Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28005 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6589-2017 proposto da:

V.A., V.R., elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GIAMPIERO SECCIA;

– ricorrenti –

contro

NUOVA CASSA DI RISPARMIO DI CHIETI SOCIETA’ PER AZIONI, quale mandataria della “REV GESTIONE CREDITI SOCIETA’ PER AZIONI”, in persona della procuratrice speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIAMBATTISTA VICO N. 1, presso lo studio dell’avvocato SILVIA MASTRAPASQUA, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE PIERGIORGIO DE MEDIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1334/2016 della CORTE DI APPELLO di L’AQUILA, depositata il 14/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con la sentenza impugnata, confermando la pronuncia di primo grado, la Corte d’Appello dell’Aquila ha rigettato l’impugnazione proposta da V.A. e V.R. nei confronti di Carichieti s.p.a. in relazione ad un giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’istituto bancario per l’importo di Euro 394.957,18. L’importo era dovuto al saldo di due conti correnti, ad una fideiussione omnibus ed una lettera ricognitiva di debito del correntista del 25 settembre 2009, riguardante una transazione in precedenza intervenuta con la banca.

Il Tribunale aveva ritenuto che dall’interpretazione complessiva della transazione, anche alla luce del comportamento successivamente tenuto dalle parti della stessa, non potesse desumersi l’intenzione delle parti di azzerare il saldo) debitorio dei conti alla data della stipula. In particolare, veniva evidenziato che gli opponenti non avevano contestato la missiva coni cui la banca determinava il saldo) passivo al 15 settembre 2010 in Euro 280.350,00 e in Euro 118.236,08 e che V.A. aveva richiesto un mutuo ipotecario proprio per estinguere le posizioni debitorie in esame.

La Corte territoriale, condividendo l’impostazione fornita dal primo giudice, ha accertato che la tesi dell’azzeramento dei saldi passivi alla data della transazione non avesse trovato riscontro ne nella lettera dell’accordo, nè nelle intenzioni delle parti o nella realtà del rapporto o delle contrapposte pretese dal momento che non l’intero saldo passivo (e dunque non l’intero credito della banca) era controverso ma solo quella parte che era imputabile all’applicazione delle clausole delle quali era stata domandata la declaratoria di nullità.

La transazione, infatti, era intervenuta esclusivamente a chiudere due controversie avviate dai correntisti contro la Banca per la restituzione dell’indebito con riferimento alla contabilizzazione degli importi a titolo di capitalizzazione trimestrale ed interessi ultralegali ritenute illegittime. Pertanto, con la transazione le parti avevano chiuso la lite in corso ma era pacifico che il rapporto contrattuale fosse continuato anche dopo tale data e che la situazione debitoria precedente non fosse stata sanata ma anzi sia peggiorata al punto da raggiungere la misura indicata nella documentazione portata a sostegno del ricorso monitorio. A conferma della persistenza della situazione debitoria vi era, inoltre, il fatto che il V. avesse domandato alla Banca, pochi giorni dopo la stipula della transazione, la concessione di un mutuo per estinguere le situazioni debitorie ancora esistenti.

Dunque, la Corte territoriale ha ritenuto che non sussisteva alcuna violazione del sinallagma contrattuale a svantaggio dei correntisti ma che, al contrario, l’azzeramento dei conti avrebbe costituito un indebito vantaggio per i correntisti.

Avverso suddetta pronuncia promuovono ricorso per Cassazione V.A. e V.R. formulando quattro motivi di ricorso.

Con il primo motivo si contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, che la Corte d’Appello abbia omesso di pronunciarsi sulla domanda di inefficacia della transazione nei confronti del terzo fideiussore V.R. al quale i procedimenti transatti non potrebbero essere opposti. Data l’inefficacia della transazione nei confronti del terzo fideiussore sussisterebbe il diritto di quest’ultimo di ottenere la rettifica dei saldi bancari eliminando i costi illeciti per tutta la durata del rapporto. In conseguenza di ciò, i ricorrenti sostengono che debbano essere dichiarate nulle le clausole anatocistiche riportate nei conti correnti, la convenzione relativa alla commissione di massimo scoperto e che debba essere rettificato il saldo finale espungendo tutti gli interessi illegittimamente percepiti.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della disciplina dell’interpretazione del contratto in relazione alla transazione in quanto la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere che l’oggetto della transazione non fosse la rinuncia all’intero credito riportato negli estratti conto del 3^ semestre 2004. Infatti, come risulta dal doc. 25 del fascicolo della parte resistente, (vedi pag. 9 ricorso) la Banca avrebbe dichiarato di rinunciare a qualsiasi diritto contrattuale discendente dai rapporti oggetto delle due cause e tale atto di volontà non poteva non produrre effetti giuridicamente rilevanti sul rapporto Obbligatorio. In tal modo, tali dichiarazioni avrebbero assunto valore negoziale perchè funzionali alla risoluzione dei contrasti insorti tra le parti non solo sugli addebiti eseguiti dalla banca dall’accensione dei conti al 3^ trimestre 2004 ma anche su quelli registrati in conto dopo l’avvio delle predette cause fino all’accordo. Da tali dichiarazioni sarebbe sorto l’affidamento della ricorrente sulla dichiarazione di volontà della banca di non avere nulla a pretendere per i titoli dedotti in causa. In ragione di citi, il ricorrente chiede il rinvio della causa alla Corte d’Appello per la rettifica dei salda-conti finali mediante il ricalcolo degli estratti conto.

Con il terzo motivo si contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, che la Corte d’Appello abbia considerato come un ingiusto arricchimento l’azzeramento dei conti. La Corte Territoriale avrebbe omesso di individuare un elemento essenziale della fattispecie in esame, cioè la concessione che la banca ha fatto al correntista in cambio della rinuncia da parte di quest’ultimo ad eccepire l’illegalità dei saldi bancari. Infatti, la banca era consapevole che il significato della dichiarazione di “non avere nulla a pretendere” ingenerasse l’affidamento da parte del correntista sull’avvenuta rinuncia a tutto il credito riportato negli estratti conto 3^ trimestre 2004.

Con il (piano motivo di ricorso si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la mancata pronuncia della Corte d’Appello in merito alla revoca del decreto ingiuntivo emesso a favore della Banca. Si ritiene di affrontare preliminarmente il secondo motivo per ragioni di priorità logica. Esso è manifestamente fondato in quanto la Corte d’Appello ha omesso di considerare il criterio letterale fondando la propria conclusione sui comportamenti successivi, ovvero su un canone applicabile soltanto in via gridata rispetto a quello principale. In particolare, la parte della transazione in cui è affermato che “la Carichieti rinuncia a qualsiasi diritto contrattuale dedotto e/o deducibile comunque discendente dai rapporti negoziali oggetto delle due cause, rinunziando espressamente alla domanda riconvenzionale proposta in danno di parte attrice e dichiarando, pertanto, di non aver nulla a pretendere per il titolo dedotto in riconvenzionale e comunque a qualsiasi titolo e/o ragione per ed in relazione ai rapporti dedotti nelle ridette due cause” non e stata presa in esame, nè messa in comparazione con gli altri atti e comportamenti anche unilaterali della parte ne se ne è giustificata l’irrilevanza. Così operando, la Corte d’Appello non ha applicato la gerarchia dei criteri legali d’interpretazione dei contratti. Infatti, la rinunzia all’esercizio di qualsiasi diritto discendente dai rapporti negoziali oggetto delle due cause e all’esperimento della domanda riconvenzionale avrebbe dovuto comportare, come correttamente sostenuto dal ricorrente, l’azzeramento dei saldi passivi inerenti al trimestre di riferimento (3^ semestre del 2009).

Il primo, il terzo e quarto motivo devono considerarsi assorbiti.

In conclusione, deve essere accolto il secondo motivo di ricorso, con conseguente cassazione del provvedimento impugnato e rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila perchè provveda anche sulle spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo, assorbiti i rimanenti. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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