Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27985 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 837/2017 proposto da:

V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 66, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SPAGNUOLO, che la rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 139/2016 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 14/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/07/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

RILEVATO IN FATTO

che:

con sentenza depositata il 14.7.2016, la Corte d’appello di Potenza ha dichiarato improcedibile l’appello proposto da V.M. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Lagonegro aveva rigettato la sua domanda di annullamento della richiesta di ripetizione d’indebito avanzata dall’INPS;

che avverso tale pronuncia V.M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura; che l’INPS ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che parte ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2, in relazione agli artt. 421 e 291 c.p.c., per avere la Corte di merito pronunciato l’improcedibilità del gravame per mancata notifica all’INPS del ricorso in appello nonostante che il decreto di fissazione dell’udienza non fosse stato comunicato al suo difensore;

che, con il secondo motivo, la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia esaminato il merito della lite;

che, con riguardo al primo motivo, è consolidato il principio secondo cui, nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, il vizio della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell’attività processuale cui l’atto è finalizzato, con conseguente declaratoria di chiusura del processo in rito per improcedibilità, non essendo consentito al giudice assegnare all’appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente e senza che possa giovare all’appellante la mancata comunicazione del decreto di fissazione di udienza da parte della cancelleria, quando comunque abbia acquisito conoscenza, attraverso un mezzo idoneo equipollente, della data fissata per la discussione della causa (cfr tra le più recenti Cass. n. 19191 del 2016, cui ha dato seguito Cass. n. 8595 del 2017);

che, nel caso di specie, la Corte territoriale, dopo aver dato atto a pag. 2 della sentenza delle conclusioni rassegnate all’udienza “dal procuratore della parte costituita”, ha rimarcato a pag. 7 la “franca ammissione dell’omesso espletamento (finanche solo con esito negativo) delle operazioni di notifica” da parte del difensore dell’odierna ricorrente, precisando che nulla era stato allegato circa “l’eventuale esistenza di una causa impeditiva dell’attuazione dell’onere di notifica”, di talche deve ritenersi un mero lapsus calami l’affermazione contenuta a pag. 3 della sentenza stessa, secondo cui all’udienza sarebbe comparso solo “il difensore dell’appellato” (tanto più che, subito dopo, la sentenza afferma clic costui “non depositava l’atto di gravame notificato, in uno con il pedissequo decreto, alla controparte”: che è affermazione che ha senso solo se riferita al difensore dell’appellante e non dell’appellato);

che, conseguentemente, il motivo di censura va reputato inammissibile, non precisandosi in ricorso quando e come sarebbe stata fatta valere la circostanza dell’omessa comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza ed emergendo per contro dal chiaro tenore della sentenza impugnata che il difensore aveva avuto comunque notizia della data dell’udienza, tant’è che si presentò e ammise di non aver notificato il gravame, senza addurre alcuna ragione all’uopo ostativa;

che il secondo motivo e palesemente estraneo al decisum, non avendo la Corte territoriale pronunciato sul merito della lite semplicemente per la rilevata presenza di una causa d’improcedibilità del gravame;

che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, pur sussistendo i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso medesimo, non si fa luogo, allo stato, a pronuncia in tal senso, in considerazione della sua ammissione al patrocinio a spese dello) Stato (cfr. fra le tante Cass. nn. 18523 del 2014, 7368 del 2017).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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