Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.28028 del 02/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12243-2013 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso lo studio dell’Avvocato ANNA TERESA LAURORA dell’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSSANA CLAVELLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Q.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L.V. BERTARELLI, 29, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA D’AMATO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3470/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/05/2012 R.G.N. 4724/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per inammissibilità o in subordine rigetto;

udito l’Avvocato ROSSANA CLAVELLI;

udito l’Avvocato ORNELLA D’AMATO.

FATTI DI CAUSA

con sentenza del 17.4.2012 la corte d’Appello di Roma in riforma della sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di Q.S., ha accertato il diritto all’equo indennizzo richiesto in relazione alla patologia cardiaca dalla quale era affetto, ascrivibile alla 4 categoria della tabella annessa al D.P.R. n. 834 del 1981 cardiopatia (ischemica)-, non ritenendo condivisibile la valutazione del tribunale, che aveva ritenuto non idonee le deduzioni attoree a dare adeguata contezza della dedotta gravità dell’attività svolta, ai fini dell’accertamento del nesso causale tra la prestazione di lavoro e la malattia.

La corte di merito ha ritenuto che detta relazione causale fosse possibile accertarla sulla base della complessiva documentazione in atti e delle caratteristiche delle mansioni pacificamente svolte nel periodo oggetto di causa, come descritte nel ricorso introduttivo.

In particolare la sentenza impugnata ha rilevato che il consulente tecnico di ufficio, nominato in grado di appello, aveva ritenuto che le mansioni svolte dal Q. nel corso del tempo fossero state caratterizzate da un’ “oggettiva onerosità”, tale da giustificare una situazione cronica di stress e, quindi, l’insorgere di una cardiopatia ischemica sulla base dell’attivazione di una serie di meccanismi biochimici. Ha precisato la corte distrettuale che tale valutazione era supportata da richiami alla letteratura scientifica e da dati clinico – epidemiologici e che il CTU aveva risposto a tutte le osservazioni del perito di parte appellata, dando adeguata contezza della valutazione operata, con riferimento agli specifici rilievi formulati alla sua perizia d’ufficio.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane spa affidato ad un solo articolato motivo, a cui ha opposto difese il Q. con controricorso. Poste italiane ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, articolato in due censure, la società ricorrente deduce: a) l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, la mancata prova della dedotta gravosità dell’attività svolta da controparte, ai fini della sussistenza del nesso causale con l’espletamento del servizio, l’omessa considerazione del parere del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; b) l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’ammissione della CTU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo la ricorrente dall’esposizione dei fatti, così come dettagliatamente emergenti dagli atti della società nei gradi di merito, emergerebbe che la patologia sofferta dal Q. non è stata determinata dal lavoro. L’illogicità della motivazione della sentenza impugnata risulterebbe “ictu oculi” dall’adesione acritica alla tesi esposta dal CTU, fatta propria dalla corte di merito, sebbene trattasi di CTU lacunosa e superficiale che non avrebbe tenuto in debito conto i tre importanti fattori di rischio di natura extralavorativa: il tabagismo – consumo di 20 sigarette al giorno -, la familiarità per malattie cardiovascolari e l’ipercolesterolemia, fattori presenti ben prima dell’insorgenza della cardiopatia ischemica. Conseguentemente il normale lavoro impiegatizio svolto dal dipendente non avrebbe potuto rivestire alcun ruolo di concausa efficiente e determinante l’infermità. Che tale estraneità era stata adeguatamente espressa nella decisione del Comitato delle pensioni privilegiate ordinarie, il quale aveva escluso l’efficienza concausale, poi ribadita dal consulente di parte nella relazione allegata alla perizia d’ufficio.

Ancora la società ricorrente si duole che la corte di merito abbia accolto la domanda solo sulla base del parere espresso dal CTU, disattendendo del tutto le argomentazioni della società, anche laddove si era eccepito che nell’originario ricorso non risultavano adeguatamente descritte e provate le mansioni del dipendente, così che non si sarebbe potuta accertare l’efficienza causale in termini di gravosità delle stesse. In particolare la documentazione prodotta dal ricorrente in primo grado non consentiva in concreto di accertare le mansioni e dunque di verificarne la gravosità, e tali carenze non potevano essere superate disponendo la CTU medico legale.

Le censure sono in parte infondate, in parte inammissibili.

La Corte di legittimità non ha il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, a cui è riservato l’apprezzamento dei fatti.

Il motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione applicabile al presente giudizio ratione temporis, deve riguardare la correttezza della motivazione in ordine alla sussistenza di un fatto, che deve essere, a sua volta, controverso e decisivo.

Per giurisprudenza oramai consolidata “il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per fatto non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. – cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo – od anche un fatto secondario – cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale -, purchè controverso e decisivo. (cfr (Cass. n. 2805/2011, Cass. n. 16655/2011).

Nel caso in esame la corte di merito ha preso in considerazione tutti gli elementi fattuali relativi sia alle condizioni di salute del lavoratore, sia alle caratteristiche intrinseche dell’attività lavorativa, che è stata ritenuta oggettivamente onerosa e tale da determinare una situazione cronica di stress. La corte ha ritenuto sussistere la relazione causale tra la malattia e l’ambiente lavorativo, ripercorrendo l’analisi e le valutazioni medico legali effettuate dal consulente tecnico, di cui ha condiviso le conclusioni, con un ragionamento logico giuridico esente da vizi e pertanto in questa sede insindacabile.

Deve peraltro ritenersi inammissibile per difetto specificità e comunque di autosufficienza la seconda censura, con cui la società ricorrente lamenta l’errata ammissione da parte della corte di merito della consulenza tecnica, come anche l’errata disposizione dell’istruzione della causa, nonostante l’eccepita genericità della deduzione dei fatti ed in particolare della descrizione delle mansioni svolte dal Q. nel ricorso introduttivo ex art. 414 c.p.c..

A parte l’errata formulazione del vizio di omessa motivazione, trattandosi in realtà della denuncia di un error in procedendo, il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere la parte essenziale degli elementi fattuali descritti nel ricorso introduttivo, oltre che indicare specificatamente l’esatta collocazione di tale atto nel fascicolo della fase di merito, atteso che non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame. Conseguentemente il corrispondente motivo deve contenere, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (cfr da ultimo Cass. 2771/2017).

Il ricorso va quindi respinto e la società, soccombente, va condannata al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018

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