Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28002 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2910-2017 proposto da:

R.M.H., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato ANDREA SCIARRILLO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO SGARBI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO C.F. *****, in persona del Ministro pro tempore, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA 2 SEZIONE DI ANCONA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1413/2016 della CORTE DI APPELLO DI ANCONA, emessa il 19/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 1413/2016 la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’impugnazione proposta da M.H.R., cittadino *****, avverso l’ordinanza del Tribunale della medesima città che aveva respinto la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e, in subordine, umanitaria.

sostegno della decisione la Corte territoriale, per quanto ancora interessa, ha affermato:

che non sussistono i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, avendo il richiedente riferito alla Commissione territoriale di non poter rientrare nel proprio Paese per mancanza di lavoro;

che non può ritenersi dimostrato, come evidenziato dalla Commissione territoriale, che il grado di violenza del conflitto armato in corso abbia assunto le caratteristiche sussumibili nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

che il richiedente non aveva allegato nè dimostrato specifiche situazioni soggettive riconducibili all’ambito dei presupposti della protezione umanitaria.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero sulla base di due motivi, cui ha resistito con controricorso il Ministero dell’interno.

Con il primo motivo il ricorrente si duole, sotto il profilo della violazione di legge, del fatto che la Corte d’appello non abbia svolto alcuna istruttoria relativamente alla situazione oggettiva del Bangladesh, anche alla luce della documentazione prodotta in giudizio, e abbia omesso di considerare le puntuali deduzioni del richiedente sulle vicissitudini e le violenze ivi subite.

Con il secondo motivo viene censurata la mancata concessione della protezionè umanitaria, in violazione dell’art. 10 Cost. in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per il mancato accertamento della condizione di vulnerabilità del richiedente.

Il primo motivo è manifestamente fondato.

La Corte territoriale ha escluso la sussistenza dei presupposti dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria (ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)) valorizzando la circostanza che il richiedente aveva riferito dinanzi alla Commissione territoriale di non voler rientrare nel proprio Paese d’origine perchè lì non potrebbe più lavorare. In tal modo, tuttavia, la sentenza mostra di non aver dato considerazione alcuna, nemmeno al fine di vagliarne la credibilità, alle deduzioni circa le violenze che il richiedente ha dichiarato di aver personalmente subito (p. 3 della sentenza medesima) a causa degli scontri di carattere politico e religioso del suo Paese d’origine. Invero, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3, l’esame della domanda è effettuato su base individuale e prevede, tra l’altro, la valutazione “della dichiarazione e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente, che deve anche rendere noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi”, giacchè “il fatto che il richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di persecuzioni o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi” (comma 4).

L’accertamento svolto dal giudice a quo è viziato anche relativamente alla situazione oggettiva del Paese d’origine del ricorrente, in quanto la sentenza si limita ad asserire che il grado di violenza del Bangladesh non raggiunge il livello richiesto dall’art. 14 cit., lett. i) senza dar conto di aver svolto alcuna istruttoria sul punto, come richiesto dalla legge (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), nonchè D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis), e richiamando genericamente il provvedimento della Commissione territoriale, assunto quasi due anni prima, in contrasto con il D.Lgs. n. 251, succitato art. 3, che impone una valutazione svolta all’attualità, ovvero “al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda”.

Il secondo motivo, concernente la protezione umanitaria, è assorbito dall’accoglimento del primo.

Ne consegue l’accoglimento del ricorso. 1,a sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di ancona, in diversa composizione, che provvederà anche alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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