LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24635/2014 R.G. proposto da:
P.F., rappresentata e difesa dall’avv. Mariangela Bux, con domicilio eletto in Bari, Via Alighieri n. 33;
– ricorrente –
contro
Z.S., titolare dell’impresa individuale Impresa Costruzioni edili, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Fiocchi, con domicilio eletto in Milano, via Pogdora n. 15;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 2460/2014, depositata in data 26.6.2014;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.4.2018 dal Consigliere Giuseppe Fortunato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso, chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito l’avv. Rosario Tarantola per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
P.F. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, con cui è stata dichiarata inammissibile l’impugnazione avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. emessa dal Tribunale di Varese in data 20.12.2013, che aveva accolto la domanda di Z.S. e condannato la P. al pagamento del corrispettivo di lavori edili, per l’importo di Euro 165.663,36, oltre accessori e spese.
Per quanto qui rileva, la Corte distrettuale ha ritenuto la tardività dell’appello, stabilendo che la ricorrente aveva tentato di notificare una prima impugnazione in data 20.1.2014 presso l’avv. Bianchi Elena, con studio in *****, notifica che non era andata a buon fine a causa del trasferimento dello studio in *****; che la seconda notifica, pur avendo avuto esito positivo, si era perfezionata in data 23.1.2014 ed era quindi tardiva. Il ricorso si sviluppa in un unico motivo.
Z.S. resiste con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria del 20.6.2017 la causa è stata rimessa alla pubblica udienza dalla sesta sezione civile, dando atto dell’insussistenza degli estremi dell’evidenza decisoria, vertendosi su questione rimessa alle sezioni unite con ordinanza n. 13272/2017.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le indicazioni di cui all’ordinanza interlocutoria del 20.6.2017, quanto alla rilevanza, ai fini della decisione, della questione rimessa alle sezioni unite in ordine all’interpretazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, e L. n. 794 del 1942, art. 28, non possono ritenersi vincolanti, atteso che detta ordinanza è sempre revocabile e modificabile e non può pregiudicare la decisione della lite.
Non si controverte, peraltro, del pagamento dei compensi professionali del difensore e della relativa disciplina processuale, ma della tempestività dell’appello in relazione al luogo di effettuazione della notifica dell’impugnazione, profilo su cui non ha alcuna influenza quanto già statuito dalle Sezioni unite con la sentenza n. 4485/2018.
2. Con unico motivo di ricorso si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 330 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza dichiarato inammissibile l’impugnazione senza considerare che la tardività dell’appello non era imputabile alla parte poichè il resistente, dopo aver depositato il ricorso ex art. 702 bis c.p.c., in data 16.4.2013, aveva trasferito lo studio nel luglio del 2013, senza comunicarlo alla controparte ed aveva continuato ad indicare la sede precedente negli atti processuali e nella notifica dell’ordinanza impugnata.
Il motivo è infondato.
Il resistente ha depositato il ricorso introduttivo presso il Tribunale di Varese, eleggendo domicilio presso il proprio difensore, il cui studio era inizialmente ubicato nella locale Via *****.
Ancor prima della notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, il difensore (che svolgeva l’attività professionale nel circondario del giudice adito), ha trasferito lo studio in *****, effettuando la comunicazione del trasferimento al locale Consiglio dell’Ordine (cfr. ricorso, pag. 11). La ricorrente si duole del fatto che il difensore abbia continuato ad indicare negli atti processuali la sede precedente, ma tale condotta non poteva sollevarla dall’onere di verificare quale fosse il domicilio effettivo presso cui notificare l’appello, dato che la nuova sede era stata comunicata al Consiglio dell’ordine.
Giova ribadire che la notificazione dell’impugnazione presso il domicilio dichiarato nel giudizio di primo, che abbia avuto esito negativo perchè il procuratore si sia successivamente trasferito altrove, non ha alcun effetto giuridico, dovendo essere effettuata al domicilio reale (quale risulta dall’albo, ovvero dagli atti processuali), anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte, in quanto il dato di riferimento personale prevale su quello topografico, mentre non sussiste alcun onere del procuratore di provvedere alla comunicazione del cambio di indirizzo (salvo che il domicilio sia stato eletto presso terzi e non presso il difensore). Qualora la notificazione dell’atto, da effettuare entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio e la successiva notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè detta ripresa sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni necessarie (Cass. s.u. 17352/2009; Cass. s.u. 15594/2016; Cass. s.u. 15295/2014). In tal caso, la possibilità di superare eventuali decadenze è subordinata a due condizioni: la non imputabilità dell’errore sul domicilio alla parte interessata ed il rispetto di un termine ragionevole entro cui sia stata eseguita la seconda notifica. Riguardo al profilo dell’imputabilità, se il procuratore esercita l’attività professionale nel circondario del Tribunale in cui si svolge la controversia, è onere della parte interessata accertarsi, anche mediante l’esame dell’albo professionale, dell’effettivo domicilio professionale del difensore, non essendo altrimenti giustificata la notificazione ad un indirizzo diverso (Cass. s.u. 2016/14594; Cass. s.u. 2009/17532; Cass. s.u. 2009/3818).
Il ricorso è respinto con aggravio di spese secondo soccombenza. Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 13.200,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.
Si dà atto che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, il 26 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018