LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9772/2013 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.
*****, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, DE ROSE EMANUELE, CARLA DALOISIO, LELIO MARITATO, giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato SILVIA PARASCANDOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTA VICINI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 867/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 05/02/2013 r.g.n. 878/2009 + 1.
RILEVATO
che:
1. con sentenza in data 17 gennaio 2013, la Corte di Appello di Bologna ha accolto il gravame incidentale svolto da M.S. avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato l’opposizione a ruolo e a cartella di pagamento per contributi previdenziali dovuti alla Gestione Commercianti;
2. la Corte territoriale riteneva insussistenti i presupposti necessari ai fini della iscrizione del predetto M. nella Gestione Commercianti, in riferimento al periodo contestato, non essendo emerso lo svolgimento di compiti operativi presso la s.r.l. Freedom Tiles, esercente attività di commercio all’ingrosso di materiali da costruzione e prodotti ceramici, della quale era socio e presidente del consiglio di amministrazione;
3. propone ricorso avverso tale decisione l’INPS, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a., affidato a due motivi, cui resiste M.S. con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
4. l’INPS lamenta la violazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 203 e 208, come interpretato con D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010, in relazione all’art. 2697 c.c. e erronea motivazione, ribadendo sostanzialmente la tesi fatta valere nei gradi di merito secondo cui l’attività di socio lavoratore espletata dall’attuale intimata, in aggiunta a quella di socio amministratore, comporta l’obbligo della doppia contribuzione;
5. sono consolidati i precedenti di questa Corte (fra le tante, 23 dicembre 2016, n. 26976; Cass. 9 maggio 2017, n. 11242) nei quali è stato chiarito che per il doppio onere occorre una coesistenza di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria e che la verifica della sussistenza di requisiti di legge per tale coesistenza è compito del giudice di merito e deve essere effettuata in modo puntuale e rigoroso, indispensabile essendo che l’onere probatorio (il quale, secondo le ordinarie regole, grava sull’ente previdenziale, tenuto a provare i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo, cfr., ex multis, Cass. 20 aprile 2002, n. 5763; Cass. 6 novembre 2009, n. 23600) venga compiutamente assolto;
6. in continuità con i recenti arresti indicati, i requisiti congiunti di abitualità e prevalenza dell’attività del socio di società a responsabilità limitata (l’onere della prova dei quali è a carico dell’INPS) sono da riferire all’attività lavorativa espletata dal soggetto considerato in seno all’impresa che costituisce l’oggetto della società, ovviamente considerata a prescindere dall’attività eventualmente esercitata in quanto amministratore, per la quale semmai ricorre l’obbligo dell’iscrizione alla gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, in modo che sia assicurato alla gestione commercianti il socio di società a responsabilità limitata che si dedica abitualmente e prevalentemente al lavoro in azienda, indipendentemente dal fatto che il suo apporto sia prevalente rispetto agli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali) dell’impresa (v., fra le tante, Cass. 17 luglio 2017, n. 17639);
7. per partecipazione al lavoro aziendale deve intendersi lo svolgimento dell’attività operativa in cui si estrinseca l’oggetto dell’impresa (cfr., da ultimo, Cass. 18 maggio 2017, n. 12560 quanto ai criteri da utilizzare per tale ordine di valutazione);
8. la verifica della sussistenza di requisiti di legge per tale coesistenza è compito del giudice di merito e deve essere effettuata in modo puntuale e rigoroso, indispensabile essendo che l’onere probatorio venga compiutamente assolto, potendo assumere rilevanza, ai fini di tale valutazione e, quindi, della prova del personale apporto all’attività di impresa, con diretta ed abituale ingerenza dell’amministratore nel ciclo produttivo della stessa, elementi quali la complessità o meno dell’impresa, l’esistenza o meno di dipendenti e/o collaboratori, la loro qualifica e le loro mansioni;
9. i requisiti congiunti di abitualità e prevalenza devono, peraltro, riferirsi ad un criterio non predeterminato di tempo e di reddito da accertarsi in senso relativo e soggettivo, ossia facendo riferimento alle attività lavorative espletate dal soggetto considerato in seno alla stessa attività aziendale costituente l’oggetto sociale della società (al netto dell’attività esercitata in quanto amministratore) e non già comparativamente con riferimento a tutti gli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali) dell’impresa (v., fra le altre, Cass. 18 maggio 2017, n. 12560);
10. nel caso di specie, con valutazione in fatto non sindacabile in questa sede di legittimità, la Corte territoriale ha negato la sussistenza dell’attività prevalente ed abituale di lavoro dell’attuale parte intimata, rimarcando che, in assenza di personale dipendente, l’attività d’impresa (di commercio all’ingrosso di materiali da costruzioni e prodotti ceramici) veniva svolta tramite sub-agenti con mandati per l’Australia e l’Inghilterra e l’attività amministrativa era stata delegata a consulenti esterni, e annoverando i rapporti con i consulenti esterni e gli agenti nel novero della figura e dei compiti dell’amministratore;
11. contrariamente a quanto assume la parte ricorrente, in nessuna parte della sentenza è dato rintracciare affermazioni della Corte territoriale in contrasto con il principio della doppia iscrizione, così come enucleato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte e del resto, nemmeno la parte ricorrente ha indicato quale parte della motivazione della Corte sia in contrasto con i principi su enunciati, come invece era suo onere ai fini di una corretta deduzione del vizio in esame;
12. quanto alla censura per vizio di motivazione, vale ribadire, con le Sezioni unite della Corte, sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, che, alla stregua del novellato vizio di motivazione, applicabile ratione temporis, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
13. in sede di legittimità non è data ora (come del resto non era altrimenti data allora, vigente il testo precedente dell’art. 360 c.p.c., n. 5) la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un fatto storico, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete;
14. le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo; nulla spese in favore della parte rimasta intimata;
15. la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass., Sez. U., 17 ottobre 2014, n. 22035 e alle numerose successive conformi).
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 23 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018