LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28610-2014 proposto da:
M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato PAOLO BOER, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. *****, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI, LIDIA CARCAVALLO, LUIGI CALIULO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 490/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 19/06/2014 R.G.N. 1182/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato CARLO DE ANGELIS per delega verbale Avvocato PAOLO BOER;
udito l’Avvocato ANTONELLA PATTERI.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Torino con sentenza n. 490/2014 accogliendo l’appello dell’Inps rigettava le domande proposte da M.G., titolare di pensione di vecchiaia con decorrenza dal gennaio 2007, intesa ad ottenere la riliquidazione del trattamento pensionistico sulla base della neutralizzazione dei periodi di minore contribuzione relativi agli ultimi 10 anni di retribuzione, avendo maturato il diritto a pensione in data anteriore al 1/1/1993, ed in quanto tali pertanto non necessari ai fini del perfezionamento dell’anzianità contributiva, ai sensi della sentenza n. 264/1994 della corte costituzionale.
A fondamento della sentenza la Corte, rilevato che l’Inps censurava la sentenza sia perchè con la neutralizzazione degli ultimi cinque anni nel caso di specie sarebbe venuto meno il requisito contributivo minimo previsto dalla legge, sia perchè la neutralizzazione può essere operata solo nell’ambito dell’ultimo quinquennio e sempre che la riduzione della retribuzione abbia avuto inizio nell’ambito dell’ultimo quinquennio, dichiarava fondata la prima censura ed assorbita la seconda; in quanto era evidente che, neutralizzando gli ultimi cinque anni di lavoro svolti come domestica, la M. non avrebbe avuto diritto a percepire la pensione di anzianità a decorrere dal 1/1/2007, posto che a tale data, con la richiesta neutralizzazione, aveva a disposizione solo 1643 contributi settimanali di molto inferiori ai 1820 richiesti per avere diritto alla pensione di anzianità.
Nè secondo la Corte d’Appello di Torino poteva farsi riferimento alla sentenza n. 480/2012 delle medesima Corte territoriale atteso che in quella sede si faceva riferimento al raggiungimento del requisito minimo per la pensione di vecchiaia, mentre nel caso di specie il quinquennio antecedente al pensionamento di anzianità era necessario raggiungimento del requisito contributivo minimo richiesto per tale pensione.
Contro la sentenza ha proposto ricorso M.G. con un motivo al quale l’Inps si è opposto con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la falsa applicazione della L. n. 153 del 1969, art. 22 nonchè violazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 1, comma 1, e tabelle A e B in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, atteso che la Corte d’Appello di Torino facendosi fuorviare dal motivo di appello proposto dall’Inps non aveva inteso che, come correttamente giudicato in primo grado, la ricorrente non chiedeva di far retroagire la neutralizzazione all’1 gennaio 2007, in coincidenza con la data di decorrenza della pensione di anzianità; ma molto più semplicemente chiedeva che l’Inps provvedesse (a far data dal giugno 2011 e non dal gennaio 2007) a riliquidare la pensione, neutralizzando tutti gli anni di contribuzione non più richiesti per conservare il diritto a pensione, sorta come pensione di anzianità, ma a partire dal compimento del 600 anno, cioè fin dal settembre 2007 assoggettato al regime proprio della pensione di vecchiaia. Infatti quando nel gennaio del 2011 la pensionata, all’età di 62 anni ed otto mesi, presentava domanda di neutralizzazione degli ultimi sette anni e tre mesi di contribuzione, pari a 319 settimane di contribuzione, derivante da lavoro domestico, quest’ultima pur incrementando l’anzianità contributiva incidenti negativamente sul livello virtuale di pensione, la contribuzione residua superava ampiamente nel 1040 settimane richieste per il diritto a pensione di vecchiaia. La Corte d’Appello nel porre a fondamento della sentenza la carenza del requisito contributivo di 35 anni era incorsa in una falsa applicazione della L. n. 153 del 1969, art. 22 ed in una violazione del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 2 che ridefinisce i requisiti contributivi richiesti per la pensione di vecchiaia. Ciò perchè la pensione di anzianità attribuita alla ricorrente, alcuni mesi prima del compimento del 600 anno, a partire dal 23 agosto 2007, dato di compimento del 600 anno, era stata automaticamente assoggettata alle norme dettate per la pensione di vecchiaia, per cui sono sufficienti vent’anni di contribuzione, pari a 1040 contributi settimanali. La L. n. 153 del 1969, art. 22, comma 6 stabilisce che “la pensione di anzianità è equiparata a tutti gli effetti alla pensione di vecchiaia quando il titolare di essa compie l’età stabilita per il pensionamento di vecchiaia”; la Corte d’appello ha errato nel fare riferimento ai fini della verifica del requisito contributivo indispensabile per conservare il diritto al trattamento di pensione alla disciplina dettata per le pensioni di anzianità, anzichè a quella relativa alla pensione di vecchiaia.
2.- Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 3, comma 8 come risultante per effetto degli interventi della Corte Costituzionale, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto la Corte d’Appello non poteva ignorare l’avvenuta trasformazione della pensione di anzianità in pensione di vecchiaia, non potendosi perciò escludere che la neutralizzazione riconosciuta come dovuta dalla giurisprudenza costituzionale sulla L. n. 297, art. 3, comma 8 possa trovare applicazione quando l’effetto depressivo del trattamento pensionistico è imputabile anche alla contribuzione che si colloca oltre cinque anni dell’ultimo contributo; in quanto la ragione per cui la Corte Costituzionale ha fatto riferimento all’ultimo quinquennio, e non ad un periodo più ampio era dovuta al fatto che le fattispecie ad essa sottoposta rientravano sotto la disciplina della L. n. 297 del 1982, art. 3, comma 8, e non sotto la disciplina intervenuta a partire dal gennaio ‘93 che, con il D.Lgs. n. 503 del 1993, art. 3, aveva dilatato il periodo da prendere a riferimento per il calcolo della retribuzione pensionabile da 260 a 520 settimane, per i soggetti che al 31 dicembre 1992 potevano far valere un’anzianità contributiva superiore a 15 anni; e – per i soggetti che alla stessa data disponevano di un’anzianità contributiva inferiore a 15 anni, il periodo da prendere a riferimento per il calcolo della retribuzione pensionabile – alla contribuzione compresa fra l’1 gennaio 1998 e l’ultimo contributo immediatamente precedente la data di decorrenza della pensione. Quindi coerentemente con la ratio che ha sorretto la giurisprudenza costituzionale, la neutralizzazione – per effetto dell’espansione del periodo di riferimento per il calcolo della retribuzione pensionabile – doveva interessare non solo la contribuzione dell’ultimo quinquennio ma senza limiti tutta la contribuzione che – senza far venire meno il requisito contributivo richiesto per la tipologia di pensione in godimento produca, anzichè un incremento del trattamento pensionistico, una riduzione dello stesso.
3.- I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la connessione delle censure, non sono meritevoli di accoglimento.
3.1. – Giova ricordare che, in forza della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3 la retribuzione pensionabile per le pensioni liquidate con decorrenza successiva al 30 giugno 1982, era “costituita dalla quinta parte della somma delle retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro, o corrispondenti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria, risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione”.
Il riferimento alle sole retribuzioni percepite negli ultimi cinque anni di lavoro era fondato, nel sistema introdotto dal legislatore del 1982, sul presupposto che le retribuzioni dell’ultimo ciclo della vita lavorativa fossero quelle più favorevoli per il lavoratore.
4.- Il descritto quadro normativo è radicalmente mutato per effetto della legge di delegazione, L. 23 ottobre 1992, n. 421, che ha delegato la potestà legislativa al Governo al fine di emanare uno o più decreti legislativi per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, con l’osservanza, fra gli altri, dei seguenti criteri direttivi: “graduale elevazione del periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione annua pensionabile da duecentosessanta a cinquecentoventi settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione”…”per coloro che possono far valere una anzianità contributiva inferiore a quindici anni nell’assicurazione generale obbligatoria, nelle forme sostitutive ed esclusive del regime generale e nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, il periodo di riferimento per la individuazione della retribuzione pensionabile è determinato aggiungendo al periodo stabilito dalla normativa vigente nei singoli ordinamenti quello intercorrente tra il 1 gennaio 1993 e la data di decorrenza della pensione…”; “estensione della disciplina dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, limitatamente ai lavoratori di nuova assunzione privi di anzianità assicurativa, con riferimento del calcolo della pensione alla contribuzione dell’intera vita lavorativa” (L. n. 421 del 1992 cit., art. 3, comma 1, lett. h), lett. o)).
Nel sistema così delineato risulta dilatato il periodo di riferimento per il calcolo della retribuzione pensionabile, dalle ultime 260 settimane di contribuzione anteriore alla decorrenza della pensione (L. n. 297 del 1992 cit., ex art. 3) fino alla contribuzione dell’intera vita lavorativa (per i lavoratori iscritti dopo il 1 gennaio 1993).
La predetta legge di delegazione è stata attuata con i decreti legislativi D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 e D.Lgs. 11 agosto 1993, n. 373.
In particolare, per quanto in questa sede rileva, la posizione dei lavoratori già titolari di anzianità contributiva al 1 gennaio 1993, è stata disciplinata dal D.Lgs. n. 503 del 1993, distinguendo, in tale ambito, tra lavoratori con anzianità contributiva inferiore o maggiore di 15 anni, alla predetta data.
Ebbene, per i lavoratori con anzianità contributiva inferiore a 15 anni alla data del 31 dicembre 1992, “la retribuzione annua pensionabile è determinata con riferimento ai periodi indicati alla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, commi 8 e 14 della incrementati dai periodi contributivi che intercorrono tra la predetta data e quella immediatamente precedente la decorrenza della pensione”.
L’arco temporale entro il quale si calcola la retribuzione pensionabile risulta, dunque, ampliato, rispetto alle 260 settimane previste dalla L. n. 297 del 1982 cit., dovendo sommarsi, ad esse, le settimane comprese fra il 1 gennaio 1993 e la decorrenza della pensione.
Per i lavoratori che possano far valere un’anzianità contributiva superiore ai 15 anni, la retribuzione annua pensionabile, di cui ai commi ottavo e quattordicesimo della L. 29 maggio 1982, n. 297, “è determinata con riferimento alle ultime 520 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione con conseguente adeguamento dei criteri di calcolo ivi previsti”.
Per questi ultimi, quindi, il periodo entro il quale si calcola la retribuzione pensionabile è raddoppiato rispetto a quello previsto dalla L. n. 297 del 1982.
Con disposizione transitoria, al fine di far salvi i diritti quesiti e in conformità al criterio direttivo per l’introduzione della disciplina transitoria per il calcolo delle pensioni da determinare in quota parte in base alla previgente normativa a garanzia dei diritti maturati (L. n. 421 del 1992 cit., art. 3, comma 1, lett. u)), il D.Lgs. n. 503, art. 13 per le pensioni liquidate dopo il 1 gennaio 1993, dispone che l’importo della pensione sia determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta (determinata sulla retribuzione pensionabile corrispondente alle ultime 260 settimane) che a tal fine resta confermata in via transitoria; b) della quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 1993, calcolato secondo le nuove regole introdotte dal D.Lgs. n. 503 del 1992.
Dunque, i trattamenti pensionistici liquidati dopo il 1 gennaio 1993 sono l’esito della sommatoria delle due quote appena indicate (quota A e quota B), con una progressiva estensione del periodo di calcolo della retribuzione pensionabile fino ad arrivare, a regime, a far coincidere detto periodo con l’intera vita lavorativa dell’assicurato (D.Lgs. n. 373 del 1993 cit., art. 1).
5.- La neutralizzazione richiesta in questo come in altri ricorsi all’esame del Collegio, incentrata sull’asserita dilatazione oltre il quinquennio, si inserisce in questo mutato contesto normativo e nel nuovo sistema di calcolo della pensione in riferimento al quale la parte ricorrente tenta di accreditare la tesi secondo cui una volta ampliato a 520 settimane il periodo di riferimento del calcolo della retribuzione pensionabile sarebbe coerente con la ratio che ha sorretto la giurisprudenza costituzionale estendere, al medesimo periodo, anche l’area di operatività della neutralizzazione.
Invero, l’eventualità che nella determinazione del quantum della pensione vengano intercettati periodi a retribuzione ridotta non costituisce sintomo di irrazionalità della disciplina, come nel precedente sistema di calcolo fondato sulle ultime 5 annualità sul presupposto che fossero le più favorevoli per il lavoratore, sebbene rappresenta il logico sviluppo del mutato sistema di calcolo del trattamento pensionistico apprestato dalla riforma pensionistica del 1992.
L’ampliamento dell’arco temporale nel quale la retribuzione si calcola obbedisce alla ratio di rendere l’importo della pensione il più possibile aderente all’effettiva consistenza di quanto percepito dal lavoratore nella sua intera vita lavorativa, superando il precedente sistema che, restringendo il periodo di riferimento all’ultimo segmento del rapporto lavorativo, era di fatto volto ad intercettare e a valorizzare le sole migliori retribuzioni.
Peraltro se dal 1 gennaio 1996 non fosse entrato in vigore il sistema contributivo previsto dalla L. n. 335 del 1995, l’arco temporale di riferimento sarebbe andato a coincidere con l’intera vita lavorativa dell’assicurato.
6.- La giurisprudenza costituzionale in tema di neutralizzazione (in particolare, Corte Cost. nn.428 del 1992, 264 del 1994, 388 del 1995, tutte analiticamente richiamate, da ultimo, da Cass. 14 maggio 2018, n.11649, alla quale si rinvia) dalle quali la parte ricorrente pretende di desumere un principio generale di irriducibilità del livello virtuale di pensione raggiunto in itinere, alla stregua del quale una volta perfezionato il requisito minimo, l’ulteriore contribuzione non potrebbe compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata fino a quel momento, ha scrutinato esclusivamente la L. n. 297 del 1982 e vagliato lo specifico sistema di calcolo introdotto in quel contesto normativo.
In altre parole, come riconfermato da ultimo da Corte Cost. n. 82 del 2017, il solco segnato dalla giurisprudenza costituzionale si fonda sull’intrinseca irragionevolezza del meccanismo implicante, per la fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo, un decremento della prestazione previdenziale in antitesi con la finalità di favore perseguita dalla legislazione (antecedente alla riforma pensionistica del 1992), nel considerare il livello retributivo, tendenzialmente più elevato, degli ultimi anni di lavoro. Le menzionate decisioni della Corte costituzionale hanno vagliato la conformità ai canoni costituzionali della legislazione pensionistica volta a valorizzare il maggior livello retributivo tendenzialmente raggiunto negli ultimi anni della vita lavorativa non sono applicabili al mutato contesto normativo che, con la regolazione in via transitoria a corredo della riforma pensionistica del 1992 e la sommatoria delle due quote, vede la posizione dei pensionati coinvolti nel nuovo sistema di calcolo del trattamento pensionistico adeguatamente tutelata con la previsione della quota A della pensione, calcolata in ossequio al disposto della L. n. 297 del 1982 cit., art. 3 con la neutralizzazione delle eventuali retribuzioni ridotte percepite nelle ultime 260 settimane di contribuzione, arco di tempo entro il quale la norma prevede debba calcolarsi la retribuzione pensionabile.
7.- Quanto fin qui argomentato risulta in continuità con i precedenti di questa Corte (v. Cass. 3 novembre 2016, n.22315) secondo cui “la sentenza della Corte Costituzionale (Corte cost., n. 264 del 1994)…si riferisce ad una legislazione diversa e ad un periodo diverso e…sarebbe arbitrario applicarla a seguito dell’entrata in vigore di un regime legislativo nuovo, considerazioni che hanno portato la Corte d’appello ad escludere il denunciato contrasto con gli artt. 3,36 e 38 Cost.considerato che “nel nuovo sistema l’individuazione del periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile, che…rientra nell’ambito della discrezionalità politica, non persegue la finalità di garantire al lavoratore una più favorevole base di calcolo per la liquidazione della pensione onde rispetto al sistema oggetto di sindacato nella pronuncia invocata…non appare dar luogo a risultati palesemente irrazionali o comunque contrari ai principi costituzionali”” (così Cass. n. 22315 del 2016 cit.).
Più di recente, inoltre, questa Corte (v. Cass. n. 11649 del 2018 cit.) ha espressamente reputato non condivisibile la pretesa di estendere la neutralizzazione a periodi anteriori all’ultimo quinquennio, richiamando altra decisione del Corte costituzionale, sentenza n. 82 del 2017 che, nell’accogliere l’eccezione di inammissibilità svolta dall’Avvocatura generale dello Stato, con riguardo alla richiesta di estendere la neutralizzazione dei contributi per disoccupazione e integrazione salariale anche oltre i limiti dell’ultimo quinquennio che prelude alla decorrenza della pensione, ha precisato che: “L’intervento auspicato si riverbera sulla determinazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile, che esprime una scelta eminentemente discrezionale del legislatore (sentenza n. 388 del 1995, punto 4 del Considerato in diritto, e sentenza n. 264 del 1994, punto 3 del Considerato in diritto), volta a contemperare le esigenze di certezza con le ragioni di tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori”.
8.- Va dunque ribadito, con Cass. n. 11649 del 2018, da ultimo richiamata, che l’opzione chiaramente espressa dalla Corte Costituzionale induce ad escludere profili di irrazionalità nel limite temporale alla neutralizzazione posto dalle disposizioni sopra citate e nel diverso meccanismo di determinazione della retribuzione pensionabile non più correlato all’ultimo scorcio della vita lavorativa.
Del pari va riaffermato (con Cass. n.82 del 2017 cit.) che il rimedio eccezionale della neutralizzazione, connaturato ad un sistema di calcolo del trattamento pensionistico preordinato a garantire al lavoratore una più favorevole base di calcolo per la liquidazione della pensione, correlata all’ultimo scorcio della vita lavorativa, quale quello delineato dalla L. n. 297 del 1982, art. 3 non si presta ad essere applicato oltre i limiti indicati dalle sentenze della Corte costituzionale.
Da tale orientamento ermeneutico il Collegio non intende discostarsi, non ravvisando nelle argomentazioni della parte ricorrente elementi di giudizio che già non siano stati tenuti presenti dalle precedenti decisioni di legittimità assunte al riguardo.
9.- La sentenza impugnata si sottrae, pertanto, alle censure svolte e il ricorso deve essere rigettato.
La particolare complessità ricostruttiva e il consolidamento del richiamato orientamento giurisprudenziale di legittimità solo in epoca successiva al deposito del ricorso consigliano la compensazione delle spese del giudizio.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass., Sez. U., 17 ottobre 2014, n. 22035 e alle numerose successive conformi).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018