LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13334/2013 proposto da:
C.E., *****, G.D. *****, nella qualità
di eredi di G.B., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G. MAZZINI 140, presso lo studio dell’avvocato FORTUNATO VITALE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALFREDO GUALTIERI giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
REGIONE CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTTAVIANO 9, presso lo studio dell’avvocato GRAZIANO PUNGI’, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIANO CALOGERO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1555/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 04/12/2012, r.g.n. 451/2009.
RILEVATO
che:
1. la Corte di Appello di Catanzaro ha respinto l’appello proposto da C.E. e G.D., eredi di G.B., avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato il ricorso volto ad ottenere la condanna della Regione Calabria al risarcimento dei danni derivati dall’illegittimo rifiuto opposto dalla Regione alla ricostituzione, per il periodo 24 marzo 2004/7 agosto 2005, del rapporto dirigenziale in precedenza intercorso fra le parti;
2. la Corte territoriale ha premesso che G.B. era stato nominato Dirigente Generale del Dipartimento n. 4 Organizzazione e Personale ed aveva sottoscritto contratto di lavoro a tempo determinato con scadenza al 1 agosto 2002, poi prorogata al 7 agosto 2005;
3. il 26 agosto 2002 era stato nominato Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria n. ***** di Castrovillari e, successivamente, senza soluzione di continuità, Commissario Straordinario della stessa Asl sino al 23 marzo 2004;
4. alla scadenza dell’incarico aveva chiesto alla Regione di essere riammesso a svolgere le funzioni dirigenziali ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3 bis, comma 11, perchè l’accettazione dell’incarico di Direttore Generale e poi di Commissario aveva determinato la mera sospensione del rapporto in atto che, quindi, doveva riprendere e proseguire per l’arco temporale non ancora decorso allorquando si era verificata la causa sospensiva;
5. la Corte territoriale ha richiamato integralmente la motivazione della sentenza del Tribunale, che aveva ritenuto infondata la pretesa perchè il contratto individuale non richiamava la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 502 del 1992 e perchè la sospensione prevista dall’art. 3 bis è riferibile ai soli contratti a tempo indeterminato, non essendo compatibile con il contratto dirigenziale a termine;
6. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso C.E. e G.D., eredi di G.B., sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, ai quali la Regione Calabria ha resistito con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. il primo motivo del ricorso denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. – nullità ovvero inesistenza della sentenza impugnata” e rileva che la Corte territoriale si è limitata a trascrivere integralmente la sentenza di primo grado, apportando alla stessa solo marginali correzioni, senza tener conto dello svolgimento del processo nella fase di gravame e rendendo evidente, nell’unico passaggio aggiunto autonomamente, che era mancata qualsiasi conoscenza degli atti di e dei fatti di causa, perchè le dimissioni dall’incarico di Direttore Generale erano state riferite alla C., la quale, invece, aveva agito in qualità di erede di G.B.;
2. la seconda censura ravvisa nell’integrale richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, non avendo la Corte territoriale neppure fatto cenno ai motivi di appello con i quali erano state specificamente contestate entrambe le rationes decidendi poste dal Tribunale a fondamento della pronuncia di rigetto;
3. con la terza critica i ricorrenti eccepiscono la nullità della sentenza sotto altro profilo, deducendo la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato in quanto il giudice d’appello ha totalmente omesso l’esame dei motivi di impugnazione proposti avverso la decisione impugnata;
4. il quarto motivo lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3 bis, comma 11, ed alla direttiva comunitaria 1999/70/CE” che vieta ogni forma di discriminazione fra i lavoratori a tempo indeterminato e quelli assunti con contratto a termine;
4.1. sostengono, in sintesi, i ricorrenti che la norma indicata in rubrica, nella parte in cui riconosce il diritto all’aspettativa senza assegni del lavoratore dipendente chiamato a svolgere le azioni di direttore generale, amministrativo o sanitario, deve essere interpretata alla luce dei principi fissati dalla direttiva comunitaria, con i quali contrasta un’esegesi che riferisca l’espressione “lavoratori dipendenti” ai soli assunti a tempo indeterminato;
5. questa Corte ha ripetutamente affermato che “la sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purchè il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame” (Cass. n. 14786/2016 e negli stessi termini, fra le tante, Cass. nn. 15187/2018, 14401/2018, 13594/2018, 8684/2018, 8012/2018);
5.1. infatti il giudice di appello, al quale non è imposta l’originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive, ben può aderire alla motivazione della statuizione impugnata ove la condivida, senza necessità di ripeterne tutti gli argomenti o di rinvenirne altri, ma a condizione che la condivisione della motivazione sia stata raggiunta attraverso una autonoma valutazione critica, che deve emergere, sia pure in modo sintetico, dal testo della decisione (Cass. n. 15884/2017 e Cass. n. 5209/2018);
5.2. al contrario nel caso di specie la Corte territoriale si è limitata a trascrivere integralmente la sentenza di primo grado, senza fare alcun riferimento a quanto accaduto nel corso del giudizio di appello (anche lo svolgimento del processo si riferisce al solo giudizio di primo grado), senza dare conto delle censure mosse alla decisione oggetto di gravame e limitandosi ad inserire, nella parte finale, un’integrazione che non è idonea ad evidenziare il necessario apprezzamento autonomo della materia controversa ed anzi lo smentisce, perchè fondata su un presupposto fattuale palesemente errato;
5.3. sulle base delle considerazioni sopra esposte deve essere accolto il primo motivo di ricorso, con conseguente assorbimento delle ulteriori censure, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
5.4. non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 31 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018