LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Primo Presidente f.f. –
Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12293/2018 proposto da:
D.S., elettivamente domiciliatasi in ROMA, VIA FRANCESCO ORESTANO 21, presso lo studio dell’avvocato FABIO PONTESILLI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA MARSICO;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 42/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 06/03/2018;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2018 dal consigliere ANGELINA-MARIA PERRINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Luca Marsico.
FATTI DI CAUSA
D.S., nella qualità di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Varese, è stata incolpata, per quanto ancora d’interesse, dell’illecito disciplinare previsto dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. d) e n), perché, in violazione del dovere di correttezza e nell’esercizio delle funzioni sopra indicate, sebbene con provvedimento del 23/25 giugno 2016 il Procuratore di Varese ne avesse disposto la sostituzione a ridosso dell’udienza preliminare fissata in relazione al procedimento penale a carico di P.S. e altri, ha depositato, pochi giorni prima di essere trasferita ad altro ufficio, ossia in data 23 settembre 2016, lista testi per l’udienza del 15 dicembre 2016, senza nulla comunicare al capo dell’Ufficio e al nuovo titolare del procedimento Pe.Lu., in tal maniera realizzando nei confronti di costoro un comportamento gravemente scorretto.
In particolare, si riferisce in sentenza che il capo dell’Ufficio aveva invitato la dr. D. ad astenersi dal seguire il procedimento perché il coniuge, luogotenente della Guardia di finanza che aveva svolto le relative indagini fino al 2013, era stato iscritto nel registro degli indagati dal pubblico ministero presso il Tribunale di Brescia su denuncia di P. relativa proprio a quelle indagini.
In esito alla indisponibilità della dr. D. ad astenersi, il Procuratore della Repubblica ne ha disposto la sostituzione ex art. 53 c.p.p., comma 2, con altro collega il quale, a partire dall’11 luglio successivo, data dell’udienza preliminare, ha presenziato a tutte le udienze. Ciononostante, a seguito del rinvio a giudizio di P. e della fissazione della prima udienza dibattimentale per il 15 dicembre 2016, la dr. D., tre giorni prima di prendere possesso di altro ufficio, ha depositato la lista dei testimoni in quel processo. Ed è questa condotta che è stata stigmatizzata dalla sezione disciplinare, la quale ha sottolineato che il deposito è avvenuto prima ancora che presso la cancelleria del giudice giungesse il fascicolo del processo e, soprattutto, all’insaputa del capo dell’Ufficio e del collega sostituto.
Inoltre, si è aggiunto, sono risultati smentiti i due capisaldi su cui si è retta la difesa dell’incolpata:
– il primo, secondo cui la sostituzione non riguardava la titolarità del procedimento, come confermato dal fatto che il relativo fascicolo è rimasto nella sua stanza, è sconfessato dalle dichiarazioni del capo dell’Ufficio e del collega Pe., i quali hanno riferito che il fascicolo è stato trasmesso per intero al g.i.p. dopo la richiesta di rinvio a giudizio per essere restituito all’ufficio di Procura soltanto dopo il trasferimento della dr. D.; sicché quel che costei conservava erano verosimilmente soltanto copie degli atti. A tanto il Procuratore della Repubblica ha aggiunto di non aver formalmente disposto alcuna revoca di assegnazione proprio perché il fascicolo era ormai transitato nella fase del processo, a seguire il quale doveva ritenersi incaricato, per il principio di continuità nell’esercizio delle funzioni, il sostituto Pe., che aveva esercitato le funzioni requirenti nelle ultime fasi dell’udienza preliminare e aveva assistito all’emissione del decreto del g.u.p. che aveva disposto il dibattimento;
– il secondo, calibrato sul fatto che ancora nel luglio 2006 l’incolpata ha provveduto su un’istanza avanzata da P., è infirmato dalla circostanza, riferita dal capo dell’Ufficio, che quella istanza riguardava un atto relativo ad altro distinto procedimento penale a carico di ignoti, del quale ella era rimasta assegnataria.
La sezione disciplinare ha concluso che la condotta tenuta sia ingiustificabile e offensiva dell’immagine del magistrato, sia per l’inosservanza delle disposizioni impartite dal capo dell’Ufficio, sia per scorrettezza tenuta nei confronti del collega sostituto, il quale ha formato e depositato una nuova lista testi, sia, infine, nei confronti delle altre parti processuali, che nei mesi antecedenti all’intervento del nuovo pubblico ministero, hanno modulato le proprie scelte e iniziative alla luce di un atto depositato da un p.m. che non avrebbe potuto farlo. In esito a tali valutazioni, ha inflitto all’incolpata la sanzione della censura.
Contro questa sentenza propone ricorso D.S. per ottenerne la cassazione, che affida a quattro motivi, cui non v’è replica.
Ragioni della decisione.
1.- Il primo motivo di ricorso, col quale si denuncia l’erronea applicazione degli artt. 52 e 53 c.p.p., nonché la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla valutazione dell’esistenza di cause di astensione, è indirizzato ad aggredire l’affermata sussistenza dell’addebito disciplinare riconducibile al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. n), che configura come illecito disciplinare “la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti”.
Sul piano della violazione di legge, la ricorrente sostiene che il provvedimento di sostituzione adottato dal Procuratore della Repubblica di Varese non possa che essere interpretato come relativo alla sola udienza preliminare che si sarebbe dovuta tenere l’11 luglio 2016, perché mancavano i presupposti per la sostituzione o per la revoca dell’assegnazione; sul piano della deduzione del vizio di motivazione, fa leva sulle annotazioni nei registri informatici, che davano conto della permanente assegnazione a sé del processo e punta sulla rilevanza, misconosciuta dalla sezione disciplinare, del provvedimento da lei adottato nel luglio 2016 su un’istanza pur sempre presentata da P..
Il motivo è inammissibile per entrambi i profili.
1.1.- Quanto al primo, il motivo è inammissibile perché manca dell’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Cass., sez. un., 20 aprile 2015, n. 7957; Cass. pen., 29 gennaio/13 marzo 2014, n. 11951, Lavorato).
Ciò perché la sezione disciplinare nella prima parte della sentenza impugnata, pur assolvendo D.S. dall’illecito disciplinare previsto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. c), per la violazione dell’obbligo di astensione prescritto dall’art. 52 c.p.p., ha stabilito (specie nel primo capoverso di pag. 6) che sussistessero nel caso in questione gravi ragioni di convenienza che avrebbero dovuto imporre all’incolpata di formulare una dichiarazione di astensione a norma dell’art. 52 c.p.p., comma 1. Sicché il presupposto dal quale muove la censura si rivela incongruente rispetto alle ragioni della decisione, perché assume, al contrario, che il provvedimento sia stato dettato da una mera questione d’immagine legata alla presenza in udienza della dr. D..
1.2.- Il motivo è inammissibile anche per il secondo profilo, perché si risolve in una proposta d’interpretazione del provvedimento di sostituzione diversa da quella fatta propria dal giudice disciplinare in base ai medesimi elementi diversamente valutati in ricorso, con motivazione congrua, adeguata e priva di vizi logici (Cass., sez. un., 21 gennaio 2010, n. 268).
Pur dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dovuta alla L. 20 febbraio 2006, n. 46, difatti, al giudice di legittimità è inibita la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, poiché gli è estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass., sez. un., 18 aprile 2018, n. 9557).
2.- Col secondo motivo di ricorso la ricorrente si duole, con riguardo a entrambi gli addebiti disciplinari dei quali è stata ritenuta responsabile, della manifesta illogicità della motivazione in relazione alla gravità dell’illecito, giacché, sottolinea, la lista testimoni depositata dal sostituto Pe. diverge dalla sua soltanto per l’impostazione grafica e la reiterazione dei capitoli di prova.
Il motivo è infondato.
2.1.- La circostanza che ne è oggetto è difatti irrilevante, perché non elide, né attenua, per un verso, l’inosservanza delle disposizioni impartite dal capo dell’Ufficio volte, come nello stesso ricorso si riferisce, a porre rimedio ad una situazione obiettivamente conflittuale della dr. D. “suscettibile di ingenerare anche solo l’apparenza di una condotta processuale ispirata a fini diversi da quelli di istituto”, e, per altro verso, la scorrettezza avuta nei confronti del collega Pe., consistita nell’aver svolto, perdipiù in largo e non necessario anticipo, un’attività che competeva a lui.
3.- Questo dato di per sé esclude la rilevanza degli ulteriori due motivi, con i quali rispettivamente la ricorrente denuncia il travisamento delle dichiarazioni rilasciate dall’avv. Mori (terzo motivo), e la violazione dell’art. 468 c.p.p., sostenendo che nessun nocumento alle parti private sia potuto derivare dall’anticipato deposito della lista testimoni (quarto motivo).
3.1.- Difatti, da un canto, le dichiarazioni dell’avvocato di parte civile sono del tutto neutre e in nulla incidono sul dato obiettivo dello svolgimento di un’attività che competeva ad altri; d’altro canto, anche se il deposito in questione fosse stato in tutto indifferente per le parti private, rimarrebbe ferma la scorrettezza, valutata come grave dal giudice disciplinare, avuta nei confronti del collega, idonea a integrare l’addebito disciplinare contemplato dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), che appunto si riferisce ai “comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell’ambito dell’ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori”.
4.- In definitiva, il ricorso va respinto.
Nulla per le spese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018