Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza Interlocutoria n.27977 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso n. 6932/15, proposto da:

Banco Popolare, s.c.p.a., in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic. in Roma presso gli avv.ti Marco e Giuseppe Mattei che la rappres. e difendono, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela del fallimento della ***** s.r.l., in persona del curatore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, presso l’avvocato Antonio Di Julio che la rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 84/2015 emesso dal Tribunale di Roma, depositato il 4/2/2015;

udita la relazione del consigliere, dott. Rosario Caiazzo, nella camera di consiglio del 13 giugno 2018.

RILEVATO

che:

Il giudice delegato del fallimento della ***** s.r.l. ammise al passivo il credito del Banco Popolare, società consortile p.a., escludendo la prelazione relativa ai titoli costitutivi del pegno per mancanza di data certa. La Banca ha proposto opposizione, argomentando che dai timbri postali apposti sulla busta sigillata contenente la lettera da essa inviata al debitore il ***** e su quella pervenuta alla banca dalla società debitrice il ***** si desumeva la data certa della costituzione dei pegni, anteriore al fallimento. Si costituì la curatela.

Il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione, rilevando che: la lettera inviata dalla banca non era specifica, a norma dell’art. 2787 c.c., comma 3, perchè conteneva un riferimento generico all’esistenza dei titoli costituiti in garanzia delle obbligazioni assunte nei confronti dell’istituto; la lettera inviata alla banca era indeterminata e non recava alcun timbro postale, nè altri elementi idonei a conferire certezza alla data della sua spedizione o ricevimento; era fondata l’eccezione della curatela in ordine all’inammissibilità dei documenti prodotti dall’opponente alla prima udienza di comparizione, poichè la produzione era avvenuta in violazione dell’art. 99 L. Fall. , comma 2, n. 4.

Il Banco Popolare p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Si è costituita la curatela con controricorso.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo è stata denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2787 c.c., commi 3 e 4, artt. 2704 e 2714 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamentando che il Tribunale non aveva correttamente considerato il contenuto: della lettera spedita dalla banca alla debitrice con busta del *****, con cui fu comunicato il recesso dal conto corrente, che conteneva il riferimento all’atto di pegno sottoscritto a garanzia delle obbligazioni assunte verso la stessa banca, con preannuncio della vendita dei titoli che ne erano oggetto; della lettera inviata alla banca dalla società debitrice il ***** in cui fu fatto riferimento alla obbligazione della banca “controgarantita” da titoli per un importo di Euro 275.000,00.

Con il secondo motivo è stata denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 99 L. Fall., n. 4 e art. 2704 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in quanto il Tribunale non aveva tenuto conto che al ricorso erano state allegate le copie dei titoli costitutivi del pegno, mentre alla prima udienza era stato prodotto l’originale.

Circa il primo motivo, il Tribunale ha rigettato l’impugnazione perchè non era stata data la prova del pegno mediante atti aventi data certa, ai sensi dell’art. 2704 c.c. (atto pubblico, scrittura privata autenticata ecc.), anteriore alla data del fallimento. Infatti, la banca creditrice aveva prodotto la lettera con cui fu intimato alla società debitrice la chiusura degli affidamenti e il rientro, contenente, sì, il riferimento al pegno, ma senza indicazione specifica dell’oggetto dello stesso, nonchè una lettera con cui la cliente chiedeva una dilazione, che però era priva di data certa e non conteneva l’indicazione dell’oggetto del pegno. Inoltre, il giudice di primo grado ha ritenuto inammissibile la produzione in udienza, da parte della opponente, di nuovi documenti (gli originali delle scritture di pegno, già prodotte in copia in sede di verifica, recanti il timbro postale di spedizione).

L’opponente si duole della mancata applicazione dell’art. 2787 c.c., comma 4, che, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. 1333/1976; n. 2617/1971) consente alle banche di provare con qualsiasi mezzo la data del pegno, mentre il Tribunale ha fatto illegittimamente riferimento ai rigidi criteri di cui all’art. 2704 c.c..

Risalendo l’indicata giurisprudenza di legittimità ad epoca piuttosto remota, torna opportuno verificarne l’attualità all’esito della pubblica udienza.

P.Q.M.

La Corte rimette la causa alla pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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