Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.28049 del 02/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1312-2014 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASCREA n.18, presso lo studio dell’avvocato GAETANO DELL’ACQUA, che Io rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO MARIA DE FILIPPIS;

– ricorrente –

contro

D.S.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n.3533/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

D.S.E. proponeva due distinti ricorsi L. n. 794 del 1942, ex art. 28 e ss. invocando nei confronti di S.G. la liquidazione degli onorari relativi ad altrettanti giudizi. Il S. si costituiva eccependo la prescrizione della domanda e l’estinzione dell’obbligazione in virtù di precedenti accordi raggiunti tra le parti. Il Tribunale di Milano disponeva il mutamento del rito e i due procedimenti, riuniti, erano decisi con sentenza di accoglimento della domanda.

Interponeva appello il S. eccependo l’inammissibilità della conversione del rito disposta dal Tribunale, in presenza di contestazioni del cliente circa la spettanza del compenso invocato dal professionista ed invocando la riforma della decisione appellata.

La Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata n.3533/2013, respingeva l’eccezione di inammissibilità, ritenendola tardiva, e confermava la statuizione di prime cure, condannando l’appellante alle spese del grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza il S. affidandosi a tre motivi.

Il D.S. non ha svolto attività difensiva in questo grado.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29 e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello avrebbe errato nel non rilevare l’inammissibilità tanto del procedimento introdotto dal D.S. nelle forme di cui alla L. n. 794 del 1942, in presenza di contestazione sull’an della pretesa, quanto del mutamento del rito disposto dal Tribunale meneghino. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto tardiva l’eccezione di inammissibilità di cui anzidetto, trattandosi di eccezione rilevabile anche di ufficio.

La doglianza è fondata.

Ed invero “In tema di liquidazione degli onorari e diritti di avvocati, non è ammissibile il ricorso alla speciale procedura di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28 e 29 qualora la controversia non abbia ad oggetto soltanto la semplice determinazione della misura del compenso, ma si estenda altresì ad altri oggetti d’accertamento e di decisione, quali i presupposti stessi del diritto al compenso, i limiti del mandato, la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa; in tal caso, il procedimento ordinario attrae nella sua sfera, per ragioni di connessione, anche la materia propria del procedimento speciale e l’intero giudizio non può non concludersi in primo grado se non con un provvedimento che, quand’anche adottato in forma d’ordinanza, ha valore di sentenza e può essere impugnato con il solo mezzo dell’appello” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13640 del 04/06/2010, Rv. 613377; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7652 del 21/04/2004, Rv. 572230 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21554 del 13/10/2014, Rv. 632672).

Nello stesso senso, si ritiene che “… non è ammissibile il ricorso alla speciale procedura di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28 e 29 quando vi sia contestazione sulla esistenza del rapporto di clientela, sull’avvenuta transazione della lite o sulla natura giudiziale dei compensi, ovvero quando con riconvenzionale sia dal cliente introdotto un nuovo e diverso petitum. Peraltro, anche quando venga dedotta l’esistenza di più rapporti professionali con il difensore ed il pagamento integrale di tutte le prestazioni professionali mediante versamenti effettuati, il thema decidendum necessariamente si amplia ed esorbita dalla natura e dall’oggetto del procedimento speciale, postulando la verifica delle diverse attività espletate e dei compensi complessivamente dovuti. Pertanto, in tale caso, trattandosi di indagine incompatibile con la trattazione nelle forme del rito speciale, vengono meno le ragioni che giustificano la deroga al principio generale del doppio grado di giudizio ed il procedimento deve svolgersi secondo il rito ordinario” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23344 del 09/09/2008, Rv. 605203, che ha ritenuto inammissibile il procedimento speciale perchè il convenuto cliente, eccependo il pagamento, aveva fatto riferimento alla somma da lui complessivamente versata in relazione a numerosi rapporti intrattenuti negli anni addietro con il legale).

Per quel che attiene all’esito del procedimento introdotto nelle forme di cui alla L. n. 794 del 1942, si è affermato che “… anche quando l’inesistenza dei presupposti per l’applicazione del procedimento speciale L. n. 794 del 1942, ex artt. 28 e 29 emerga all’udienza di comparizione delle parti dopo la regolare costituzione del contraddittorio, dev’essere dichiarata esclusivamente l’inammissibilità del ricorso senza disporre il mutamento del rito al fine di consentire la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie davanti al giudice competente” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23344 del 09/09/2008, Rv.605204; conformi, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17053 del 05/08/2011, Rv. 618866 e Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 16202 del 27/06/2013, Rv. 626848).

Per la verità, dopo l’abrogazione della L. n. 794 del 1942, artt. 29 e 30 questa Corte aveva ritenuto che “Le controversie per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti dell’avvocato nei confronti del proprio cliente previste dalla L. n. 794 del 1942, art. 28 – come risultante all’esito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34 e dell’abrogazione della medesima L. n. 794 del 1942, artt. 29 e 30 – devono essere trattate con la procedura prevista dal suddetto D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 anche nell’ipotesi in cui la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda” (Cass. Sez. 6-3, Sentenza n. 4002 del 29/02/2016, Rv. 638895) Tuttavia le Sezioni Unite sono di recente intervenute nella materia ed hanno affermato – in relazione ad una controversia introdotta nelle forme di cui all’art. 702 bis c.p.c. – il più articolato principio secondo cui “La controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28 introdotta sia ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, resta soggetta al rito di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all’an debeatur. Soltanto qualora il convenuto ampli l’oggetto del giudizio con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale) non esorbitante dalla competenza del giudice adito ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. cit., la trattazione di quest’ultima dovrà avvenire, ove si presti ad un’istruttoria sommaria, con il rito sommario (congiuntamente a quella proposta ex art. 14 dal professionista) e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena (ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena), previa separazione delle domande. Qualora la domanda introdotta dal cliente non appartenga, invece, alla competenza del giudice adito, troveranno applicazione gli artt. 34,35 e 36 c.p.c., che eventualmente possono comportare lo spostamento della competenza sulla domanda, ai sensi dell’art. 14” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4485 del 23/02/2018, Rv. 647316).

Alla luce del pronunciamento delle S.U. si possono individuare differenti ipotesi.

In particolare:

1) qualora la controversia sia stata introdotta mediante ricorso per decreto ingiuntivo o ricorso ex art. 702 bis c.p.c., il giudice è tenuto a trattarla secondo la speciale procedura di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 anche in presenza di contestazioni del cliente relative all’esistenza del rapporto o all’an debeatur;

2) qualora la controversia sia stata introdotta mediante ricorso per decreto ingiuntivo o ricorso ex art. 702 bis c.p.c. ed il cliente sollevi eccezioni idonee ad ampliare il thema decidendum, le quali tuttavia non esorbitano dalla competenza del giudice adito, la causa dovrà essere trattata sempre con il rito sommario di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 se si presti ad un’istruttoria sommaria, mentre in caso contrario dovrà essere trattata nelle forme del rito ordinario a cognizione piena, previa la separazione delle domande;

3) qualora la controversia sia stata introdotta mediante ricorso per decreto ingiuntivo o ricorso ex art. 702 bis c.p.c. ed il cliente sollevi eccezioni idonee ad ampliare il thema decidendum, le quali esorbitano dalla competenza del giudice adito, la causa dovrà essere rimessa al giudice competente, ai sensi degli artt. 34 e ss. c.p.c..

Rimane esclusa dall’ambito della disamina condotta dalle Sezioni Unite un’ultima fattispecie, che si configura qualora la causa sia stata introdotta non già mediante ricorso per decreto ingiuntivo ovvero nelle forme di cui all’art. 702 bis c.p.c., bensì secondo l’ormai abrogata procedura prevista dalla L. n. 794 del 1942, artt. 28 e ss.. In questo caso, si deve ritenere ancora valido il principio affermato da questa Corte nei precedenti anteriori all’ultima pronuncia delle S.U., e di conseguenza in presenza di contestazioni del cliente circa l’an debeatur il giudizio va dichiarato inammissibile, essendo il suo oggetto strettamente circoscritto alla sola determinazione del quantum del compenso dovuto al professionista.

Nè appare comunque possibile un mutamento del rito, posto che esso – anche nella nuova prospettazione indicata dalle S.U. nell’appena richiamata sentenza n. 4485/2018 – rimane circoscritto alla sola ipotesi in cui il cliente, convenuto in giudizio dall’avvocato, sollevi eccezioni o domande riconvenzionali idonee ad ampliare il thema decidendum, le quali pur non esorbitando dalla competenza del giudice adito non si prestino ad un’istruttoria sommaria, di talchè sia necessario trattarle nelle forme del rito ordinario a cognizione piena, previa la separazione delle domande (principale di pagamento, introdotta dell’avvocato, e riconvenzionale, proposta invece dal cliente).

La censura va di conseguenza accolta.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 342 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello avrebbe dovuto ammettere le istanze istruttorie articolate dal S. e finalizzate a dimostrare l’esistenza di patti specifici relativi al compenso, in base ai quali il ricorrente aveva contestato l’an della pretesa di pagamento del D.S..

La censura va considerata assorbita dall’accoglimento del primo motivo del ricorso.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato la non specificità dell’appello.

La doglianza va respinta, in quanto essa non coglie la ratio del rigetto dell’appello e difetta della necessaria specificità.

La Corte territoriale ha infatti ritenuto che il primo motivo di appello, relativo alla contestazione del punto della sentenza di prime cure con cui era stata ritenuta tardiva l’eccezione di inammissibilità sollevata dal S., si articolasse nel mero richiamo della sentenza di questa Corte n. 23344/2008 e nella riproposizione della conclusionale di primo grado, “senza indicare alcuna ragione di idonea censura ai motivati rilievi del primo giudice che, pertanto, integralmente condivisi da questa Corte, restano insuperati” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata). Il ricorrente non deduce, nel motivo in esame, alcun elemento atto a contestare le affermazioni del giudice di secondo grado, nè riproduce a confutazione di esse il testo del proprio atto di appello e i motivi con esso dedotti.

La Corte meneghina ha poi ritenuto inammissibile la seconda doglianza proposta dal S. in grado di appello, concernente la mancata ammissione delle testimonianze Se. e P., in primo luogo in quanto l’appellante non aveva specificamente contestato l’ordinanza del Tribunale del 10.12.2010, che aveva ritenuto inammissibili i capitoli di prova orale articolati dal ricorrente. Inoltre, la Corte territoriale ha valutato le risultanze delle testimonianze V. e L. – ammesse invece in prima istanza – ritenendo che esse non consentissero comunque di ritenere dimostrato il pagamento in contanti allegato dal S. nelle fasi di merito (cfr. ancora pag.3 della sentenza impugnata). Anche tali affermazioni non sono specificamente attinte dal motivo qui in esame.

Infine, la Corte milanese ha ritenuto inammissibile il terzo motivo di appello, ritenendo non assolto il requisito di specificità del gravame mediante il generico richiamo agli atti del fascicolo di primo grado, ancorchè specificamente richiamati dall’appellante (cfr. ancora pag. 3 della sentenza impugnata). Tale statuizione, come le precedenti, non risulta attinta in modo specifico dalla censura in esame.

Ne consegue l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso per difetto di specificità.

In definitiva, va accolto il primo motivo, ritenuto assorbito il secondo e respinto il terzo, con conseguente rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per il prosieguo del giudizio, nei limiti della censura accolta e di quella ritenuta assorbita.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente grado.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo e respinge il terzo.

Rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, anche per le spese del presente grado.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018

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