Tale ordinanza era confermata in sede di opposizione ed il provvedimento era reclamato da entrambe le parti.
2. Con sentenza del 27.2.2017, la Corte di appello di Bologna, in accoglimento del reclamo del F., dichiarava la inefficacia del licenziamento del ***** conseguente alla nullità per difetto di forma prescritta ad substantiam, ritenendo inammissibile la prova per testi, che poteva rilevare solo ai fini della dimostrazione della consegna della lettera di licenziamento e del rifiuto opposto dal lavoratore alla relativa ricezione. Aggiungeva, quale ulteriore ragione indicativa del mancato perfezionamento del licenziamento, che la lettera era stata consegnata fuori del luogo e dell’orario di lavoro (check point della sicurezza presso l’aeroporto di *****), con la conseguenza che, quale atto recettizio, il licenziamento non era idoneo a produrre i suoi effetti. Rilevava, quanto alla nuova comunicazione di recesso del *****, che, se pure il licenziamento orale poteva essere legittimamente rinnovato, nel caso in esame non era ravvisabile una rinnovazione atteso che, come emergente dal tenore letterale della comunicazione, la società si era limitata a confermare il venir meno del rapporto contrattuale tra le parti in forza dell’originaria lettera di licenziamento, integrando in tal modo la fattispecie vietata di convalida di un atto nullo di cui all’art. 1423 c.c..
3. Veniva ritenuta ultroneo l’esame del reclamo della società.
4. Di tale decisione ha domandato la cassazione la società SICIM, affidando l’impugnazione a cinque motivi, cui ha resistito, con controricorso, il F..
5. La causa è stata esaminata dalla sesta sezione che, con ordinanza interlocutoria del 4.5.2018, l’ha rimessa alla pubblica udienza.
6. Il F. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la Sicim s.p.a. denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 2725,2712 e 1324 c.c., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo e violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, sul rilievo che l’applicazione della regola sancita dall’art. 2725 c.c., in ordine all’impossibilità di prova per testi dell’esistenza di un contratto per il quale è prevista a pena di nullità la forma scritta, doveva essere valutata in termini di compatibilità in relazione all’ipotesi di atto unilaterale recettizio, posto che il datore di lavoro dispone, di norma, soltanto della copia dell’atto indirizzato al lavoratore con attestazione della trasmissione dell’atto stesso al lavoratore medesimo e non di copia recante una ricezione certificata, sicchè viene sollecitata una valutazione costituzionalmente orientata che coniughi il principio della forma scritta del licenziamento con l’esigenza di evitare un abuso delle garanzie con l’effetto di restringere di fatto, oltre le soglie di legge, la possibilità di recedere efficacemente dal rapporto di lavoro, in presenza delle ragioni che lo consentano. In particolare, la ricorrente sottolinea come nella specie la esistenza del documento trovava ulteriore conferma in elementi esterni, quali il fatto che il lavoratore avesse impugnato per iscritto il licenziamento e che il datore aveva confermato il licenziamento con successivo atto scritto.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta omesso esame e violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e dell’art. 1423 c.c., con riferimento alla versione fornita dallo stesso F. secondo cui nessun licenziamento gli era stato comunicato in data *****, ed andava invece conferito rilievo alla consegna del cedolino paga del *****, equipollente della lettera di licenziamento anche se priva di motivazione contestuale, oppure al licenziamento scritto del *****, che non era stato impugnato.
3. Con il terzo motivo, la società ascrive alla decisione impugnata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1423 c.c., in tema di inammissibilità della convalida del contratto nullo, dei principi generali in tema di recupero dell’atto nullo e dell’art. 1324 c.c., in relazione alla ritenuta possibilità di individuare la fonte del recupero e della conservazione dell’atto inizialmente viziato non nella volontà negoziale degli autori, ma nell’oggettiva integrazione della fattispecie normativa, utile a renderla conforme al paradigma astratto.
4. Con il quarto motivo sono dedotte: violazione e/o falsa applicazione delle regole e dei principi in tema di rinnovazione dell’atto nullo, di conversione formale e di conservazione del medesimo, violazione e/o falsa applicazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362,1363,1366 e 1367 c.c., violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e della L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, e della L. n. 92 del 2012 art. 1,evidenziandosi quanto già rilevato sub 2) in relazione alla necessità di ritenere non esistente, secondo la tesi dello stesso F., il licenziamento del *****, sostenendosi che, in ogni caso, l’atto con il quale la società ebbe a ripetere il licenziamento e la sua trasmissione conteneva senz’altro una manifestazione di volontà di recesso che era ancora attuale nel giugno 2014 e che, in quanto tale, offriva il supporto negoziale per considerare l’atto stesso come rinnovazione del precedente. Ciò in forza della regola ermeneutica della interpretazione letterale, o secondo buona fede, o della regola della conservazione dell’atto, o utilizzando lo strumento, gestibile anche ex officio, della conversione formale o sostanziale dell’atto medesimo.
5. Omesso esame e violazione e/o falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, sono evidenziati nel quinto motivo, ove si insiste sulla necessità, in caso di accoglimento del ricorso di essa società, di valutare la sussistenza del motivo oggettivo (vero ed idoneo) addotto, alla luce delle prove e delle circostanze richiamate a fondamento del recesso.
6. Il primo motivo è inammissibile in applicazione del principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui, “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza” (cfr. Cass., tra le altre, Cass. 27.7.2017 n. 18641, Cass. 3.11.2011 n. 22753, Cass. 11.2.2011 n. 3386). Nella specie la decisione per la parte in cui si afferma la inefficacia del licenziamento risulta essere sorretta, oltre che dal rilievo della nullità del licenziamento intimato oralmente, dall’essere stata la consegna dell’atto (privo comunque di data certa e quindi difforme rispetto al modello legale quanto alla prescritta forma ad substantiam: pag. 13 della sentenza di appello) effettuata comunque fuori del luogo e dell’orario di lavoro, con conseguente mancato perfezionamento del licenziamento in ragione della non conformità delle modalità seguite a quelle previste per la produzione degli effetti dell’atto recettizio.
7.La L. n. 604 del 1996, art. 2, comma 1, sancisce, infatti, l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare per iscritto il licenziamento a pena di inefficacia del recesso, che, in quanto negozio unilaterale recettizio a forma vincolata, soggiace alla disciplina dettata dagli artt. 1334 e 1335 c.c. e si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione di volontà del recedente giunge a conoscenza del destinatario, acquistando così l’idoneità alla produzione dell’effetto voluto. E’ da condividere il richiamo effettuato dalla Corte del merito ai principi affermati da Cass. 3.6.2015 n. 11479, secondo cui anche per il licenziamento “non è ammissibile la prova per testi, salvo che il relativo documento sia andato perduto senza colpa, nè tale divieto può essere superato con l’esercizio officioso dei poteri istruttori da parte del giudice, che può intervenire solo sui limiti fissati alla prova testimoniale dagli artt. 2721,2722 e 2723 c.c. e non sui requisiti di forma richiesti per l’atto” e pertanto devono essere confutate in radice le osservazioni svolte con riferimento alla necessità di valutare i principi generali in materia di forma vincolata con riguardo alla peculiarità dell’atto unilaterale quanto alla prova del documento inviato all’altra parte. Ciò in quanto una cosa è la forma dell’atto contenente la manifestazione di voler recedere dal rapporto (che può essere solo scritta), altro è il mezzo della concreta trasmissione dell’atto medesimo (mediante corriere, servizio postale, consegna a mano etc.).
8. il secondo motivo è anch’esso inammissibile, in quanto prospetta una nuova versione dei fatti (non si riproduce neanche il cedolino paga del ***** e non si deposita il documento con la sottoscrizione di ricezione del lavoratore, nè se ne indica, alternativamente, la sede di relativo rinvenimento nella documentazione allegata nei gradi di merito) e perchè connotato, oltre che dal carattere di novità, anche dall’inconferenza rispetto alle doglianze della società contenute nel reclamo, limitate alla sola deduzione della erroneità dell’asserito obbligo di osservanza della procedura di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 7, affermato dal giudice di primo grado.
9. Il terzo ed il quarto motivo vanno trattati congiuntamente per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto.
10. Secondo i principi reiteratamente affermati da questa Corte “E’ consentita la rinnovazione del licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma in base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso, anche se la questione della validità del primo licenziamento sia ancora “sub iudice”, purchè siano adottate le modalità prescritte, omesse nella precedente intimazione. Tale rinnovazione, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo schema dell’art. 1423 c.c., norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti “ex tunc” e non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale” (cfr. Cass. 19.3.2013 n 6773 e, più recentemente, per l’affermazione del principio su riportato, Cass. 14.5.2018 n. 11641, con richiamo a Cass. 27.6.1998 n. 6396 e Cass. 2.3.2004 n. 4276, nonchè Cass. 19.7.2018 n. 19231 sulla rinnovazione di dimissioni nulle per difetto di forma scritta ad substantiam prevista dalla contrattazione collettiva applicabile, Cass. 7.2.2017 n. 3187 con riguardo anche alla tutela dovuta per il periodo compreso tra i due licenziamenti).
In particolare, con riferimento ad un’ipotesi assimilabile, in cui la rinnovazione del licenziamento faceva riferimento alla data del primo licenziamento nullo quale data di cessazione del rapporto, Cass. 24.11.2017 n. 28120 ha confermato la pronuncia impugnata, che aveva ritenuto prevalente la manifestazione di volontà di risolvere il rapporto di lavoro manifestata ritualmente in forma scritta, rispetto al riferimento contenuto alla lettera di intimazione precedente ed al termine di cessazione ivi contenuto, applicando al secondo recesso la decorrenza che ad esso doveva ex lege conseguire, ovvero dalla data di ricezione della lettera stessa da parte del lavoratore (cfr. ulteriormente Cass. 14.6.2018 n. 15639, che richiama Cass. 5226/2001, 23641/2006, 6773/2013, 3187/2017 e 986/2017, tutte affermative del principio su riportato, con la precisazione che, “ove si pretendesse di conferire al licenziamento efficacia retroattiva, si finirebbe per violare il divieto sancito dal richiamato art. 1423 c.c., che consente la convalida del negozio nullo sono nei casi espressamente previsti dalla legge”).
11. La univocità dei principi richiamati, che tendono a configurare la rinnovazione del licenziamento quale negozio diverso dal precedente affetto da nullità, consente di valutare l’ulteriore profilo della corretta applicazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362,1363,1366 e 1367 c.c., invocati dalla ricorrente. Al riguardo va considerato che tali norme si applicano anche ai negozi unilaterali quale quello oggetto del presente esame nei limiti della compatibilità dei criteri stabiliti dagli artt. 1362 c.c. e ss. con la particolare natura e struttura della predetta categoria di negozi, per cui, ad esempio, nei negozi unilaterali non può aversi riguardo alla comune intenzione delle parti, ma si deve indagare soltanto quale sia stato l’intento proprio dei soggetto che ha posto in essere il negozio, senza poter far ricorso, per determinarlo, alla valutazione del comportamento dei destinatari del negozio stesso. Parimenti resta ferma l’applicabilità, atteso il rinvio operato dall’art. 1324 c.c., del criterio dell’interpretazione complessiva dell’atto (cfr. Cass. 25608/13).
12. Posto che la Corte di appello non ha escluso in radice la possibilità di rinnovazione di atto nullo, non è stato idoneamente valorizzato il criterio della conservazione del negozio, previsto dall’art. 1367 c.c., in relazione alla possibilità di due distinte interpretazioni, delle quali una porterebbe, qualora venisse accolta, a negare qualsiasi effetto all’atto posto in essere in sede di rinnovazione del recesso, in una prospettiva tesa a svalutare l’elemento volontaristico rispetto alla affermata necessità di conferire prevalenza alla volontà di risolvere il rapporto di lavoro manifestata ritualmente in forma scritta, rispetto al riferimento contenuto alla lettera di intimazione precedente ed al termine di cessazione ivi contenuto. Di tale principio – che induce ad una interpretazione della volontà negoziale nel senso che sia più favorevole alla validità del contratto piuttosto che in quello che conduca alla sua invalidità – è stata individuata la conseguenza, che ne rappresenta il corollario, nell’applicazione al secondo recesso della decorrenza che ad esso deve ex lege conseguire, ovvero quella della data di ricezione della lettera stessa da parte del lavoratore (cfr. Cass. 28120/2017 cit.) 13. Nella stessa ottica è stata scrutinata l’ipotesi di inosservanza del periodo di comporto in caso di licenziamento intimato per superamento dello stesso, ma anteriormente alla scadenza di questo, affermandosi la nullità dell’ atto di per violazione della norma imperativa, di cui all’art. 2110 c.c. (e non già la temporanea inefficacia con differimento degli effetti al momento della maturazione del periodo stesso), ma ammettendosene la rinnovazione, nella misura in cui la stessa, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esulasse dallo schema di cui all’art. 1423 c.c.(Cass. 18.11.2014 n. 24525, il cui orientamento sulla prima questione è stato avallato da Cass., s.u., 12569/2018). E’ ben vero che nella ipotesi da ultima richiamata la rinnovazione si fondava sulla comunicazione di un ulteriore periodo di comporto che consentiva il superamento del periodo previsto, ma la pronuncia ha richiamato utilmente il principio generale, affermato in tema di negozio nullo per difetto di forma, in forza del quale è consentita la rinnovazione del licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma, purchè siano adottate le modalità prescritte, omesse nella precedente intimazione, in base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso.
14. Il criterio ermeneutico suddetto non è stato valutato dalla Corte di appello di Bologna, che pure in astratto ha ipotizzato la possibilità di una rinnovazione di atto nullo, e pertanto la sentenza, in accoglimento dei motivi scrutinati congiuntamente, va cassata in parte qua, non ritenendo questo Collegio che possa invece ritenersi praticabile una ricostruzione che rimandi ai principi ricavabili dall’istituto della conversione del contratto nullo (art. 1424 c.c.), posto che i presupposti di tale istituto non potrebbero individuarsi in relazione ad una fattispecie in cui il negozio nullo non si pone in rapporto di continenza con quello che dovrebbe sostituirlo, non possedendone all’evidenza i requisiti di forma.
15. La causa va pertanto rinviata alla Corte designata in dispositivo che provvederà anche alle spese del presente giudizio – per un nuovo esame conforme ai principi richiamati.
16. E’ palese che la decisione nei sensi indicati comporti l’assorbimento del quinto motivo.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità dei primi due motivi, accoglie il terzo e quarto motivo, cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018
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