Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27982 del 31/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20802/2017 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.E., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 10/B, presso lo studio dell’avvocato ANNAMARIA DE NICOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI MALDARIZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 248/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 06/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 19/07/2018 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

RILEVATO

che, con sentenza del 6 settembre 2016, la Corte di Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, confermava la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra M.E. e Poste Italiane s.p.a. e relativo al periodo dal ***** e, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti, condannato la società a riammettere il servizio il lavoratore; la riformava nella parte relativa alle conseguenze economiche della dichiarata nullità del termine condannando Poste Italiane al pagamento in favore del lavoratore dell’indennità di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, determinata in dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

che il termine era stato apposto per “esigenze di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’Area Operativa ed addetto al servizio di recapito presso la Filiale di ***** assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro nel periodo..”;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso Poste Italiane affidato a tre motivi cui resiste il M. con controricorso; che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che Poste Italiane s.p.a. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si deduce violazione a falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, nonchè omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti e nullità del procedimento (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn.3, 4 e 5) per avere il giudice del gravame, con motivazione apparente ed insufficiente, confermato la decisione del primo giudice di rigetto dell’eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo tacito consenso sollevata da Poste Italiane; con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè art. 1362 c.c.(ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) ed omesso, insufficiente e contraddittorio esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto generica la clausola appositiva del termine tale da non consentire la verifica della legittimità della apposizione del termine e che, come rilevato dal primo giudice, la società non avesse provato la ricorrenza in concreto, ovvero con riferimento all’ufficio di destinazione del M. (*****), delle esigenze sostitutive richiamate in contratto valutando non idonea la documentazione prodotta a tale scopo e la prova testimoniale articolata; con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) avendo il giudice del gravame, nel determinare l’ammontare dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, fatto riferimento unicamente alle dimensioni aziendali omettendo di considerare anche gli altri criteri indicati nel menzionato L. n. 604 del 1966, art. 8 e, peraltro, senza, tenere conto degli Accordi sindacali volti alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro ed alla costituzione di una graduatoria cui attingere in caso di necessità;

che il primo motivo è inammissibile in quanto la Corte di appello, senza incorrere nelle denunciate violazioni di legge e con valutazione dei fatti a lei riservata, ha ritenuto che il lasso di tempo trascorso, unitamente agli altri elementi considerati, non fosse indicativo della volontà di risolvere il rapporto di lavoro e ciò sulla premessa corretta che era onere del datore di lavoro provare che con un comportamento concludente la parte avesse inteso risolvere il rapporto di lavoro (cfr. Cass. 04/08/2011 n. 16932 e successivamente Cass. 10/04/2017 n. 10027); ed infatti, come affermato dalle sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. s.u. 27 ottobre 2016 n. 21691), in continuità con altre più risalenti pronunce, la valutazione della durata rilevante del comportamento omissivo del lavoratore nell’impugnare la clausola che fissa il termine nonchè di altri elementi convergenti nel senso della individuazione di una volontà di estinguere il rapporto di lavoro è un giudizio che attiene al “merito della controversia” e che, se immune da vizi logici e giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità. Invero il motivo, nonostante il richiamo contenuto nelle rispettive intestazione a violazione di legge, finisce con il sollecitare una nuova valutazione del merito della controversia non ammissibile in questa sede (cfr., e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003); che il secondo motivo è inammissibile:

– nella parte in cui rileva la erroneità dell’affermazione della Corte territoriale circa la genericità della causale alla luce del principio secondo cui nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano con la conseguenza che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (Cass. Sez. U, n. 16602 del 08/08/2005; successive conformi, ex multis: Cass. n. 21431 del 12/10/2007; Cass. Sez. U, n. 10374 del 08/05/2007); ed infatti, nel caso in esame, la nullità della apposizione del termine al contratto de quo è stata fondata anche sulla mancata prova da parte di Poste Italiane in ordine alla ricorrenza in concreto, con riferimento all’ufficio di destinazione del M., delle ragioni che avevano motivato l’assunzione a tempo determinato e tale seconda “ratio decidendi”, per quanto appresso si dirà, non risulta incisa dai motivi di ricorso e, dunque, vale da sola a sorreggere la impugnata sentenza;

– laddove censura la predetta seconda ratio decidendi risolvendosi il motivo nella denuncia di un vizio di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti e sollecita una rivisitazione del merito non consentita in questa sede (cfr., e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003);

che del pari inammissibile è il terzo motivo per un duplice ordine di ragioni:

– in primo luogo avuto riguardo a quanto più volte statuito da questa Corte in tema di indennità di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 (cfr. Cass. 5 gennaio 2001 n. 107; Cass. 15 maggio 2006 n. 11 107; Cass. 14 giugno 2006 n. 13732; da ultimo, con riferimento all’art. 32 comma 5, per tutte, vedi Cass. n. 8747/2014) secondo cui la determinazione tra il minimo e il massimo della misura dell’indennità de qua spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria, vizio questo che, nel caso in esame, non ricorre avendo la Corte territoriale tenuto conto, come si evince dalla motivazione, di almeno uno dei criteri stabiliti nella L. n. 604 del 1966, art. 8 (quali le dimensioni aziendali) ed ha concluso nel senso che ha ritenuto congruo determinare l’indennità onnicomprensiva in dodici mensilità avendo anche escluso la possibilità di applicare gli Accordi collettivi richiamati della L. n. 183 del 2010, citato art. 32, comma 6;

– nella parte in cui lamenta che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto degli “accordi sindacali di stabilizzazione” in quanto non viene precisato, neppure in forma sintetica, il contenuto di tali accordi sì da consentire la verifica della concreta possibilità per il ricorrente di potervi aderire (cfr. Cass. 11.2.2014 n. 3027, vedi anche più di recente: Cass. n. 30617 del 20 dicembre 2017);

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso, condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472