LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20911/2017 proposto da:
I.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CIPRO 77, presso lo studio dell’avvocato GERARDO RUSSILLO, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO D’AURIA;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso la sede dell’AREA LEGALE TERRITORIALE dell’Istituto medesimo, rappresentata e difesa dagli avvocati ROBERTA AIAZZI, FORTUNATA GIRINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1793/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/07/2018 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.
RILEVATO
che:
con sentenza del 30 marzo 2017, la Corte di Appello di Roma confermava la decisione del primo giudice che aveva rigettato la domanda di declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra I.A. e Poste Italiane s.p.a. e relativo al periodo dal ***** ed all’accertamento della sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato con condanna della società alla riammissione in servizio della lavoratrice nonchè al pagamento delle retribuzioni dalla cessazione del rapporto al suo effettivo ripristino;
che, ad avviso della Corte territoriale, l’appellante non aveva censurato l’argomentazione con la quale il primo giudice aveva ritenuto risolto il rapporto per mutuo consenso a causa dell’inerzia prolungatasi ben oltre i limiti della prescrizione decennale; che il termine era stato apposto per “… necessità di espletamento del servizio (del recapito e della sportelleria) in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre..”; che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la I. affidato a tre motivi cui Poste Italiane s.p.a. resiste con controricorso;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo di ricorso si deduce violazione a falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1 e art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere il giudice del gravame ritenuto erroneamente la mera inerzia del lavoratore prolungatasi oltre i limiti della prescrizione ordinaria idonea a configurare un’ipotesi di scioglimento del rapporto per mutuo consenso senza considerare la imprescrittibilità dell’azione intesa a far valere la nullità del termine; con il secondo ed il terzo motivo viene dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., stante l’omessa pronuncia in relazione alla prospettata nullità del termine apposto al contratto per violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 e L. n. 56 del 1987, art. 23 (secondo motivo) nonchè dell’art. 8 CCNL Poste del 26 novembre 1994 (terzo mezzo);
che il primo motivo è inammissibile sotto vari profili: in primo luogo perchè non è conferente con la motivazione dell’impugnata sentenza che aveva rilevato come l’appello si fosse limitato a contestare la decisione del primo giudice fondata proprio sulla giurisprudenza richiamata dall’appellante ma con il rilievo aggiuntivo che quando l’inerzia superava i normali limiti della prescrizione decennale il disinteresse era tale da integrare la risoluzione per mutuo consenso; inoltre perchè, comunque, la valutazione del lunghissimo lasso di tempo trascorso – superiore a dieci anni (oltre dodici) – come fatto idoneo ad essere indicativo della volontà di risolvere il rapporto di lavoro e ciò sulla premessa corretta che era onere del datore di lavoro provare che con un comportamento concludente la parte avesse inteso risolvere il rapporto di lavoro (cfr. Cass. 04/08/2011 n. 16932 e successivamente Cass. 10/04/2017 n. 10027) integra una valutazione di merito (come affermato da Cass. s.u. 27 ottobre 2016 n. 21691) che, se immune da vizi logici e giuridici e adeguatamente motivato come nel caso in esame, si sottrae al sindacato di legittimità (vedi anche Cass. n. 2906 del 13 febbraio 2015);
che il secondo ed il terzo motivo sono infondati in quanto la Corte di appello correttamente non ha esaminato le dedotte ragioni di illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti avendo giustamente ritenuto le relative questioni assorbite dall’accoglimento della eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso;
che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 19 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018