Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28034 del 02/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2353-2017 proposto da:

BENFIL S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO, rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNA TUSSINO, SEVERINO NAPPI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7359/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 14/11/2016 R.G.N. 2537/2015.

FATTO E DIRITTO

RILEVATO CHE:

Che la Corte di appello di Napoli con la sentenza n. 7359/2016 aveva rigettato il reclamo proposto da Benfil srl in liquidazione avverso la decisione con la quale il tribunale di Benevento aveva confermato l’ordinanza resa in sede sommaria dallo stesso tribunale, dichiarativa della inefficacia del licenziamento collettivo intimato a A.R., con condanna della società datrice di lavoro al pagamento della indennità risarcitoria nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La corte territoriale aveva ritenuto l’infondatezza dei motivi inerenti la tempestività e cogenza del termine previsto dalla L. n. 223 del 1991, a carico del datore di lavoro, per le comunicazioni agli enti regionali per l’impiego ed alle associazioni di categoria dell’elenco dei lavoratori licenziati e delle ulteriori notizie sulla procedura di mobilità in corso. In particolare aveva ritenuto, sulla scorta degli orientamenti del Giudice di legittimità, che la comunicazione di cui all’art. 4,comma 9, era finalizzata a rendere visibile e controllabile dalle organizzazioni sindacali la correttezza del datore di lavoro nella applicazione dei criteri di scelta. Conseguenza di tale finalità risultava la cogenza della contestualità delle comunicazioni rispetto al recesso e del termine di sette giorni previsto quale limite temporale ultimo per l’invio delle stesse. In ragione di tali principi la corte territoriale aveva ritenuto non tempestivo l’invio delle comunicazioni avvenuto il 9 gennaio 2014 (all’Ufficio regionale per il lavoro ed all’Inps), e il 4 marzo 2014 alle organizzazioni Sindacali), rispetto alla comunicazione del recesso avvenuta il 10 ottobre 2013. Infondato risultava quindi, a parere del giudice di appello, il motivo di gravame attestante la irrilevanza dei termini in questione in procedure, quale quella in esame, nelle quali il licenziamento collettivo aveva riguardato tutti i lavoratori, e ciò in ragione della funzione di garanzia assegnata dalla legge alle comunicazioni, non esclusa per le ipotesi di unico criterio selettivo riguardante tutto il personale.

La Corte aveva peraltro rilevato che, in concreto, vi era una difformità tra lavoratori posti in mobilità (116) e quelli richiamati nel verbale di congiunta individuazione degli esuberi (121), sicchè era manifestamente provata la necessità di informazioni sui criteri adottati nel merito della scelta dei lavoratori rimasti più a lungo in azienda.

Avverso detta decisione la Benfil srl in liquidazione proponeva ricorso affidandolo a tre motivi.

A.R. rimaneva intimata.

CONSIDERATO CHE:

1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, e art. 5,comma 3 in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 24, comma 2. Violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1.

Parte ricorrente ha rilevato che in presenza di un licenziamento collettivo per totale cessazione dell’attività ed azzeramento dell’intero organico, il mero superamento del termine di 7 giorni per l’inoltro delle comunicazioni di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, non era idoneo ad inficiare la validità dei recessi intimati ai lavoratori essendo finalizzata, la comunicazione elle predette ipotesi, al solo controllo da parte delle organizzazioni sindacali, della effettività della scelta.

Questa Corte ha ripetutamente chiarito che “In tema di procedura di mobilità, la previsione, di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, secondo cui il datore di lavoro, nella comunicazione preventiva con la quale dà inizio alla procedura, deve dare una “puntuale indicazione” dei criteri di scelta e delle modalità applicative, comporta che, anche quando il criterio prescelto sia unico, il datore di lavoro deve provvedere a specificare nella detta comunicazione le sue modalità applicative, in modo che essa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perchè lui – e non altri dipendenti – sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l’illegittimità della misura espulsiva” (Cass.n. 12196/2011; conf. Cass .n. 18306/2016; cass. n. 24352/2017).

Ha poi specificato che anche nelle ipotesi in cui in caso di “licenziamento collettivo, l’impresa che intenda cessare l’attività e licenziare tutti i dipendenti salvo un gruppo individuato in base al possesso delle competenze professionali necessarie per il compimento delle operazioni di liquidazione, deve egualmente effettuare, a pena di inefficacia del licenziamento, la comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, con la precisazione delle modalità di attuazione del criterio di scelta e la comparazione tra tutte le professionalità del personale in servizio rispetto allo scopo perseguito, senza che assuma rilievo l’unicità del criterio adottato ancorchè concordato con le organizzazioni sindacali” (Cass. n. 22033/2010; conf. in fattispecie del tutto analoga alla presente Cass.n. 18158/2018).

I principi esposti evidenziano la finalità delle comunicazioni in questione, individuata nella necessità non solo del controllo sulla effettività della scelta adottata ma anche dei criteri di scelta dei lavoratori e delle modalità di concreta applicazione degli stessi, e ciò anche in ipotesi di un unico criterio che riguardi tutti i lavoratori e in un contesto di cessazione dell’attività e di azzeramento del personale.

In tal caso, infatti, anche solo la gradualità delle operazioni di chiusura, e la permanenza, sia pur temporanea, di taluni lavoratori, finalizzata al completamento delle operazioni ultimative, richiede la applicazione di criteri di scelta predeterminati controllabili da tutti i soggetti interessati.

Nel caso di specie, peraltro, risulta che effettivamente la cessazione della attività è stata realizzata in via graduale e dunque con la necessità di individuare la correttezza nella applicazione dei criteri individuativi dei differenti tempi di operatività del licenziamento collettivo.

La censura risulta quindi infondata.

2) Con il secondo motivo è denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c..

La società lamenta l’erronea valutazione del verbale di accordo 4 settembre 2012 con riguardo alla discrasia tra i lavoratori posti in mobilità (116) e quelli richiamati nel verbale di congiunta individuazione degli esuberi (121).

A riguardo rilevava che alcuna difformità si era concretizzata attese le dimissioni intervenute per tre dipendenti e la esclusione di altri due dalla possibilità di accesso alla mobilità per carenza dei relativi requisiti.

Il motivo risulta inammissibile in quanto non indicata la decisività dello stesso.

Questa Corte ha specificato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n.23238/2017).

La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poichè determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).

Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio.

3) Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, anche in relazione all’art. 152 c.p.c..

La società ritiene errata la decisione della corte territoriale relativa alla valutazione della natura perentoria del termine previsto per l’invio delle comunicazioni alle Organizzazioni sindacali. In particolare ha denunciato la violazione dell’art. 152 c.p.c., comma 2, in quanto alcuna indicazione di perentorietà è stata prevista con riguardo a detto termine così restando evincibile la sola natura ordinatoria.

La disposizione in questione prevede espressamente che ” Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l’elenco dei lavoratori licenziati con l’indicazione per ciascun soggetto del nominati nel luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento dell’età, del carico di famiglia, nonchè con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1, deve essere comunicato per iscritto all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma”.

Al fine di valutare la natura del termine in questione occorre rilevare che nella versione della norma antecedente alla modifica apportata dalla L. n. 92 del 2012 non era previsto un termine specifico per le comunicazioni in oggetto, ma era richiesto che le stesse fossero inviate “contestualmente” alla comunicazione del recesso. Con riguardo a tale condizione questa Corte aveva statuito che “il requisito della contestualità della comunicazione del recesso al lavoratore e alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro, richiesto a pena d’inefficacia del licenziamento medesimo, non può che essere valutato, in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido ed analitico, e con termini molto ristretti, nel senso di una necessaria ed ineliminabile contemporaneità delle due comunicazioni la cui mancanza, solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, da comprovare dal datore di lavoro, può non determinarne l’inefficacia” (Cass.n. 7490/2011).

Ancor più di recente aveva chiarito che “In tema di licenziamento collettivo (secondo la disciplina antecedente alle modifiche introdotte con la L. 28 giugno 2012, n. 92), la contestualità fra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro dell’elenco dei dipendenti licenziati e dei criteri di scelta, richiesta, a pena di inefficacia del licenziamento, dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, si giustifica al fine di consentire alle OO.SS. (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo sulla correttezza nell’applicazione dei menzionati criteri da parte del datore di lavoro, anche al fine di sollecitare, prima dell’impugnazione del recesso in sede giudiziaria, la revoca del licenziamento eseguito in loro violazione. Ne consegue che la funzione di tale ultima comunicazione implica che non possa accedersi ad una nozione “elastica” di contestualità, riferita anche alla data in cui il licenziamento abbia effetto, dovendosi ritenere irragionevole che, per non incorrere in una decadenza dal termine di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, il lavoratore debba impugnare il licenziamento senza la previa conoscenza dei criteri di scelta” (Cass. n 8680/2015; Cass.n. 22024/2015) Da ultimo (Cass.n. 67/2017) ha confermato che ” La valutazione della sussistenza del requisito della “contestualità”, da condursi alla luce del criterio dell’attitudine dell’intervallo di tempo (tra la comunicazione di recesso e quelle agli organi pubblici e alle organizzazioni sindacali) a pregiudicare le opportunità di informazione e assistenza del lavoratore nell’esercizio del suo diritto all’impugnazione, costituisce una questione di fatto, che è rimessa, come tale, alla cognizione del giudice di merito e che si sottrae al controllo di legittimità, ove – come nella specie – essa risulti sorretta da una motivazione adeguata.

In quest’ultima decisione questa Corte, nel valutare il periodo intercorso tra il recesso e le comunizioni in questione, dopo la precedente premessa,ha ritenuto questo in linea con il periodo di “sette giorni dalla comunicazione dei recessi” introdotto dalla L. n. 92 del 2012, il quale può considerarsi, in relazione alle fattispecie venute ad esistenza nel regime anteriore, come utile (e peraltro non vincolante) parametro nella valutazione della sussistenza in concreto del requisito di “contestualità”(Cass. n. 67/2017).

Al precedente concetto di contestualità il legislatore del 2012 ha sostituito il termine di sette giorni, con ciò evidenziando la opportunità di superare le precedenti possibili discrasie nella individuazione concreta del termine più utile e quindi assegnando un parametro certo.

La natura del termine così individuato, quale sintesi delle finalità interne alla comunicazione come sopra già da tempo evidenziate, assume quindi natura cogente e perentoria come cogente e perentorio era il requisito della contestualità, rigidamente interpretato nel tempo dalla giurisprudenza di questa Corte.

Il ricorso è infondato. Nulla per le spese attesa la mancata costituzione dell’intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018

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