LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8763/2018 proposto da:
A.K., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Gilardoni Massimo, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
contro
Procura Generale presso la Corte di Cassazione;
– intimata –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, del 25/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/09/2018 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 25 gennaio 2018, ha rigettato la domanda di A.K., cittadino nigeriano originario dell’Edo State, con la quale aveva impugnato il provvedimento di rigetto della sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.
Egli aveva narrato di avere lasciato il suo Paese nel 2016, perchè minacciato dai membri della setta degli ***** che volevano costringerlo a prendere il posto del padre deceduto e lo avevano cercato a casa dove si era salvato, essendosi nascosto, ma costoro avevano ucciso la madre e successivamente tre fratelli maggiori, mentre un fratello più piccolo era rimasto ucciso in una rapina.
Il tribunale, per quanto ancora interessa, ha giudicato il racconto del ricorrente poco credibile: quanto all’uccisione della madre perchè i suoi persecutori non avevano verificato se egli fosse in casa in quel momento e, quanto all’uccisione dei tre fratelli maggiori, perchè si trattava di circostanza importante che egli non aveva riferito alla Commissione; dalle fonti consultate non risultava che gli ***** praticassero vendette contro i familiari in caso di mancata adesione alla setta, l’influenza di questa setta era in declino da molti anni e nella zona da cui egli proveniva non era segnalata una situazione di violenza e di conflitto armato generalizzato.
A.K. ha proposto ricorso per cassazione; il Ministero dell’interno si è difeso con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente ha denunciato preliminarmente l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito in L. n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2, per mancanza dei presupposti di necessità e urgenza nell’emanazione del decreto-legge, ponendo in particolare l’accento sul differimento di 180 giorni dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, come modificato dal D.Lgs. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, conv. in L. n. 46 del 2017, nella parte concernente la fissazione del termine di trenta giorni per proporre il ricorso per cassazione a decorrere dalla comunicazione del decreto del tribunale a cura della cancelleria, per violazione dell’art. 3, comma 1, art. 24, commi 1 e 2, art. 111, commi 1, 2 e 7; art. 35 bis, comma 13, sulla definizione del procedimento entro sessanta giorni dalla data di presentazione del ricorso, con decreto non reclamabile, con soppressione del doppio grado di merito, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7.
Sono questioni manifestamente infondate.
La prima, relativa al denunciato difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza del decreto legge, perchè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (Cass. n. 1777/2018).
La seconda, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, perchè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento (Cass. n. 1777/2018).
La terza questione, relativa alla soppressione dell’appello, perchè è noto che il principio del doppio grado di giurisdizione è privo di copertura costituzionale (cfr. Corte cost. n. 80 e 395 del 1988; n. 543 del 1989; n. 433 del 1990; n. 438 del 1994). Ed in effetti, il principio del doppio grado non opera affatto, in una pluralità di ipotesi, già nel procedimento di cognizione ordinaria, e ciò non soltanto nel caso delle controversie destinate a svolgersi in unico grado: si pensi alle numerose ipotesi estranee alla previsione degli artt. 353-354 c.p.c., in cui il giudice di appello deve, per la prima volta in tale sede, decidere il merito della controversia; al caso della (fondata) denuncia in appello del vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado; al caso della domanda correttamente non esaminata dal primo giudice perchè dichiarata assorbita; al caso del ricorso per cassazione per saltum, ecc..
A maggior ragione il legislatore può sopprimere l’impugnazione in appello al fine di soddisfare specifiche esigenze, come in particolare quella della celerità che è decisiva per i fini del riconoscimento della protezione internazionale.
Con specifico riguardo a quest’ultima, se per un verso non può mancare di considerarsi il rilievo primario del diritto in contesa, deve per altro verso sottolinearsi, ai fini della verifica della compatibilità costituzionale della eliminazione del giudizio di appello, che il ricorso in esame è preceduto da una fase amministrativa, destinata a svolgersi dinanzi ad un personale specializzato, nell’ambito del quale l’istante è posto in condizioni di illustrare pienamente le proprie ragioni attraverso il colloquio destinato a svolgersi dinanzi alle Commissioni territoriali, di guisa che la soppressione dell’appello si giustifica anche per il fatto che il giudice è chiamato ad intervenire in un contesto in cui è stato già acquisito l’elemento istruttorio centrale – per l’appunto il detto colloquio – per i fini dello scrutinio della fondatezza della domanda di protezione, il che concorre a far ritenere superfluo il giudizio di appello.
Con il quarto motivo, il ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 14, lett. c), per avere il tribunale negato il riconoscimento della protezione sussidiaria, senza assumere doverose informazioni aggiornate sulla ricorrenza delle condizioni di pericolo esistenti nel suo paese d’origine per ragioni persecutorie e di conflitto armato, erroneamente basando il proprio convincimento soltanto sulla credibilità del richiedente la protezione.
Il motivo è infondato. La Corte di merito ha compiuto un approfondito accertamento sulla situazione esistente nella zona di Edo State, escludendo scontri riconducibili a Boko Haram e la perdita di controllo da parte dell’autorità governativa ed evidenziando l’esistenza solo di una criminalità comune, prevalentemente indirizzata contro gli stranieri che lavorano per le compagnie petrolifere, che non determina una situazione di criminalità indiscriminata. Si tratta di apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito e censurabili in sede di legittimità nei ristretti confini (non valicati nella specie) consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5.
Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Non è dovuto il raddoppio del contributo, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2500,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018