Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28061 del 02/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9712/2018 proposto da:

M.T., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO COCO; (Ammesso P.S.S. Delib. 21/3/2018 Ord. Avv. Cagliari);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, PROCURATORE GENERALE presso la CORTE di CASSAZIONE;

– intimati –

avverso il decreto n. R.G. 8975/2017 del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositato il 12/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA NAZZICONE.

RILEVATO

– che è stato proposto ricorso, fondato su tre motivi, avverso la sentenza del Tribunale di Cagliari del 12 febbraio 2018, la quale ha respinto l’impugnazione di rigetto della richiesta di riconoscimento della protezione internazionale da parte della apposita commissione territoriale;

– che la parte intimata non ha svolto difese;

– che è stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

– che il primo motivo di ricorso deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, perchè il tribunale non ha disposto nuova audizione dell’interessato, invece necessaria quando non sia disponibile la videoregistrazione, ed, inoltre, nella specie vi era la deduzione di fatti nuovi, quale l’esplosione del trattore del padre, con perdita del solo mezzo di sostentamento dalla famiglia, ed il fatto che in Libia egli era stato picchiato; inoltre, in materia vige un onere della prova attenuato; infine, il tribunale non ha considerato le informazioni socio-politico-economiche del paese di origine, ai sensi del comma 9 della detta disposizione, ed è mancato il rispetto del contraddittorio;

– che il secondo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, perchè il tribunale avrebbe dovuto considerare la situazione della Libia, paese di transito, e non del Bangladesh;

– che il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in quanto il suo ingresso in Italia è dipeso da ragioni di indigenza;

– che, sul piano procedurale, il tribunale ha dato atto della celebrazione dell’udienza D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, comma 11, lett. a), in quanto non è disponibile la videoregistrazione, ma il verbale completo delle dichiarazioni del richiedente, e di non aver disposto nuova audizione, in mancanza di allegazione di fatti diversi da quelli già oggetto dell’istruttoria amministrativa o altri fatti rilevanti per la decisione;

– che, nel merito, il tribunale ha rilevato come il ricorrente, di nazionalità bengalese, abbia posto a fondamento della richiesta: a) il rischio di essere ucciso dalle persone che, per invidia del suo lavoro di trattorista, avevano ucciso il padre; b) il rischio di denuncia per la mancata restituzione del prestito da lui chiesto per emigrare, con possibile successiva condanna e rischio di trattamenti inumani in carcere; c) la vita in condizioni di povertà in patria, mentre in Italia egli potrebbe reperire un lavoro;

– che, quindi, il tribunale ha escluso sussistere i presupposti della protezione sussidiaria, perchè si allega una mera supposizione di possibili rischi da parte di soggetti imprecisati, mentre neppure si allegano minacce ricevute o azioni violente; che in Bangladesh sono rimasti tutti gli altri familiari, circa i quali non si deduce alcuna aggressione; che, in definitiva, egli ha lamentato solo la situazione di povertà nel paese di origine; quanto alla situazione della Libia, si tratta solo del paese di transito, dunque non è qui che egli deve essere rimpatriato;

– che, di conseguenza, il tribunale ha escluso pure la ricorrenza dei presupposti per la protezione umanitaria, in quanto essi non possono consistere nella mera ricerca di condizioni di vita più agiate a fronte di una situazione di indigenza nel paese di origine;

– che, ciò posto, il ricorso si palesa manifestamente infondato ed a tratti contenente profili di inammissibilità;

– che, invero, con riguardo al primo motivo, il tribunale ha disposto l’udienza, come era necessario secondo il principio espresso da questa Corte (Cass. 5 luglio 2018, n. 17717), e, secondo quanto parimenti dalla S.C. chiarito (da ultimo, Cass. 7 febbraio 2018, n. 3003) non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza;

– che il secondo motivo è manifestamente infondato, perchè il tribunale ha correttamente tenuto conto della situazione del paese di origine;

– che il terzo motivo è manifestamente infondato, avendo il giudice del merito esposto la corretta conclusione, secondo cui i fatti narrati dal richiedente non lo collocano neppure nella categoria della protezione umanitaria: infatti, egli allega una mera supposizione di possibili rischi da parte di soggetti imprecisati, nè deduce l’esistenza di minacce ricevute o azioni violente; ed essendo privo di rilievo anche il timore di essere esposto, in caso di rientro in patria, ad azioni di recupero da parte dei creditori per i debiti contratti per emigrare (cfr. Cass. 4 settembre 2018, n. 21611), mentre il pericolo deve correlarsi alla vicenda personale del richiedente (Cass. 27 luglio 2018, n. 19473);

– che in definitiva, a fronte degli accertamenti in fatto operati, le censure in esame, sub specie del vizio di violazione di norme di legge mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, mediante la ricostruzione della situazione politica nel Bangladesh, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito;

– che l’inammissibilità o manifesta infondatezza del ricorso già alla luce delle pregresse disposizioni rende irrilevante il sopraggiunto D.L. n. 113 del 2018;

– che non occorre la statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione del Ministero dell’Interno nel presente giudizio;

– che non è dovuto il doppio contributo (ricorrente ammesso al patrocinio a carico dello Stato).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018

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