Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.27973 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29017/2016 proposto da:

G.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO HERNANDEZ, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ALVARO;

– ricorrente –

contro

GROUPALIA S.R.L.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1247/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/10/2016 R.G.N. 866/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine rigetto;

udito l’Avvocato FRANCESCO ALVARO.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1247/2016 la Corte d’appello di Milano, in accoglimento del reclamo di Gruoupalia s.r.l. e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di G.P. intesa all’accertamento della illegittimità del licenziamento intimato all’esito di procedura di riduzione di personale avviata ai sensi della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4 ed ha condannato la dipendente alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado.

1.1. Il giudice di appello, esclusa la natura discriminatoria del recesso datoriale sul rilievo che in relazione alla mancata attribuzione del punteggio aggiuntivo di 1,25 risultava ininfluente il periodo di assenza per maternità fruito dalla G., atteso che la suddetta, in ragione della sua storia professionale, non aveva comunque acquisito le competenze tecniche richieste per soddisfare il criterio delle esigenze tecnico produttive (competenze individuate nello svolgimento continuato nel tempo di attività di promozione commerciale e/o marketing e comunicazione per un periodo non inferiore a due anni nel settore internet ed in particolare nel couponing), rilevato che era da escludere la fungibilità con posizioni lavorative di aree diverse da quella di appartenenza della lavoratrice, ha ritenuto insussistente il vizio procedurale che il giudice di prime cure aveva posto a fondamento della illegittimità del licenziamento. Ha, infatti, osservato che la comunicazione L. n. 223 del 1991 cit., ex art. 4, comma 3, non richiedeva anche la indicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori, indicazione riservata alla comunicazione di cui alla L. cit., comma 9, art. 4, la quale, sotto questo profilo, risultava conforme al modello legale.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.P. sulla base di tre motivi; la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo parte ricorrente deduce: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in combinato con l’art. 115 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. – violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6; omessa valutazione e/o omesso esame circa un fatto decisivo per la definizione del giudizio; omessa o insufficiente motivazione in merito ad un punto decisivo della controversia. Censura, in sintesi, la decisione di secondo grado per avere affermato, pur in assenza di espletamenti istruttorii e di comparazione fra le mansioni svolte dalla dipendente e quelle che avrebbero consentito l’attribuzione del punteggio in contestazione, che la G. non aveva acquisito la specifica pregressa esperienza professionale ai fini dell’attribuzione dell’ulteriore punteggio pari a 1,25; evidenzia che nel ricorso di primo grado era stata dedotta la omogeneità delle mansioni espletate dalla G. con quelle svolte da tutti gli addetti al medesimo ufficio ovvero all’Area Sales e Marketing e che controparte solo genericamente aveva contestato tale assunto omettendo, pur essendovi onerata, di articolare istanze istruttorie a riguardo così come non aveva chiesto di provare la allegata circostanza del riconoscimento del punteggio in questione ad altri dipendenti che, come la G., avevano fruito di congedi parentali.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, artt. 27 e 29, della L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 3, della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 15 e del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 3. Premessa la mancata contestazione da parte della società in punto di inerenza delle mansioni svolte con quelle astrattamente idonee ad attribuire il punteggio connesso con la professionalità acquisita, censura la sentenza impugnata per avere escluso il motivo discriminatorio determinante del recesso datoriale che asseriva costituito dalla avvenuta fruizione di periodi di congedo per maternità e di congedo parentale.

3. Con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c.. Censura, in sintesi, la sentenza impugnata per avere escluso la contrarietà a buona fede della condotta della società in relazione alla circostanza per cui, cessato il periodo di CIGS, alla G. era stato impedito di riprendere servizio per evitare che la stessa potesse maturare i requisiti professionali idonei a consentire l’attribuzione del punteggio che ne avrebbe evitato il licenziamento.

4. Il primo motivo è infondato. La sentenza impugnata ha ritenuto che la descrizione delle mansioni espletate dalla G. contenuta nel ricorso introduttivo, di per sè sola, escludeva nella lavoratrice il possesso delle competenze professionali richieste al fine dell’attribuzione del punteggio ulteriore pari a 1,25. Tale accertamento, espressione di valutazione nel merito del contenuto delle allegazioni attoree, non è inficiato dalle censure svolte con il motivo in esame non essendo specificamente prospettato rispetto ad esso alcun vizio di motivazione sotto il profilo della assoluta incongruità e illogicità del ragionamento del giudice di merito e sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, come prescritto dal testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (cfr. Cass. Sez. Un. 7/4/2014 n. 8053), applicabile ratione temporis.

4.1. Alla luce del definitivo accertamento della inadeguatezza del compendio allegatorio di primo grado a sorreggere, già in astratto, l’assunto dello svolgimento di attività che avrebbero giustificato l’attribuzione del maggiore punteggio, risultano ininfluenti sia la deduzione, peraltro non sorretta, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (v. tra le altre, Cass. 12/12/2014 n. 26174), dalla trascrizione o riassunto del brano della memoria di costituzione di primo grado destinato a dare contezza dell’asserita genericità di contestazione da parte della società, sia la deduzione, attinente alla mancata offerta di prova da parte della società, risultando l’assolvimento di tale onere del tutto superfluo.

5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Il giudice del reclamo ha osservato che nel caso di specie non veniva in discussione la questione della mera anzianità di servizio e della progressione in carriera legata all’anzianità di servizio quanto la verifica del possesso da parte della G. delle competenze tecniche per soddisfare il criterio delle esigenze tecnico produttive e potere ottenere il punteggio aggiuntivo di 1,25. Ha ritenuto, quindi, irrilevante il fatto che la G. fosse stata assente per maternità posto che, secondo quanto risultante dal ricorso di primo grado, essa operava in un’altra area e non aveva le competenze richieste legate allo svolgimento continuato nel tempo di attività di promozione commerciale e/o marketing e comunicazione per un periodo non inferiore a due anni nel settore internet ed in particolare nel couponing, nè avrebbe potuto acquisire tali competenze se nel periodo corrispondente al congedo per maternità avesse continuato a lavorare. Sulla base di tali considerazioni la sentenza impugnata ha escluso il motivo discriminatorio alla base del recesso.

5.1. Le censure della parte ricorrente non si confrontano specificamente con le ragioni alla base del decisum di secondo grado in quanto muovono dal presupposto, da ritenersi insussistente alla luce di quanto osservato in relazione al primo motivo di ricorso, della coincidenza tra le mansioni espletate dalla G. e quelle astrattamente idonee ad attribuirle il punteggio connesso con la professionalità acquisita, laddove la accertata inidoneità delle prime a integrare il prescritto requisito di professionalità esclude in radice rilievo al dedotto profilo di illiceità del recesso per l’esistenza di un motivo discriminatorio determinante.

6. Il terzo motivo è inammissibile in quanto non sorretto, in violazione della previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, dalla esposizione sommaria della vicenda processuale, destinata, attraverso la chiara ed esaustiva ricognizione dei fatti di causa, a consentire la verifica delle censure articolate sulla base del solo ricorso per cassazione, come prescritto (Cass. 31/07/2017 n. 19018; Cass. 02/08/2016 n. 6103; Cass. 03/02/2015 n. 1926).

6.1. La questione della contrarietà a buona fede della condotta datoriale, quale profilo autonomo rispetto a quello attinente al motivo illecito discriminatorio, consistita nell’avere posto in ferie la lavoratrice all’atto della cessazione della CIGS, onde impedirle l’acquisizione delle competenze necessarie all’attribuzione del punteggio aggiuntivo, non è stata espressamente affrontata dal giudice di appello. Trattandosi di questione implicante accertamento di fatto occorreva che parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegasse l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indicasse in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. (v. tra le altre, Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540). Parte ricorrente non ha osservato tali prescrizioni in quanto si è si è limitata ad un generico richiamo ai propri atti difensivi intrinsecamente inidoneo a dare contezza della effettiva e rituale deduzione della questione nel giudizio di merito.

7. Non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intinata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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