Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28027 del 02/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8724-2014 proposto da:

P.T.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PASTEUR 5, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO ALVAZZI DEL FRATE, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA MARRARI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati DONATELLA CAPASSO, DANIELA CORRI giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9106/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/04/2013 R.G.N. 2100/2010.

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Roma con la sentenza n. 9106/2012 aveva rigettato l’appello proposto da P.T.D. avverso la decisione con la quale il Tribunale locale aveva respinto la domanda dallo stesso proposta nei confronti di Poste Italiane spa, diretta all’accertamento della illegittimità del contratto di appalto stipulato tra la società Poste e la CM Isitel spa di cui era dipendente, alla declaratoria di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società Poste Italiane con condanna di quest’ultima al ripristino del rapporto ed al risarcimento del danno corrispondente alle retribuzioni non percepite dalla cessazione del rapporto fino al ripristino dello stesso.

La corte territoriale aveva ritenuto non sufficientemente provata la mancanza di autonomia della società appaltatrice e non rilevanti, ai fini della prova della non genuinità dell’appalto, l’utilizzo degli strumenti di lavoro della committente, trattandosi di strumentazione informatica di cui veniva curato il software, nonchè il quotidiano rapporto con Poste Italiane, e con le direttive impartite da questa, necessarie ai fini dell’esatto adempimento delle attività oggetto dell’appalto.

Avverso detta decisione il P. proponeva ricorso affidandolo a due motivi, cui resisteva la società Poste Italiane con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo è denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la mancata autonoma organizzazione della società CM finalizzata al risultato commissionato da Poste nonchè la omessa indagine circa il rischio di impresa assunto dalla stessa appaltatrice.

Il motivo risulta inammissibile in quanto il ricorrente non indica dove e come le circostanze in questione siano state dedotte dinanzi al giudice del gravame.

Questa Corte ha a riguardo precisato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54(conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017).

Ha altresì chiarito che ” ove venga dedotto vizio di motivazione, ai sensi del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività””(Cass. n. 19987/2017).

La censura esaminata non risponde ai requisiti sopra indicati in quanto non contiene la esatta indicazione del dato testuale introdotto nel giudizio e neppure del “dove” e del “quando”. E’ altresì incompleta con riferimento alle prove testimoniali ritenute utili a dar prova delle circostanze dedotte, in quanto non riporta per intero le dichiarazioni dei testi che, estrapolate dal contesto in cui si erano sviluppate, non forniscono adeguato riscontro delle dichiarazioni complessivamente rese.

2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro.

La censura investe, sotto diversa latitudine, le circostanze dedotte con riguardo al primo motivo ovvero la carenza di autonomia organizzativa, della autonoma gestione dell’appalto, del mancato esercizio dei poteri disciplinari in capo alla società appaltatrice, senza peraltro indicare quali ed in che modo siano state violate le norme legali e contrattuali.

Il vizio denunciato in realtà contiene una critica alla valutazione della corte territoriale sulle testimonianze rese in giudizio e risulta quindi non ammissibile in questa sede, In concreto richiamando un ulteriore riesame di circostanze di fatto non consentito.

Il ricorso è infondato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 3.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018

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