LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29245-2014 proposto da:
D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER n. 36, presso lo studio dell’avvocato SIMONA GHIONNI, rappresentata e difesa dall’avvocato GABRIELE SALVATORE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA in persona del Ministro pro tempore domiciliato ope legis in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1416/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 18/12/2013, R.G.N.1474/12;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/09/2018 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO CARMELO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Salvatore Gabriele.
FATTI DI CAUSA
1. D.G., appartenente all’area del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola, aveva convenuto in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca chiedendo il riconoscimento a fini economici dell’anzianità di servizio maturata alle dipendenze dell’ente locale prima del trasferimento nei ruoli del Ministero, disposto ai sensi della legge 3 maggio 1999 n. 124.
2. Il Tribunale di Lanciano aveva accolto la domanda, ma la sentenza era stata riformata dalla Corte d’Appello di L’Aquila, che aveva posto a fondamento della decisione la norma, definita dal legislatore di interpretazione autentica, dettata dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, della quale la Corte Costituzionale aveva escluso l’incostituzionalità.
3. Con sentenza n. 25388 del 30 novembre 2011 questa Corte, ricostruiti i termini della vicenda relativa al trasferimento nei ruoli dello Stato del personale ATA degli enti locali, ha richiamato la pronuncia della Corte di Giustizia del 6 settembre 2011 in causa C – 108/10, e, in accoglimento del ricorso, ha cassato la sentenza gravata, rinviando alla stessa Corte territoriale in diversa composizione per un nuovo esame, finalizzato a “verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento”.
La sentenza rescindente, in consonanza con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, ha indicato i criteri in base ai quali siffatto accertamento avrebbe dovuto essere effettuato ed ha precisato che: a) quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito e non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario; b) quanto alle modalità, si deve trattare di “peggioramento retributivo sostanziale” e la comparazione deve essere “globale” e, quindi, non limitata allo specifico istituto; c) quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto “all’atto del trasferimento”.
4. Il giudizio di rinvio è stato definito dalla Corte d’Appello di L’Aquila con la sentenza qui impugnata che ha ritenuto infondata l’originaria domanda proposta dalla ricorrente ed ha conseguentemente accolto il gravame del Ministero, riformando la pronuncia di prime cure.
La Corte territoriale ha premesso che la sentenza rescindente non aveva accertato in via definitiva il diritto della D. al riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio, ma aveva solo affermato, richiamando la statuizione della Corte di Giustizia, che la mancata valorizzazione della pregressa anzianità sarebbe stata illegittima qualora avesse comportato un peggioramento retributivo sostanziale.
Il giudice del rinvio ha escluso detto peggioramento, evidenziando che nè con l’originario atto introduttivo nè in sede di riassunzione la ricorrente aveva dedotto e provato di avere subito un decremento retributivo. Al riguardo ha precisato che non poteva essere valorizzato il mancato riconoscimento di talune indennità previste dalla contrattazione collettiva per il personale del comparto enti locali, posto che il confronto tra i due trattamenti retributivi doveva essere globale e solo un decremento “sensibilmente apprezzabile” avrebbe potuto comportare l’accoglimento della domanda.
Infine la Corte aquilana, sulla scorta di quanto già affermato da questa Corte con la sentenza n. 4049/2013, ha escluso che potesse essere disapplicata la norma di interpretazione autentica dettata dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, ed ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla difesa dell’appellata, perchè la Corte Costituzionale si era già espressa sulla costituzionalità della norma, della quale la Corte di Giustizia aveva fornito un’ interpretazione conforme al diritto dell’Unione.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.G. sulla base di tre motivi, ai quali ha opposto difese con tempestivo controricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia “violazione e falsa applicazione della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8 come interpretato dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, in relazione all’art. 117 Cost., comma 10, all’art. 6, n. 2, T.U.E. in combinato disposto con l’art. 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con le decisioni del 7 giugno 2011, dell’11/12/2012 e del 14/1/2014, e 46, 47 e 52 n. 3 della Carta fondamentale dell’Unione Europea proclamata a Nizza il 7/12/2000”. La ricorrente sostiene, in sintesi, che, una volta escluso il peggioramento retributivo sostanziale, il giudice del rinvio avrebbe dovuto valutare la compatibilità della norma di interpretazione autentica con le disposizioni sovranazionali richiamate in rubrica, posto che la Corte di Giustizia non si era pronunciata al riguardo, ritenendo la questione, sottoposta al suo esame dal Tribunale di Venezia, assorbita dalla risposta data in tema di applicazione ed interpretazione della direttiva 77/187 CEE. Evidenzia che la palese violazione del principio dell’irretroattività della legge avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a disapplicare la L. n. 266 del 2015, art. 1, comma 218 sulla base dei principi affermati dalla Corte E.D.U., successivamente alla pronuncia rescindente, con le sentenze dell’Il dicembre 2012 (De Rosa ed altri contro Italia) e del 14 gennaio 2014 (Montalto ed altri contro Italia).
2. Con la seconda censura la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8, dell’art. 2112 cod. civ. e della direttiva 77/187 CEE” e deduce che, previa disapplicazione della norma di interpretazione autentica, la controversia doveva essere decisa solo sulla base della disposizione speciale dettata dalla L. n. 124 del 1999, art. 8. Richiama i principi di diritto già affermati da questa Corte con le sentenze nn. 4722 del 4/3/2005 e nn. 18652-18657 del 23/9/2005 ed insiste nel sostenere che al personale amministrativo, tecnico e ausiliario trasferito dagli enti locali allo Stato, al momento dell’immissione nei ruoli statali, dovevano essere applicati i trattamenti economici e normativi stabiliti dal C.C.N.L. del comparto scuola, considerandolo come appartenente al detto comparto fin dalla costituzione del rapporto con l’ente locale, a prescindere dal risultato retributivo finale (favorevole o svantaggioso).
3. In via subordinata D.G. prospetta, con il terzo motivo, questione di legittimità costituzionale della L. n. 124 del 1999, art. 8 come interpretato dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, con riferimento all’art. 117 Cost., all’art. 6 TUE ed all’art. 6 CEDU e rileva che le pronunce già rese dal Giudice delle leggi sulla costituzionalità della legge interpretativa sono state superate dai diversi principi affermati dalla Corte Europea con le sentenze richiamate in rubrica.
4. I motivi, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono infondati.
La sentenza rescindente, pubblicata il 30 novembre 2011, in epoca successiva alla pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 7 giugno 2011, ha accolto l’impugnazione della D. perchè “la violazione del complesso normativo, costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 e dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, deve essere verificata in concreto sulla base dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia Europea” ed ha demandato al giudice del rinvio di “decidere la controversia nel merito verificando la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento”.
La Corte territoriale nella definizione della controversia ha tenuto conto dei principi affermati e dei criteri indicati nella sentenza rescindente ed ha compiuto l’accertamento demandato, rilevando innanzitutto che l’attuale ricorrente non aveva mai dedotto di avere subito, per effetto del trasferimento nei ruoli del Ministero, un decremento della retribuzione, avendo solo allegato di avere diritto ad un inquadramento stipendiale più elevato rispetto a quello riconosciuto al momento del passaggio. Il giudice del rinvio, rilevato che difettava la prova del peggioramento retributivo sostanziale subito dalla lavoratrice all’atto del trasferimento, ha ritenuto, in piena conformità con i principi ed i criteri contenuti nella sentenza rescindente, che il mancato riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio ai fini dell’applicazione degli istituti previsti dal CCNL per il comparto della scuola non integra di per sè “il peggioramento retributivo vietato dalla Direttiva 77/187 CEE, che in tanto può sussistere in quanto si dimostri che la retribuzione goduta presso l’ente di provenienza debba considerarsi superiore a quella riconosciuta presso l’Ente di destinazione”.
4.1. La ricorrente non censura questa ratio decidendi della pronuncia e, nell’insistere sulla necessità di disapplicare la legge di interpretazione autentica e di valorizzare ai fini della decisione la L. n. 124 del 1999, art. 8 finisce sostanzialmente per sollecitare una revisione del principio di diritto affermato nella sentenza rescindente.
Quest’ultima, pronunciata dopo l’intervento della Corte di Giustizia e della Corte E.D.U. (la sentenza è stata pubblicata il 30 novembre 2011, successivamente alla pubblicazione della sentenza Agrati ed altri contro Italia del 7 giugno 2011), ha ribadito l’efficacia retroattiva dell’art. 1 della legge n. 266/2005; ha richiamato i quattro interventi del Giudice delle leggi, che hanno escluso profili di illegittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica; ha ritenuto che il complesso normativo fosse, appunto, costituito dalla L. n. 124 del 1999 e L. n. 266 del 2005 e che, sulla base del diritto Eurounitario, come interpretato dalla Corte di Lussemburgo, la domanda potesse trovare accoglimento solo nell’ipotesi di accertato peggioramento retributivo sostanziale.
4.2. A norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto di quella decisione, e di tener conto di eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sindacare l’esattezza del principio affermato dal giudice di legittimità (cfr. fra le tante Cass. n. 11290/1999; Cass. n. 16518/2004; Cass. n. 23169/2006; Cass. n. 17353/2010; Cass. n. 1995/2015).
Dall’irretrattabilità del principio di diritto discende che la Corte di Cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare muovendo dalla regula iuris in precedenza enunciata, perchè l’efficacia vincolante, che si estende anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata oggetto di giudicato implicito interno (Cass. n. 17353/2010 e Cass. n. 20981/2015), viene meno solo qualora la norma, in epoca successiva alla pubblicazione della pronuncia rescindente, sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima ovvero sia divenuta inapplicabile per effetto di ius superveniens (cfr. fra le tante Cass. n. 20128/2013; Cass. n. 13873/2012; Cass. n. 17442/2006).
Tali ultime condizioni non ricorrono nel caso di specie, perchè il quadro normativo è rimasto immutato rispetto a quello apprezzato dalla sentenza rescindente, che ha con chiarezza indicato i limiti del giudizio di rinvio, subordinando l’accoglimento (o il rigetto) dell’originaria domanda all’esito di uno specifico accertamento di fatto, nella specie effettuato dalla Corte territoriale in termini negativi per l’originaria ricorrente.
4.3. Quanto, poi, alla questione di costituzionalità della legge n. 266/2005, riproposta nel giudizio di rinvio ed in questa sede, premette il Collegio che la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 27082/2007 e Cass. n.2114/2008; cfr. anche Cass. n. 3963/2016 che, dopo aver dato atto dei diversi orientamenti espressi dalla Corte, ha esaminato nel merito la questione, ritenendola non rilevante), in adesione all’orientamento consolidato espresso dalla Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. nn. 133/2009 e 173/2008 e la giurisprudenza ivi richiamata), ha evidenziato che l’effetto vincolante del principio di diritto nel giudizio di rinvio non può estendersi anche al profilo della validità costituzionale della normativa.
La questione, peraltro, è già stata ritenuta da questa Corte manifestamente infondata (cfr. Cass. n. 4049/2013 e fra le più recenti Cass. n.6780, 7053, 7698 del 2018), pur apprezzando le pronunce della Corte E.D.U. successive alla sentenza della Corte Costituzionale n. 311/2009, in quanto il Giudice delle leggi, nell’escludere la violazione dell’art. 117 Cost. per contrasto della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, con l’art. 6 CEDU, ha ritenuto sussistenti i “motivi imperativi d’interesse generale”, valorizzati anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ed ha evidenziato che la decisione al riguardo implica una valutazione sistematica di profili costituzionali, politici, economici, amministrativi e sociali che la Convenzione Europea lascia alla competenza degli Stati contraenti, e, quindi, un bilanciamento di interessi che può essere compiuto solo dalla Corte Costituzionale (principio poi ribadito da Corte Cost. n. 264/2012 e da Corte Cost. n. 166/2017).
5. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00 per competenze professionale, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018