LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1679/2017 proposto da:
D.G.M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 109, presso lo STUDIO LEGALE D’AMICO, rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO VINCVNZO PAPADIA, MARIA ANTONIETTA PAPADIA;
– ricorrente –
contro
RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SANTA MARIA MEDIATRICE 1, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO BUCCI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1108/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 26/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/07/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.
RILEVATO IN FATTO
che:
con sentenza depositata il 26.7.2016, la Corte d’appello di Bari ha confermato la statuizione di primo grado che aveva rigettato la domanda di D.G.M.V. volta al risarcimento del danno biologico patito a causa dell’adibizione a mansioni non compatibili con il suo stato di salute;
che avverso tale pronuncia D.G.M.V. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;
che Rete Ferroviaria Italiana, convenuta in giudizio in quanto datrice di lavoro, ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che parte ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2087 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che l’accertamento passato in giudicato circa la dipendenza da causa di servizio della sua malattia non determinasse l’inversione dell’onere della prova e, in specie, la necessità che il datore di lavoro provasse di aver fatto tutto citiamo in suo potere per scongiurare l’evenienza che si verificassero danni in capo alla parte lavoratrice;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 113,115 e 132 c.p.c., nonchè dell’art. 118 att. c.p.c., per non avere la Corte territoriale congruamente spiegato le ragioni per le quali, in specie, andava esclusa in fatto e in diritto la responsabilità datoriale;
che, con riguardo al primo motivo, è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, non configurando l’art. 2087 c.c., una forma di responsabilità oggettiva, incombe pur sempre sul lavoratore che affermi di aver subito un danno alla salute in conseguenza dell’attività svolta l’onere di provare la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso di consequenzialità tra essa e il danno patito, senza che alcuna presunzione in tal senso possa derivare dalla riconosciuta dipendenza della malattia sofferta da causa di servizio (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 2038 del 2013, 11981 del 2016, 25151 del 2017); che, nella specie, la Corte territoriale ha dato corretta applicazione di tale principio, escludendo che l’accertamento circa la dipendenza della malattia da causa di servizio potesse di per sè implicare che l’evento di danno trovasse causa nelle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro, tanto più che detto accertamento si era accompagnato all’esclusione di qualunque etiologia professionale della malattia lamentata (cfr. sentenza impugnata, pag. 8);
che il motivo di censura, pertanto, deve considerarsi inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, non offrendosi nel ricorso argomenti idonei a superare il suesposto principio:
che del pari inammissibile va ritenuto il secondo motivo, atteso che, indipendentemente dalla prospettazione effettuatane sui).specie di violazione di norme di diritto, il ricorrente intende censurare la motivazione rassegnata in punto di fatto dalla Corte territoriale al fine di escludere che, nella specie, vi fosse prova di un’adibizione a mansioni incompatibili con il suo stato di salute, che è cosa non consentita in questa sede di legittimità se non laddove si denunci che si è omesso l’esame di fatti che, ove esaminati, avrebbero potuto comportare un diverso esito della controversia (Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e innumerevoli successive conformi);
che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di Contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018
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